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Brigitte Gabriel: I palestinesi hanno distrutto tutti i paesi in cui sono andati 07/04/2025

 Brigitte Gabriel: I palestinesi hanno distrutto tutti i paesi in cui sono andati
Video a cura di Giorgio Pavoncello

Duro atto di accusa di Brigitte Gabriel, libanese, contro l'OLP e le organizzazioni terroristiche che gestiscono i profughi palestinesi. Ovunque siano andati, hanno distrutto i paesi ospiti, come un cancro che agisce in tutto il Medio Oriente.

 



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Il Foglio Rassegna Stampa
05.04.2025 La difesa c’è già
Analisi di Giulia Pompili

Testata: Il Foglio
Data: 05 aprile 2025
Pagina: II
Autore: Giulia Pompili
Titolo: «La difesa c’è già»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 5/04/2025, a pag. II, con il titolo "La difesa c’è già" l'analisi di Giulia Pompili.

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Giulia Pompili
futuro della Marina militare italiana
A bordo della nave Trieste, gioiello tecnologico della Marina militare italiana, si sperimenta la difesa europea. La minaccia del dittatore russo Putin e l’ambiguità cinese richiedono prontezza e cooperazione. Le esercitazioni Nato come Neptune Strike dimostrano che la sicurezza militare è anche e soprattutto sicurezza economica e difesa dei valori della democrazia

Deterrenza e Difesa, capacità multidominio, vigilanza, proiezione. Quella militare è una lingua per lo più oscura per le persone senza divisa, fatta di nomi in codice e di parole che hanno un significato preciso e profondo, e che hanno un effetto concreto, anche nelle decisioni politiche. Per lungo tempo la propaganda degli avversari come Russia e Cina, e non solo, ha spinto sul fatto che quella lingua fosse un modo per nascondere, un codice cifrato da tenere segreto, un linguaggio opaco per un potere opaco. A volte sono gli stessi politici europei a cadere nella trappola, e basta guardare ad alcune dichiarazioni arrivate durante il dibattito sul “ReArm Europe Plan / Readiness 2030” della Commissione europea. La Russia ha giustificato l’invasione su larga scala dell’Ucraina nel febbraio del 2022 usando spesso la minaccia della Nato e delle esercitazioni militari sui suoi confini, e anche la Cina ha poi parlato di una “legittima preoccupazione” da parte di Mosca “per la sua sicurezza”. Decine di autorevoli analisi smentiscono certe interpretazioni – “Putin si oppone alla Nato perché gli impedisce di fare il prepotente con i paesi confinanti della Russia”, ha scritto Peter Dickinson dell’Atlantic council – e basterebbe guardare da vicino attività come la Neptune Strike per capire che è tutto molto più semplice di quello che pensiamo, che il mondo come lo conoscevamo, quello in cui erano il commercio e il business a garantire la pace, è scomparso per volontà degli stessi leader che oggi accusano l’occidente di rendere il mondo più insicuro.

La chiamano “attività di vigilanza rafforzata della Nato”, ma l’annuale Neptune Strike, la più grande esercitazione militare dell’Alleanza nel Mediterraneo, serve a dimostrare non solo a chi guarda, ma anche ai paesi membri (e ai paesi amici che magari partecipano per osservare), come si può lavorare insieme per la Difesa comune. Dal punto di vista più prettamente militare, si chiama interoperabilità, cioè lavorare “con una nave francese o spagnola come se fosse italiana”, spiega al Foglio il contrammiraglio Michele Orini, comandante della terza divisione navale della Marina. Parla col Foglio a bordo della nave Trieste, nome in codice L 9890, un’unità d’assalto anfibio multiruolo della Marina militare italiana nuova di zecca, consegnata da Fincantieri all’inizio di dicembre dello scorso anno e ora è uno dei gioielli di famiglia per tecnologia e capacità delle Forze armate italiane. Per il Trieste è un debutto nelle esercitazioni militari congiunte: l’equipaggio sta iniziando ora a prendere confidenza con gli spazi nuovi, tutti osservano e riferiscono eventuali migliorìe, è come un corpo vivente che prende forma. E gli europei sono curiosi di sapere come questo nuovo pezzo della Difesa italiana contribuirà alla difesa collettiva. “L’addestramento è anche vigilanza”, ed è proiezione di forza, dice Orini. Insomma ci si allena ma si mostrano anche i muscoli e le proprie capacità. E nel Mediterraneo è un periodo intenso: c’è la Neptune Strike della Nato che si sovrappone a Mare Aperto, esercitazione solo italiana in cui opera praticamente tutta la Marina con la collaborazione delle altre Forze armate. Nave Trieste, come la portaerei Cavour e molte altre, fa entrambe le cose. Tutto si compie e si completa come se la Difesa europea esistesse già: per esempio nei corridoi e nelle sale operative del Trieste si parla soltanto in inglese. I computer di bordo sono criptati a livello “segreto Nato”, il più alto delle Forze armate e anche questo è un codice condiviso. 

Siamo nel sud della Sardegna, in un’area che va da Cagliari a Sant’Antioco, in mezzo a capo Teulada e all’omonimo poligono militare. E’ qui che il Trieste insieme ai “Santi”, le navi San Giorgio, San Marco e San Giusto, si stanno addestrando con le altre Forze armate, e non solo italiane, nell’ambito di Neptune Strike e Mare Aperto. Periodicamente si riaprono le polemiche sull’opportunità di chiudere certe spiagge per queste esercitazioni – il Fatto quotidiano, pressoché sovrapponibile alla propaganda russa, scrive: “Le spiagge sarde come le coste del Mar d’Azov”. E’ un equilibrio difficile in tutto il mondo, quello fra esercitazioni militari e realtà civili, ma oltre alle legittime lamentele sull’interruzione di certe attività commerciali, alla chiusura di alcune strade (quelle sul potenziale inquinamento sono costantemente smentite dalle autorità) a volte sembra che il problema sia piuttosto ideologico, come se i “giochi di guerra” attirassero la malasorte, un’eventualità rifiutata da gran parte degli italiani – tanto che perfino il maldestro video sulla “borsa della resilienza” proposta dalla Commissione europea ha generato commenti sull’“Europa che ci vuole portare in guerra”.

E invece oltre a testare le operazioni, addestrarsi insieme significa anche spostare e rendere agile e il più chiara possibile la catena di comando, che per i cittadini, per i civili, cioè per chi gode di quella difesa, significa anche individuare eventuali responsabilità, insomma di fatto più trasparenza. Alla costruzione di una difesa collettiva, che metta a disposizioni uomini mezzi ed esperienze, si lavora da tempo, ma negli ultimi anni il concetto ha assunto un valore diverso, e soprattutto dal momento in cui Donald Trump è entrato alla Casa Bianca ed è tornato con la retorica dell’America First applicata anche alla Nato. Alla Neptune Strike di quest’anno nel Mediterraneo avrebbe dovuto partecipare anche la USS Harry S. Truman, la portaerei a propulsione nucleare della Marina americana: si è sfilata all’ultimo momento per ragioni operative, ma a bordo del Trieste questa cosa non ha creato alcun problema, tanto che nei corridoi della nave si diceva: “Facciamo lo stesso”.

Perché nel frattempo il Mediterraneo è sotto ricatto. Secondo uno studio del mese scorso del Nato Defense College, “dall’inizio della guerra in Ucraina la flotta ombra di navi russe ha riciclato il petrolio russo, aggirando le sanzioni internazionali e fornendo al regime di Putin entrate sufficienti a sostenere lo sforzo bellico in Ucraina. La Russia ha ristabilito saldamente la sua presenza nel Mediterraneo, impiegando un approccio a più livelli che, sebbene limitato nella portata e nelle opportunità, è comunque reale”. I casi di sabotaggi delle infrastrutture critiche sottomarine sono state un altro elemento fondamentale che ha fatto tornare l’attenzione pubblica sulla sicurezza anche nel nostro mare. E non solo del nostro.

“Mi rendo conto che è difficile capirlo, ma il fatto che ci fossimo noi a scortare i cargo italiani nel Mar Rosso ha permesso che i prezzi di molti prodotti comprati in Italia non si alzassero. Una cosa che diciamo spesso è che un mare poco sicuro è un mare molto costoso”, dice al Foglio un elicotterista a bordo della nave Trieste. Il pilota si riferisce ad Aspides, l’operazione europea di pattugliamento e scorta che hanno fatto anche le navi militari italiane per proteggere le navi mercantili dal terrorismo degli houthi, il gruppo yemenita sostenuto dall’Iran. Poco più di un anno fa, il cacciatorpediniere Caio Duilio era stato attaccato da un drone e lo aveva abbattuto a una distanza relativamente ravvicinata di circa sei chilometri. Si era parlato molto di quell’evento, perché spiega in modo concreto che cosa significhi deterrenza: “Siamo rimasti lì tutto il tempo, all’erta, pronti a intervenire. Non era certo una vacanza”. Sui giornali specializzati si era parlato molto di quell’attacco houthi contro il Caio Duilio anche perché i militari italiani avevano abbattuto il relativamente economico drone iraniano senza “sprecare” costosi missili missili terra-aria. Questa è un’altra gigantesca differenza tra l’Europa e la Russia, la rappresentazione di una guerra asimmetrica anche in termini economici: attaccare costa molto meno che difendersi, e un regime autoritario non ha la preoccupazione delle elezioni, non ha nessuno a cui presentare i conti alla fine dell’anno. La presenza dei giornalisti, compreso il Foglio, a un’esercitazione militare della Nato è un’altra differenza. La terza, forse la più importante, è che tutte le attività che si svolgono durante le esercitazioni militari occidentali sono condivise con le autorità, con gli alleati, con i vicini di casa: una cosa che Russia e Cina hanno smesso di fare da tempo, o comunque effettuano le comunicazioni formali qualche volta sì e qualche volta no, nei canali giusti o all’ultimo momento, ed è tutto fatto per aumentare il livello d’imprevedibilità, di copertura, di esercitazioni che poi si trasformano in “operazioni speciali” e poi in una guerra che dura da tre anni.

L’Alleanza atlantica è nel pieno della sua trasformazione, dovuta alle minacce della Russia e adesso, diverse ma complementari, della presidenza americana, e la necessità di rafforzare le capacità di difesa europee è qualcosa di malcompreso dal pubblico anche perché recepito con diffidenza dal pubblico. E invece nave Trieste è un bengodi della tecnologia, e sin dalla Seconda guerra mondiale non c’era mai stata un’unità così grande tutta made in Italy. 245 metri di unità di assalto anfibio multiruolo, una rarità nelle marine europee perché è in grado di condurre tutte le operazioni anfibie dall’inizio alla fine, che “sono tra le operazioni più complesse dal punto di vista militare”, spiega l’ammiraglio Orini. Come quella che l’Italia ha condotto nel 2006 in Libano, denominata “Leonte”. La nave è autosufficiente perché può ospitare i membri dei due staff che servono per un’operazione anfibia – non si inventano, sono codificate in un documento Nato: di nuovo, l’importanza della condivisione – può trasportare i mezzi che servono a un eventuale sbarco, può far sbarcare gli incursori, e ha uno dei più grandi ospedali per una nave di questo tipo, con sale operatorie e posti di terapia intensiva. “Un giorno abbiamo accompagnato dei civili in un tour a bordo”, spiega un ufficiale al Foglio, che preferisce restare anonimo, “un signore davanti all’ospedale si è messo a piangere, ci ha detto: non avrei mai pensato a tutto questo”. C’è un problema di comunicazione della Difesa, ma c’è anche un limite nella capacità italiana di capire che la difesa, per esempio quella marittima, non è soltanto il Vespucci – la nave più antica della Marina militare che funziona da veliero scuola per i marinai del futuro. A bordo del Trieste c’è un gruppo di studenti universitari che vive la vita della Marina nel pieno delle sue possibilità, un equipaggio giovanissimo – ci spiegano che di recente anche gli allievi ufficiali in ferma prefissata, ragazzi che fanno una scelta di vita temporanea nelle Forze armate, vengono impiegati in ruoli più operativi per dargli la possibilità di capire se è una vita che gli piace, e agli ufficiali di selezionare i migliori talenti. E questo perché la Difesa di cui parliamo oggi è la difesa della democrazia liberale di tutti.

 

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