Testata: Il Foglio Data: 22 marzo 2025 Pagina: 1 Autore: Giulio Meotti Titolo: «L’ostaggio all’Onu»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 22/03/2025, a pagina 1/XVI, il commento di Giulio Meotti dal titolo: "L’ostaggio all’Onu".
Giulio MeottiEli Sharabi parla all'ONU e il Palazzo di Vetro va in frantumi. 491 giorni in cui ONU e Croce Rossa si sono voltati dall’altra parte: per loro, gli ostaggi valgono meno di zero. In rassegna, a pagina 3, trovate il video della sua testimonianza a cura di Giorgio Pavoncello dal titolo: 'La testimonianza e l'accorato appello all'ONU di Eli Sharabi, sopravvissuto'in italiano
Roma. “Mi chiamo Eli Sharabi. Ho 53 anni. Sono tornatodall’inferno. Sono tornato per raccontare la mia storia”. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu non l’aveva mai sentito un discorso simile. Lo ha pronunciato uno degli ostaggi israeliani liberati il mese scorso dalla prigionia da Gaza, sfinito, si reggeva appena in piedi, senza più la moglie e le figlie, uccise da Hamas. “Il 7 ottobre il mio paradiso si è trasformato in inferno. Per 491 giorni, sono stato tenuto sottoterra nei tunnel del terrore di Hamas, incatenato, affamato, picchiato e umiliato. Sono sopravvissuto con avanzi di cibo, senza cure mediche e senza pietà”. Quando è stato rilasciato, Eli pesava 44 chili. Ne aveva persi 30, la metà del suo peso corporeo.
“Ho sognato di rivedere la mia famiglia e solo quando sono tornato a casa, ho scoperto la verità”, ha detto Sharabi al Consiglio di sicurezza dell’Onu. La moglie e le figlie massacrate dai terroristi di Hamas. Il corpo di suo fratello Yossi, assassinato durante la prigionia, è ancora in ostaggio. “Mentre mi trascinavano fuori, ho gridato alle mie figlie: ‘Tornerò’. Ma quella è stata l’ultima volta che le ho viste. Ho visto più di cento terroristi filmarsi mentre festeggiavano, ridevano, facevano festa nei nostri giardini mentre massacravano i miei amici e vicini”. Quando è arrivato a Gaza, una folla di civili ha cercato di linciarlo. “Mi hanno tirato fuori dall’auto, ma i terroristi mi hanno portato via di corsa in una moschea. Ero il loro trofeo”. Per i primi 52 giorni, Eli è stato tenuto in un appartamento. Era legato con delle corde. “Le mie braccia e le mie gambe erano legate così strettamente che le corde mi laceravano la carne. Non mi hanno dato quasi niente da mangiare, niente acqua e non riuscivo a dormire. Il dolore era insopportabile”. Poi Hamas lo ha portato in un tunnel. A cinquanta metri sottoterra. Le catene non gliele hanno mai tolte. “Quelle catene mi hanno lacerato fino al giorno in cui sono stato rilasciato. Ogni passo che facevo non era più lungo di dieci centimetri. Ogni passeggiata verso il bagno richiedeva un’eternità. Non riesco nemmeno a descrivere l’agonia. Era un inferno”. Gli davano da mangiare un pezzo di pita al giorno. La fame consumava tutto. “Mi picchiavano. Mi rompevano le costole. Non me neimportava. Volevo solo un pezzo di pane. Non c’era mai abbastanza cibo. A volte, se imploravamo abbastanza, ottenevamo qualcosa in più. Dovevamo scegliere: un pezzo di pita in più o una tazza di tè. A volte ci lanciavano datteri secchi, e sembrava il regalo più bello del mondo. Dovevamo implorare cibo, implorare di andare in bagno”. L’implorazione era la sua esistenza. Un giorno Eli si è tagliato con un rasoio per fargli credere che era ferito. “Sono crollato mentre andavo in bagno così avrebbero pensato che ero troppo debole e li avrebbero incoraggiati a darci altro cibo. Ha funzionato. Ci hanno dato altro cibo. Siamo sopravvissuti grazie a quelle piccolevittorie”. Ha fatto solo un bagno al mese, con mezzo secchio di acqua. Un giorno, un terrorista ha sfogato la sua rabbia su Eli. Gli ha rotto le costole. “Non sono riuscito a respirare correttamente per un mese”. L’8 febbraio Eli è stato rilasciato. Pesava 44 chili. “Meno del peso corporeo della mia figlia più piccola, Yahel. Ero un guscio di me stesso. Lo sono ancora”. Una rappresentante della Croce Rossa gli ha detto: “Ora sei al sicuro”. “Dov’era stata la Croce Rossa negli ultimi 491 giorni?”, ha detto ancora Eli all’Onu. “Dov’erano le Nazioni Unite?”. A redarre rapporti in cui Sharabi è ritratto come il colpevole del proprio rapimento e dell’uccisione dei suoi famigliari, ecco dov’era.
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