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Libero Rassegna Stampa
22.03.2025 La sharia a Torino
Cronaca di Claudia Osmetti

Testata: Libero
Data: 22 marzo 2025
Pagina: 16
Autore: Claudia Osmetti
Titolo: «Il bimbo eroe che ha salvato la mamma segregata dal papà fanatico di Allah»

Riprendiamo da LIBERO del 22/03/2025, a pag. 16, con il titolo "Il bimbo eroe che ha salvato la mamma segregata dal papà fanatico di Allah" la cronaca di Claudia Osmetti. 

Claudia Osmetti
Claudia Osmetti

A Torino, una donna continuamente picchiata dal marito islamico (fino a farla abortire) è stata salvata dal figlio di 7 anni che, a un certo punto, ha deciso di denunciare la situazione alla polizia. A Torino. Non a Kabul.

Toh, la Torino multietnica.
La Torino del centrosinistra che sarà «la prima città italiana ad avere i luoghi di raccolta delle segnalazioni per l’islamofobia». La Torino aperta, dei propal che manifestano all’università e dei grandi annunci del sindaco dem Stefano Lo Russo per «abbattere gli stereotipi». E poi, però, anche la Torino della realtà: la Torino di un bimbo di appena sette anni, nato e cresciuto in una famiglia musulmana, di origini egiziane, che salva la madre dal giogo della Sharia, che chiama la polizia e denuncia il padre violento, il padre padrone, il padre che nel nome del Corano tratta la moglie come uno straccio usato.
È una storia di integrazione anche questa, da un certo punto di vista: ma solo perché questo ragazzino che ha l’età per frequentare la seconda eled’andare a scuola) accompagna la mamma al pronto soccorso. Lei, che è giovane, ha trent’anni, ha il viso gonfio e zoppica. Ha da poco subito un pestaggio, l’ultimo: suo marito l’ha ridotta in quel modo, l’ha quasi ammazzata, per costringerla a piegarsi alla legge islamica.
Sono dieci anni che la donna sopporta ogni sorta di vessazioni. È stata picchiata. È stata stuprata. È stata costretta ad abortire quando l’ecografia le ha detto che aspettava una femminuccia: le donne «portano solo guai». È stata segregata e trattavata come una schiava.
Controllata a vista neanche fosse un carcerato di massima sicurezza. Non ha potuto lavorare, imparare la lingua del Paese nel quale si era trasferita.
Non le hanno dato nemmeno le chiavi della sua abitazione.
«Di fatto», si legge negli atti giudiziari del caso (perché la vicenda è finita con un procedimento per maltrattamenti e lesioni aggravati e il gip Paola Odilia ha deciso il divieto di avvicinamento per l’uomo a mille metri da lei e dai suoi figli, lo stop a tutte le comunicazioni e la misura del braccialetto elettronico) riportati dal quotidiano La Stampa, «esercitava una facoltà consentita dall’islam di sciogliere il vincolo davanti a dio ma senza formalizzare il divorzio. Anzi, minacciando lei di non farlo e costringendola a stare con lui».
«Fai schifo. Non ti guardi allo specchio? Non vali nulla. A Porta Palazzo ne compro quattro comete, a un euro». “Compro”, manco si trattasse di merce esposta al mercato. Nel 2019, durante un viaggio in Egitto, la 30enne sarebbe addirittura stata molestata sessualmente dal suocero e quando non ha potuto più tacere si è sentita rispondere che «la soluzione del fatto» sarebbe stata «rimessa alla decisione dei saggi del villaggio».
Un matrimonio forzato all’origine, nel 2015. Un matrimonio dal quale è anche nato questo bimbo eroe di sette anni che la mattina va in classe e nel pomeriggio va all’oratorio e che a un certo punto ha detto basta. Ha detto non è giusto, così non va. Se ne è accorto, lui, piccino, quando tutti attorno non s’erano accorti di niente. Quando su episodi del genere non si sente il lamento di un corteo progressista, di un quarto di sit-in che si sloga le mascelle per denunciare (giustamente) il patriarcato occidentale ma che sta zitto quando lo stesso patriarcato (e pure più violento) viene “giustificato” da una cultura diversa.
Forse è il caso di imparare qualcosa da questo bambino che ha semplicemente fatto la cosa giusta. Forse è il caso di ricordare a chi, a Torino, sono.

 

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