Testata: La Stampa Data: 21 marzo 2025 Pagina: 4 Autore: Anna Zafesova Titolo: «L’Europa di Zelensky: sicurezza per tutto il Continente e munizioni per 5 miliardi»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 21/03/2025, a pag. 4, il commento di Anna Zafesova dal titolo "L’Europa di Zelensky: sicurezza per tutto il Continente e munizioni per 5 miliardi".
Anna Zafesova
L'unico paese europeo che combatte e ha accumulato una lunga esperienza di guerra è l'Ucraina. Con un milione di uomini in campo, è anche il più grande esercito europeo. Al Consiglio d'Europa, Zelensky si offre come "piattaforma di sicurezza" per la difesa del vecchio continente disarmato.
«Tutto quello che serve per difendere il nostro continente deve essere prodotto qui, in Europa»: davanti al Consiglio Ue, Volodymyr Zelensky rilancia l’idea di una sicurezza europea che non dipenda più dalle alleanze transatlantiche, e propone l’Ucraina come piattaforma dalla quale ripartire. Mentre Kyiv, Mosca e Washington si preparano a iniziare lunedì prossimo un nuovo round di negoziati, la prospettiva di una possibile tregua sembra allontanarsi, e anche se il presidente ucraino menziona gli Stati Uniti come partner e alleato, è evidente che ci vuole una «nuova base della sicurezza europea». Quindi, Kyiv torna a chiedere aiuto all’Unione Europea – in particolare, Zelensky fa presente l’urgenza di uno stanziamento di almeno cinque miliardi di euro per le munizioni di artiglieria – ma si propone anche come risorsa per i nuovi progetti della difesa europea. Investimenti europei ed esperienza ucraina, soprattutto in campi come la guerra dei droni, per raggiungere una «indipendenza tecnologica» che possa colmare le lacune che si potrebbero creare a causa di un potenziale disimpegno americano.
Uno scenario sempre meno ipotetico, e il leader ucraino ieri non ha nascosto la sua amarezza nei confronti di Washington che si oppone all’entrata di Kyiv nella Nato: «Risolverebbe molti problemi, ma gli Usa non vogliono parlarne, ed è un grande regalo per i russi». Il leader di Kyiv continua comunque, mentre si pone come il portavoce della nuova autonomia strategica europea, il faticoso negoziato con Donald Trump. Ieri ha comunicato che da lunedì prossimo in Arabia Saudita partiranno i colloqui in cui la delegazione ucraina negozierà la tregua con gli americani, che a loro volta parleranno con gli emissari russi. Kyiv ha preparato una lista di bersagli dell’infrastruttura civile che dovrebbero venire esentati dagli attacchi russi nell’ambito della tregua parziale di 30 giorni, anche se Zelensky non ha nascosto il suo scetticismo rispetto a questo impegno di Putin, comunque «un passo indietro» rispetto al cessate-il-fuoco totale proposto da Trump. Sui dettagli tecnici del negoziato restano comunque numerosi misteri, e ieri Zelensky si è sentito in dovere di mettere in chiaro alcuni scenari, come quello degli Stati Uniti che «prendono sotto controllo le centrali elettriche ucraine», come ipotizzato dalla portavoce della Casa Bianca. «Tutte le centrali atomiche sono proprietà del popolo ucraino», ha tagliato corto, aggiungendo che in realtà nella telefonata si era discusso soltanto della centrale di Zaporizzhia, attualmente in mano alle truppe russe: «Se gli Stati Uniti vogliono toglierla ai russi e modernizzarla, possiamo discuterne, ma non si parla di un passaggio di proprietà». E sicuramente non si parla di un riconoscimento della Crimea annessa come territorio russo, ipotizzato da alcuni media come concessione che Trump vorrebbe fare a Putin: «Non ne abbiamo nemmeno discusso, è una penisola ucraina», ha precisato Zelensky durante una conferenza stampa in Norvegia.
Secondo il quotidiano moscovita “Kommersant”, martedì scorso il presidente russo avrebbe comunicato a un incontro con gli industriali di non aspettarsi una rapida soluzione della guerra contro l’Ucraina, e di voler rivendicare anche Odessa, minacciando in caso di rifiuto di vedersi riconoscere le regioni ucraine già occupate di aprire un’offensiva contro il porto ucraino sul Mar Nero. Minaccia che difficilmente potrebbe attuare in questo momento, ma che è sintomatica della scarsa disponibilità di Mosca di cercare una soluzione di pace. Un altro segnale sono i nomi dei negoziatori che il Cremlino manderà in Arabia Saudita: l’ex viceministro degli Esteri Grigory Karasin e l’ex direttore dell’Fsb Sergey Beseda, responsabile nel 2022 del Quinto dipartimento dei servizi russi, quello che aveva convinto Putin che gli ucraini non avrebbero opposto resistenza all’invasione. In altre parole, due “falchi”, privi però di posizione ufficiale e senza autonomia di manovra.
L’impressione è che Mosca scommetta non tanto sul negoziato sulla tregua, quanto su un dialogo bilaterale con Trump, e ieri il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha sottolineato come «il partito della guerra» sia ormai rappresentato dall’Europa, «in chiaro contrasto con quello che pensano i presidenti della Russia e degli Usa». Un altro attacco ancora più violento è arrivato dall’ex presidente Dmitry Medvedev, che in un post ha accusato il futuro cancelliere tedesco Friedrich Merz – che ha denunciato la «guerra di aggressione di Putin anche contro l’Europa» – di «mentire come Goebbels», augurandogli di «fare la stessa fine».
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