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Libero Rassegna Stampa
28.03.2025 Se sei di sinistra puoi fare ciò che vuoi
Commento di Daniele Capezzone

Testata: Libero
Data: 28 marzo 2025
Pagina: 1
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: «Prodi perdonato: se sei dei 'loro' tutto è concesso»

Riprendiamo da LIBERO di oggi 28/03/2025, a pag. 1, con il titolo "Prodi perdonato: se sei dei “loro” tutto è concesso", il commento di Daniele Capezzone. 

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

Tira i capelli alla giornalista e va bene così. In un periodo in cui c'è gente che finisce in carcere per una pacca sul sedere e le "micro-aggressioni" alle donne sono uno stigma sociale gravissimo, per Prodi c'è l'eccezione, la corsia preferenziale. Se lo fa lui, alle femministe sta bene così e la stampa di sinistra non ne parla, dopo aver negato i fatti.

Manca solo che, a questo punto, qualcuno chieda a Lavinia Orefici di scrivere – lei – un messaggio di scuse a Romano Prodi per aver infilato a tradimento una sua ciocca di capelli tra le dita del povero e incolpevole Professore.
Giova precisare che si tratta di una battuta paradossale: perché, con l’aria che tira, qualcuno potrebbe fare veramente qualcosa del genere.
Ieri mattina sfogliare diversi giornali era davvero un’esperienza psichedelica.
Sulla Stampa – quotidiano rimasto imperterrito su una linea di censura pressoché totale sull’argomento – tutto è stato liquidato con un microscopico box a pagina 10. Peraltro con un titolo farlocco: «Le scuse di Prodi». La realtà è che Prodi non si è affatto scusato con la vittima del suo gestaccio. Al massimo – dopo cinque giorni di bugie e negazione dell’evidenza – ha parlato di «errore», salvo rifugiarsi nell’avventurosa formula della «gestualità familiare». A prenderlo sul serio, se ne deduce che casa Prodi debba essere un posto movimentato: al primo diverbio, qualcuno ti acciuffa per i capelli.
Con evidenza maggiore (ma solo il Corriere della Sera a pagina 15), ha scelto a sua volta di far credere ai lettori che il padre nobile della sinistra si sia scusato: «Ora le scuse, ma lo scontro resta». La cosa curiosa è che nell’articolo – assai corretto – firmato da Fabrizio Caccia si mette nero su bianco che le scuse non ci sono state. E tuttavia – magie della titolazione – il lettore che si sia fermato solo al titolo si sarà convinto del contrario. Inutile girarci intorno: i grandi giornali, dopo aver protetto Prodi per quasi una settimana, ieri, nell’urgenza di chiudere il caso, sono arrivati a “prestargli” una gentilezza che lui non ha avuto.
Quanto a Repubblica, per trovare un articolo sull’argomento ieri i lettori sono dovuti arrivare – cammina cammina – fino a pagina 23.
Qui almeno non sono state inventate scuse da parte o a favore del Professore. In compenso, non è mancato un tocco lirico sulla vita del Prof: «A 85 anni gira instancabilmente il mondo», «il disimpegno americano lo preoccupa». E quindi capite bene che se giri per il mondo e Trump ti angoscia, dev’essere per lo meno comprensibile che tu ti metta a tirare le ciocche della prima malcapitata giornalista che ti capiti a tiro.
Scherziamo, amici lettori, ma onestamente c’è poco da ridere.
Non ce ne voglia la brava Lavinia Orefici. Ma il caso – ormai – non riguarda più lei, che resta creditrice di scuse non ricevute. Il caso riguarda semmai – per l’ennesima volta – un sistema mediatico ancora largamente controllato dai progressisti (anche per il sonno, le distrazioni, le inerzie dei conservatori), in modo da consentire ai loro amici – calcisticamente parlando – di giocare sempre “in casa”, mentre i loro avversari sono perennemente “in trasferta”.
Fateci caso: quando è nei guai per qualsiasi ragione un esponente di centrodestra, è un gioco da ragazzi – sui giornali e in tv, ormai quasi senza eccezioni – costringerlo sulla difensiva, imporgli costantemente lunghe spiegazioni e autodifese per tentare di dimostrare di non essere come viene descritto-rappresentato-disegnato.
Quando invece il problema è a sinistra, arrivano subito i barellieri, gli infermieri, gli assistenti sociali e spirituali a confortare il malcapitato, che ne esce più o meno come un santo (laico, si capisce).
Nel magico mondo della sinistra, di chi ama definirsi “liberal” ma non sa cosa sia il liberalismo, la narrazione stravince sempre sui fatti. E la narrazione – a sua volta – è basata su una preventiva assegnazione delle parti: di là i cattivi (di volta in volta, populisti-fascisti-razzisti-trumpiani), di qua i buoni (rossi-rosé-fucsia-sfumature varie).
Secondo un format rigidissimo e a ruoli fissi, i cattivi hanno sempre torto, anche quando siano evidentemente le vittime; mentre i buoni hanno comunque ragione, qualunque cosa dicano o facciano.
Curioso, eh? I detrattori di Donald Trump gli hanno spesso rimproverato (talora, ammettiamolo, a ragione), una propensione alla post-verità, a una post-truth manipolata e ricostruita a posteriori in base a esigenze di riadattamento propagandistico delle cose. Peccato però che loro (gli autonominati “buoni”) siano i campioni incontrastati della pre-truth, cioè di una verità preconfezionata a tavolino, in cui i torti e le ragioni non dipendono da ciò che si fa ma da ciò che si è. Anzi, da chi si è. E se – per tua fortuna – sei nel perimetro del pensiero accettato, delle opinioni ammesse, allora puoi fare qualunque cosa. Proprio come Prodi.

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