Israele, non ci sarà la guerra civile Analisi di Micol Flammini
Testata: Il Foglio Data: 22 marzo 2025 Pagina: 1 Autore: Micol Flammini Titolo: «Israele nella nebbia»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 22/03/2025, a pag. 1/XVI, con il titolo "Israele nella nebbia", l'analisi di Micol Flammini.
Micol FlamminiQuesta crisi non è come le altre, ma in Israele ci sono democrazia e libertà, quindi non aspettatevi una guerra civile. La situazione internazionale crea fratture interne, ma Israele supererà anche questo momento
Roma. “Non ci sarà nessuna guerra civile! Nello stato di Israele vige lo stato di diritto e, in base alla legge, il governo decide chi sarà il capo dello Shin Bet. ShabbatShalom”, ha scritto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu dopo la notte in cui il suo esecutivo ha votato per licenziare Ronen Bar, il capo dell’antiterrorismo, che era stato già allontanato dal processo negoziale tra Israele e Hamas e adesso cacciato dal suo incarico. Il premier ha parlato di mancanza di fiducia, la Corte suprema ha detto che la fiducia non è un motivo sufficiente per creare un precedente storico come il licenziamento del capo dello Shin Bet e ha invalidato la decisione del governo. Ronen Bar ha mandato una lettera all’esecutivo per spiegare da dove nasce la decisione del premier, accusando Netanyahu di essere un pericolo per la nazione.
Bar accusa il premier di voler impedire ogni inchiesta sul suo conto, inclusa quella che ha a che fare con i fondi del Qatar destinati a uno dei suoi collaboratori. Nella lettera Bar riferisce dell’indagine interna per sollevare dalle proprie responsabilità lo Shin Bet nei fallimenti del 7 ottobre, ma evidenzia anche responsabilità politiche, come la decisione di non assassinare alcuni leader di Hamas, di far passare i soldi del Qatar per arricchire i membri del gruppo terrorista e di non aver prestato attenzione nel delineare il profilo di alcuni collaboratori messi in ruoli apicali del gabinetto del premier. Alla lettera di Bar, pubblicata poi su diverse testate, sono seguiti i messaggi di una fonte anonima che hanno raggiunto alcuni giornalisti per accusare direttamente Ronen Bar del 7 ottobre: sapeva tutto, non ha fatto nulla, non ha voluto informare il primo ministro, ha lasciato che accadesse. Molti, anziché pubblicare la notizia, hanno mostrato i messaggi ricevuti e hanno indicato un nome e un cognome per questa fonte anonima: Benjamin Netanyahu. Il premier, secondo un gruppo nutrito di giornalisti, avrebbe messo in giro teorie del complotto per colpire Bar, fermare le proteste degli israeliani e creare una nebbia informativa che in un momento di scontento, ferita e rabbia non può che arrecare ancora più danno allo stato ebraico. Non ci sono prove che sia stato il primo ministro a ordire le teorie del complotto e secondo una ricostruzione del Jerusalem Post, Netanyahu nella riunione a porte chiuse con i suoi ministri avrebbe detto che il licenziamento di Bar non ha nulla a che vedere con la lealtà personale, ma con la decisione del capo dello Shin Bet di esporsi pubblicamente, di prendere delle posizioni politiche riguardo alla commissione d’inchiesta sul 7 ottobre senza consultarlo prima in privato.
Secondo alcune ricostruzioni, Netanyahu ha iniziato a maturare l’idea di licenziare Bar, dopo essere riuscito ad allontanare, tra gli altri, l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant (rimosso) e il capo dell’esercito Herzi Halevi (dimesso), e soprattutto durante il suo viaggio negli Stati Uniti, quando, dopo aver incontrato Donald Trump, ha iniziato a usare in modo sempre più abbondante nei discorsi le parole “Deep State” e a rivendicare la necessità di una caccia capillare ai suoi esponenti. Bar è stato prima estromesso, insieme al capo del Mossad David Barnea, dai colloqui con Hamas per la liberazione
degli ostaggi, ormai falliti: i “no” dei terroristi hanno portato a una nuova guerra dentro la Striscia di Gaza. In questo momento la nebbia dell’informazione è fitta. Tutti parlano, tutti si accusano. Le famiglie degli ostaggi chiedono di riprendere i negoziati, i famigliari degli ostaggi defunti accusano il premier di non aver mai voluto concedere alla squadra negoziale un mandato più ampio che avrebbe potuto sbloccare le trattative in tempi rapidi: l’accusa è stata mossa anche da Jonathan Polin, padre di Hersh, ucciso da Hamas in un tunnel di Khan Younis. Le manifestazioni che in questi giorni hanno avuto come epicentro Gerusalemme sono state rabbiose e di un disordine insolito. Gli israeliani stanno accumulando rivendicazioni e preoccupazioni: gli ostaggi rimasti a Gaza, l’inefficacia della campagna per sradicare Hamas, il governo diventato irrefrenabile, le dimissioni e i licenziamenti, il senso di insicurezza. E soprattutto: la necessità che venga stabilita la verità sui fallimenti del 7 ottobre attraverso un processo che sia trasparente.
Netanyahu dovrà decidere se dare retta o meno alla decisione della Corte suprema che ha rigettato il licenziamento di Bar. Alcuni ministri, tra i quali è tornato a tuonare Itamar Ben-Gvir, leader di Otzma Yehudit, il partito di estrema destra Potere ebraico, hanno già detto di non avere intenzione di dare retta alla Corte e quindi di essere pronti a proseguire con la nomina di un nuovo capo per lo Shin Bet. Il Business Forum, un’associazione di oltre duecento imprenditori israeliani, ha detto che se verrà aperta una crisi costituzionale allora “faremo appello all’intera opinione pubblica affinché cessi di onorare le decisioni del governo in tutte le implicazioni, anche bloccando l’economia israeliana”. I sindacati hanno detto che la decisione della Corte rappresenta una linea rossa.
Non è la guerra civile, ma uno dei momenti di maggior confusione dello stato ebraico con sette fronti di guerra aperti.
Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/5890901, oppure cliccare sulla e-mail sottostante