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Brigitte Gabriel: I palestinesi hanno distrutto tutti i paesi in cui sono andati 07/04/2025

 Brigitte Gabriel: I palestinesi hanno distrutto tutti i paesi in cui sono andati
Video a cura di Giorgio Pavoncello

Duro atto di accusa di Brigitte Gabriel, libanese, contro l'OLP e le organizzazioni terroristiche che gestiscono i profughi palestinesi. Ovunque siano andati, hanno distrutto i paesi ospiti, come un cancro che agisce in tutto il Medio Oriente.

 



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Newsletter di Giulio Meotti Rassegna Stampa
05.04.2025 Trumpismo americano o tropismo europeo
Newsletter di Giulio Meotti

Testata: Newsletter di Giulio Meotti
Data: 05 aprile 2025
Pagina: 1
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Trumpismo americano e tropismo europeo: svegliarsi o scomparire»

Riprendiamo il commento di Giulio Meotti, dalla sua newsletter, dal titolo: "Trumpismo americano e tropismo europeo: svegliarsi o scomparire".


Giulio Meotti

Stefan Zweig scrisse "Il mondo di ieri" nel 1942, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale. Non è solo nostalgia del mondo pre-novecentesco, ma la dimostrazione di quanto gli europei avessero inconsapevolmente perso la loro libertà. Oggi non è diverso.

Michel Onfray ha il raro dono della sintesi:

“L’ideale globalista è la giungla dove una presunta mano invisibile consente al lupo e all'agnello di vivere insieme per il bene... degli agnelli, ovviamente! Donald Trump non è intelligente, non è astuto, non è delicato, non è colto, non è sottile e non è nemmeno un femminista, questo è certo. Trump è un sovranista: dice ‘America first!’. Trump offre protezione alle sue vittime di questa giungla globalista. Con la sua aria da spaccone, il suo vistoso costume da sceriffo, le sue espressioni da cowboy e la sua Colt sempre pronta, si offre di proteggere gli sdentati dagli animali feroci della giungla. Quelli cacciati dal banchetto ortolano gridano al fascismo: sono i fascisti che disprezzano il popolo, preferendo l'oligarchia dei cooptati che, come i giacobini, sognano una sola cosa: che il popolo abbia una sola testa, così da poter essere più facilmente ghigliottinato”.

C'è sempre stata fin troppa compiacenza e velleità nel discorso europeo su Trump. Quando è stato eletto per la prima volta nel 2016, gli europei non lo hanno preso sul serio o gli hanno appiccicato i baffetti da Hitler. Poi, quando hanno capito che faceva sul serio, hanno scommesso, correttamente come si è scoperto, che nel 2020 sarebbe stato sconfitto alle elezioni successive. La sua rielezione nel 2024 li ha semplicemente riportati alla stessa vecchia compiacenza.

Se ora gli europei vogliono farcela devono prima riconoscere che anche se si agitano nel sonno non sono ancora svegli e che sono affetti dal tipico tropismo che si scatena per fronteggiare la paura: la catalessi, in conseguenza della quale chi è minacciato rimane immobile e insensibile agli stimoli.

Consiglio di leggere Il mondo di ieri, straordinaria autobiografia di Stefan Zweig. In quello che si è rivelato essere l'ultimo libro dello scrittore austriaco, pubblicato nel 1942, Zweig racconta come gli europei tra la fine degli anni Venti e l'inizio degli anni Trenta fossero ossessionati dai loro nuovi gadget tecnologici: radio e telefoni e, per chi se li poteva permettere, auto e aerei. Tuttavia, avevano sempre meno libertà. Come dice il filosofo inglese John Gray, “Zweig incarna alcune delle principali contraddizioni della mente europea”.

Zweig osservava che la sua generazione aveva vissuto “vite più cosmopolite, il mondo intero era aperto a noi. Potevamo viaggiare ovunque ci piacesse senza passaporto o permesso, nessuno ci esaminava per il nostro atteggiamento, origine, razza o religione”.

Zweig sembra parlare alla nostra epoca. Ma pochi europei accetterebbero l’elegante precisione di Zweig sul declino. La maggior parte vive nella negazione.

C'è un luogo comune sull’Europa secondo cui se solo la crisi fosse abbastanza grande, gli europei potrebbero svegliarsi e fare la cosa giusta. Ma ricorda la parabola dell'uomo che annega, su un devoto ministro cristiano, intrappolato in un'alluvione, che rifiuta i successivi tentativi di salvataggio da parte di barche e poi di un elicottero, pregando per tutto il tempo che Dio venisse ad aiutarlo. L'uomo annegò e, quando fu in cielo, chiese a Dio perché si fosse rifiutato di aiutarlo. Dio rispose: “Cosa volevi da me? Ti ho mandato due barche e un elicottero”.

Dal 20 per cento al 13 per cento del Pil globale in 30 anni: questo è il bilancio dell’economia europea. E da qui al 2050 rischiamo che non ci sarà più una sola economia europea fra le prime dieci al mondo. I dazi ce li siamo messi da soli sull’innovazione e la libertà (sui dazi di Trump consiglio la lettura del sempre lucido Wolfgang Münchau).

Si apre così una splendida inchiesta di Le Monde a vent'anni dall'ingresso della Cina nell'Organizzazione mondiale del commercio: “Era l'era della globalizzazione felice dove, in Europa come negli Stati Uniti, molti credevano, sulla scia del politologo americano Francis Fukuyama, che la caduta del comunismo avrebbe segnato la fine della storia e la vittoria definitiva del liberalismo, quello in cui i leader occidentali immaginavano che l'intero globo convergesse su un unico modello - democrazie aperte al commercio e al multilateralismo - al quale la Cina si sarebbe naturalmente conformata”.

Francis Fukuyama

Con i dazi americani e i controdazi cinesi ora siamo alla “fine della globalizzazione” descritta da Münchau. Nascerà il “multilateralismo nazionalista”?

Prima di Trump, nessuno aveva messo in discussione il paradiso senza confini per gli Orsetti del Cuore. Ci riuscirà? Io ne dubito fortemente (il libero mercato da 400 anni è un sistema che funziona).

Intanto però il modello tedesco, che è il “motore dell’Europa” e uno dei simboli della “globalizzazione felice”, è in panne. Facendo affidamento sull'energia russa a basso costo, sulle esportazioni e sulla protezione americana, sull'abbandono dell'energia nucleare e sulla concorrenza cinese, la Germania sta invecchiando rapidamente e si aggrappa a uno status quo che fino a poco tempo fa era molto confortevole.

Al culmine della Guerra Fredda, le forze armate della Repubblica Federale vantavano più di 500.000 soldati, marinai e aviatori. Oggi, quel numero si è ridotto a malapena a 180.000, con un nuovo arruolato su quattro che si dimette entro sei mesi. Solo la metà delle brigate è schierabile, in calo rispetto ai quasi due terzi del 2022, mentre i soldati sul fianco orientale della Nato sono privi di equipaggiamento di comunicazione di base. Il capo dell'associazione delle forze armate tedesche l'ha detto senza mezzi termini: la Bundeswehr è “più vuota del vuoto”. E lo spirito della generazione più giovane è evidente nel nuovo libro di Ole Nymoen intitolato Perché non combatterei mai per il mio paese.

La Germania dà sui nervi a Trump per molti motivi: i surplus commerciali, la bassa spesa per la difesa e la dipendenza dagli Stati Uniti per la sicurezza, la transizione verde e l'abolizione dell'energia nucleare, le politiche sull’immigrazione. E Trump ricorda di essere stato deriso dai diplomatici tedeschi all’Onu quando disse loro in faccia che erano attaccati alla canna del gas russo.

Qui viene in mente lo storico francese Jacques Barzun, che pubblicò quella che è probabilmente la sua opera più grande, From Dawn to Decadence, alla veneranda età di 93 anni. Oggi è comune usare la parola "decadente" come insulto o giudizio morale, ma Barzun aveva una visione molto più sfumata:

“Tutto ciò che si intende per Decadenza è 'cadere'. Non implica in coloro che vivono in un'epoca del genere alcuna perdita di energia, talento o senso morale. Al contrario, è un'epoca molto attiva, piena di profonde preoccupazioni, ma particolarmente irrequieta, perché non vede chiare linee di avanzamento... Le istituzioni funzionano dolorosamente. Ripetizione e frustrazione sono il risultato intollerabile. La noia e la stanchezza sono grandi forze storiche”.

Un po’ il ritratto dell’Europa.

Donald Trump non ha tradito; al contrario, è di una lealtà disarmante. Innanzitutto, per quanto riguarda ciò che più gli sta a cuore, il suo elettorato, i forgotten men, che lo ha portato una prima e una seconda volta al vertice dello Stato, con grande dispiacere dell'establishment politico, intellettuale e mediatico americano.

Ha scritto Ian Bremmer: “La Cina supera gli Stati Uniti nell'aspettativa di vita dovrebbe essere un titolo su ogni quotidiano americano”. Un’inversione storica senza precedenti. Il Nobel per l’Economia Angus Deaton ha detto che “una parte della popolazione negli Stati Uniti ha visto il proprio mondo crollare. La loro vita era migliore cinquant’anni fa. Avevano un sindacato, andavano in chiesa, appartenevano a una comunità…Hanno non solo perso denaro e lavoro, ma anche un senso per le loro vite”. Deaton ha pubblicato un saggio spaventoso dal titolo The Great Divide. Ha scoperto che un “male oscuro” sta sterminando gli americani bianchi, poco istruiti e tramortiti dalla globalizzazione. “Un suicidio americano al rallentatore”. Cos’è allora il trumpismo se non il grido dell’americano bianco che alle élite dice “io esisto ancora”?

Il patriottismo americano è stato a lungo devastato dal wokismo, una malattia mentale creata nelle università americane. Lì come da noi, questo socialismo degli imbecilli insegna l'odio verso se stessi, verso la propria patria, verso la propria storia. Così facendo, mobilita contro di esso le classi lavoratrici, che non accettano che il melting pot non mescoli più niente e nessuno.

Trump ha fatto suo il motto latino Oderint dum metuant (lasciate che mi odino, finché mi temono). Invece di biasimarlo, dovremmo ringraziarlo per aver liberato gli europei dalla propria “servitù volontaria”, come direbbe La Boétie, e spronarli a riarmarsi con coraggio, come esortava Aleksandr Solženicyn nel suo famoso discorso ad Harvard nel… 1978!

Sebbene Trump non sia la causa della debolezza dell’Europa, la mette in scena come nessun altro prima. Non devi essere un sostenitore di Trump per concludere che, su molte controversie bilaterali che ha avuto con l’Europa, Trump aveva ragione e l’Europa torto.

Ma per una volta, la dialettica hegeliana tra padrone e schiavo sembra essere minata: per quanto vitale possa essere per la sua esistenza e per quella che Hegel chiama “autocoscienza”, il padrone ora non vuole più lo schiavo. Senza aver coltivato intellettualmente la compagnia dei filosofi tedeschi né frequentato Harvard, e nonostante la sua trasgressività, brutalità e infantilismo, Trump agisce con una certa strategia, persino con una certa logica e razionalità.

In Amleto, il vecchio ciambellano Polonio commenta il comportamento apparentemente incostante del personaggio centrale: “Sebbene sia follia, c’è comunque un metodo in essa”.

E se oggi siamo allarmati da Trump che chiama gli europei “parassiti” dimentichiamo che già vent’anni fa l’America definiva i francesi “cheese-eating surrender monkeys”: scimmie mangiatrici di formaggio che si arrendono.

Quindi è più corretto biasimare gli europei per non aver difeso i propri interessi piuttosto che gli americani per aver difeso i propri. Emmanuel Macron, che è il meno stupido dei leader europei (come quando predisse la “morte cerebrale della Nato”), ieri ha detto che “l’Europa ha esagerato con la deindustrializzazione”.

Abbiamo esagerato con l’ideologia green, ad esempio.

E i dati demografici non ci dicono tutto ma spesso sì, disciplina che il mondo intellettuale, formattato da software marxisti, rifiuta perché fornisce informazioni sulla realtà e il più delle volte invalida l'ideologia che non vive di realtà ma di finzioni, e di noi dicono che “balliamo sul Titanic”.

Siamo un museo dove abbiamo paura a esporre dei pupazzetti inseguiti da terroristi. Qualche anno fa la galleria Mall di Londra ha censurato i quadri su una famiglia di pupazzetti che popolano una valle incantata. L’opera, intitolata “L’Isis minaccia Sylvania“, è stata rimossa dopo che la polizia ha parlato di “contenuto potenzialmente incendiario”.

“Il ​​lusso di essere un declinista è un effetto collaterale della comodità” dice il romanziere algerino Kamel Daoud.

Che si sia allarmisti o ottimisti, idealisti o realisti, l'Europa dovrà ora contare su se stessa, meglio tardi che mai e contro la correttezza politica che è un sintomo della malattia, non la malattia stessa. “Incapace di reagire, la vecchia élite meritava di essere spazzata via”, dice un intellettuale centrista come Giuliano da Empoli a Le Figaro.

A febbraio, JD Vance è andato a Monaco ad accusare l’Europa di impedire la libertà di espressione sull’immigrazione. Un mese dopo, i giudici francesi hanno tolto dalla corsa presidenziale la politica più popolare del paese, Marine Le Pen. Mi ha colpito un articolo scritto da Alain Finkielkraut, filosofo ebreo, liberal-conservatore, non certo un militante lepenista:

“Oggi, nulla ferma la magistratura. Rompendo con lo spirito del liberalismo, non conosce più limiti. Infrange tutte le regole, disprezza tutti i principi per soddisfare i suoi giusti impulsi. Nessuno osa sollevare la minima obiezione prima di nascondersi dietro la separazione dei poteri e imporre così la propria egemonia. Ritiene che tutti i mezzi siano appropriati per rimuovere i leader politici che ritiene malpensanti e per punire coloro che osano mettere in discussione le sue pratiche. Con questo sistema giudiziario fuori controllo, nessun governo è in grado di influenzare il corso degli eventi. La sinistra e la destra dovrebbero ribellarsi insieme a questa deriva. È in gioco il futuro della politica e perfino della nazione”.

Anche questo rientra nel declino europeo.

Per continuare a giocare nella massima serie, l'Europa deve dotarsi di tutte le leve del potere, ma prima di tutto del riarmo morale, che è fondamentale tanto quanto il riarmo militare. Sarebbe necessario che si riconnettesse con il suo passato di civiltà e con la sua identità culturale, mentre un califfato globale addestra soldati fanatici dell'Islam che invocano la distruzione dell'Occidente “infedele” e del suo avamposto ebraico, Israele.

Per tornare alla Storia a cui Francis Fukuyama credeva di aver posto fine con la sua esultanza messianica venata di patetici raziocinii neo-hegeliani, il Vecchio Continente ha bisogno di una strategia realistica e coerente.

Dovremmo considerare il trumpismo come una sveglia, un'opportunità per l'Europa, piuttosto che come una maledizione, per un continente senza difese, senza frontiere, snervato, che non smette di pagare i suoi errori ideologici osservando le cifre del declino e dove è tempo di dargli una scossa.

Ma questo è il tallone d'Achille dell'Europa in questi tempi di grande turbolenza, di riconfigurazioni diplomatiche, geopolitiche e perfino geografiche decisive e pericolose per tutti. Che l'Europa non solo non vuole essere odiata e non la teme più nessuno; l’Europa odia talmente sé stessa al punto da preferire di essere spazzata via.

Ma non siamo ancora annegati del tutto. Alcuni europei sceglieranno la barca. Altri sceglieranno l'elicottero. E alcuni non faranno alcuna scelta.

Sono quelli che pensano di vivere ancora nel Mondo di ieri.

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