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La Repubblica Rassegna Stampa
25.03.2025 Come si comporterà Trump con Bin Salman?
Commento di Maurizio Molinari

Testata: La Repubblica
Data: 25 marzo 2025
Pagina: 15
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Il fattore petrolio»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 25/03/2025, a pag. 15, con il titolo "Il fattore petrolio", il commento di Maurizio Molinari.

Molinari: “Le sorti dell'Italia sono decisive per quelle dell'Europa” -  Mosaico
Maurizio Molinari

I colloqui Usa-Russia si stanno tenendo tutti in Arabia Saudita, padrone di casa è il principe reggente Mohammed Bin Salman. La domanda ora è: come si comporterà Trump con Bin Salman?

Il tavolo Usa-Russia di Riad sull’Ucraina resta in bilico fra un vulnerabile cessate il fuoco e un’accelerazione della guerra con il risultato di mettere in rilievo l’unica certezza finora acquisita: il ruolo di mediatore dell’Arabia Saudita e dunque del principe ereditario Mohammed Bin Salman, meglio noto come Mbs. Per comprendere il valore e l’importanza del “fattore Mbs” bisogna guardare alla quotazione del greggio: un anno fa era di 84 dollari al barile mentre oggi è sceso a 68. Questo significa che se durante la campagna elettorale Usa contribuiva a tenere alta l’inflazione che allontanava gli americani dall’amministrazione Biden, ora ha l’effetto opposto, consentendo a Trump di poter affermare che i prezzi dell’energia stanno scendendo come aveva promesso.

Anche perché il costo del barile è inferiore anche ai 78 dollari al barile del giorno dell’Inaugurazione: un prezzo destinato adiventare la linea rossa della credibilità dell’attuale presidente sull’inflazione.

E tale discesa del costo del greggio nasce dalla decisione presa a inizio mese dall’Arabia Saudita di spingere otto Paesi rilevanti dell’Opec+ ad aumentare la produzione a partire da aprile per 18 mesi, fino al settembre 2026, ponendo termine al lungo periodo di tagli iniziato a fine 2022: un impegno di sostanza non solo perché viene dal primo Paese produttore, le cui quote sono decisive per orientare le politiche collettive, ma anche perché accompagna la dichiarata intenzione di Trump di raggiungere la fine della guerra in Ucraina entro Pasqua. E qui entra il fattore-Russia perché nel 2024 Mosca ha registrato un calo della produzione di greggio a causa dell’impatto delle sanzioni ma ha visto i proventi delle vendite salire del 2 per cento proprio grazie ai prezzi alti voluti da Bin Salman. Dunque, il “fattore Mbs” legato al greggio giova a Trump su due fronti: fa scendere l’inflazione negli Usa e mette sotto pressione Putin per spingerlo ad accettare la fine del conflitto.

Da qui la domanda su cosa ottiene Bin Salman in cambio dalla Casa Bianca e la risposta è su tre livelli. Il primo, e più importante, ha a che vedere con la sua legittimazione internazionale. Se Joe Biden aveva detto di voler trasformare Mbs in un “paria” per aver ordinato nel 2018 la brutale eliminazione del giornalista Jamal Khashoggi nel consolato saudita di Istanbul e aveva poi accettato di incontrarlo al G20 del 2022 senza stringergli la mano ma limitandosi a un first bump — toccandogli il pugno — Trump invece non fa alcun riferimento al reporter assassinato mentre ritiene prioritario il pieno coinvolgimento di Bin Salman nella creazione dei nuovi equilibri regionali e globali. Biden aveva offeso Bin Salman nell’onore personale — il valore più importante in assoluto per le tribù del deserto — mentre Trump fa l’esatto opposto, trasformandolo nell’anfitrione della riconciliazione con Putin.

Da qui al secondo livello il passo è breve perché se l’accordo Usa-Russia sull’Ucraina vi sarà, la conseguenza sarà un’intesa privilegiata Usa-Russia-Arabia Saudita ovvero fra i tre maggiori produttori di energia del Pianeta, con la conseguente possibilità di governare il motoredella crescita globale, mettendo sulla difensiva ogni altra grande economia, a cominciare dalla Cina.

Ma non è tutto perché c’è anche un terzo livello dell’intesa, personale e strategica, fra Trump e Bin Salman e ha a che vedere con il futuro assetto del Medio Oriente in quanto l’entrata di Riad negli “Accordi di Abramo” punta a creare un’area di stabilità e sicurezza, grazie alla convergenza fra risorse arabe del Golfo e tecnologia israeliana, destinata a diventare un ponte di commerci fra India, Europa Occidentale e Stati Uniti. Non a caso Trump ne ha parlato al presidente indiano Modi indicando la rotta di “un corridoio India-Arabia Saudita-Israele-Italia-Stati Uniti” destinato a fare concorrenza alla “Nuova Via della Seta” di Pechino, con il vantaggio di evitare anche le tariffe del Canale di Suez.

Si spiega così l’effetto collaterale del patto Trump-Mbs: la forte crescita della pressionemilitare Usa contro l’Iran. Sono almeno due le portaerei americane che fanno rotta verso gli Stretti di Hormuz mentre il Pentagono bersaglia ogni giorno le basi degli Houthi in Yemen e Israele accelera la resa dei conti contro Hamas a Gaza. Il messaggio agli ayatollah di Teheran è eloquente: le organizzazioni terroristiche che ha costruito sono al tramonto e deve rinunciare in fretta anche al proprio programma nucleare, per evitare il peggio.

Resta da vedere come Trump e Bin Salman affronteranno i molti e difficili ostacoli sul cammino: dalle ambiguità strategiche di Putin alle resistenze politiche di Zelensky, dalle ambizioni globali del Qatar alla ricostruzione della Striscia di Gaza, dalla conclusione del conflitto israelo-palestinese fino ai pericolosi exploit neo-ottomani di Recep Tayyip Erdogan. Ma possono esserci pochi dubbi sul fatto che il 47° presidente americano ha scelto l’erede al trono wahabita come partner privilegiato per tentare di ridisegnare gli equilibri globali attorno a un’intesa su potere, onore e greggio.

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