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Free Palestine è uno slogan sionista 21/03/2025


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Libero Rassegna Stampa
21.03.2025 Ricolfi: PD succube dei vip
Intervista di Pietro Senaldi

Testata: Libero
Data: 21 marzo 2025
Pagina: 1
Autore: Pietro Senaldi
Titolo: ««Pd succube dei vip perché alla politica ha sostituito l’etica»»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 21/03/2025, a pag. 1, con il titolo "«Pd succube dei vip perché alla politica ha sostituito l’etica»" il commento di Pietro Senaldi.

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Pietro Senaldi

Luca Ricolfi, sociologo

Dalla piazza di sabato scorso a Roma, con sul palco solo intellettuali e artisti, all’accorata difesa del Manifesto di Ventotene su Rai1 da parte di Roberto Benigni. Pare che la sinistra abbia delegato la difesa dei propri capisaldi culturali e la rappresentanza delle proprie idee a questa sorta di mediatori culturali. Lei ha una spiegazione?
«Domanda difficile, i fattori sono tanti. Però almeno due ingredienti del cocktail mi sembrano evidenti. Primo ingrediente: da almeno quindici anni, ossia dalla lapidazione di Walter Veltroni in poi, la sinistra non è stata più in grado di esprimere leader dotati al tempo stesso di spessore intellettuale e di carisma. Una situazione che il recente ringiovanimento del gruppo dirigente del Pd non ha fatto che aggravare, come ci si poteva aspettare, dato il trend delle istituzioni scolastiche. La distanza fra il livello di preparazione culturale e politica dei dirigenti del vecchio Partito Comunista e quello degli attuali dirigenti Pd è siderale, per non dire imbarazzante. Senza una cultura ampia, la difesa dei propri capisaldi culturali diventa una missione impossibile».

E il secondo ingrediente, professore?
«Il secondo ingrediente è la eticizzazione del discorso politico, sempre meno ancorato a obiettivi e rivendicazioni concrete, e sempre più volto ad affermare la superiorità morale dei propri valori, come quelli dell’inclusione e dell’accoglienza o i diritti delle minoranze sessuali. Ed è ovvio che, se la sostanza politica del tuo discorso è basata su imperativi morali piuttosto che su un vero programma politico, economico, sociale, diventa facile, e del tutto naturale, affidare il messaggio allo star system, sfruttando la popolarità dei suoi protagonisti. Un discorso di Benigni, per quanto arruffato (o proprio perché arruffato), impatta mille volte più di una mitragliata di slogan emessi dalla bocca di Elly Schlein o di Giuseppe Conte».
Bisogna premetterlo, Luca Ricolfi da tempo non è tenero con i peccati della sinistra italiana. Caposaldo della critica, il suo libro “Perché siamo antipatici. La sinistra e il complesso dei migliori (Longanesi), ormai più di una quindicina di anni fa.
Ma anche di recente il professore è tornato sul tema con, tra gli altri, “Il danno scolastico. La scuola di sinistra come macchina della disuguaglianza” (La Nave di Teseo) e “La mutazione. Come le idee di sinistra sono migrate a destra” (Rizzoli).
Questo fa del sociologo, oggi presidente della Fondazione Hume, una delle massime autorità sui travagli progressisti.

Quando è successo il passaggio di consegne di punto di riferimento politico dai parlamentari ai guitti?
«Ci sono alcune date significative. Il 1992, con l’esplosione di Mani Pulite. Ma anche il 1994-1995, con l’abbandono – a sinistra – del concetto di eguaglianza a favore di quello di inclusione, un processo voluto da Alessandro Pizzorno e vanamente ostacolato da Norberto Bobbio. La fine del primo governo Prodi, nel 1998. E, ultima tappa, la defenestrazione di Veltroni. Però una vera e propria data della svolta non esiste. La supplenza dello star system rispetto alla politica è un fiume carsico, che emerge e si inabissa periodicamente quando la politica è sputtanata, o semplicemente non è abbastanza a sinistra, o ancora più basicamente non scalda il cuore. Allora arrivano artisti, cantanti, attori, scrittori, studiosi, intellettuali, giornalisti-tribuni. Può capitare per un’inchiesta giudiziaria, ma più sovente quando un governo di sinistra non lo è abbastanza».

Ad esempio?
«Renzi che vara il Jobs Act, Minniti che fa gli accordi con la Libia, Enrico Letta che preferisce Mario Draghi a Giuseppe Conte».
Forse il primo episodio significativo è Nanni Moretti che va in piazza e sferza il partito. Ma lui ci teneva a mantenere le distanze, da «questi dirigenti con i quali non vinceremo mai». Oggi il rapporto attoè ri -intellettuali -politici più osmotico, il sindaco di Roma paga il palco della manifestazione indetta da Repubblica...
«Oggi il mondo della cultura interviene quotidianamente perché il governo è di destra, e l’antifascismo, diversamente dai programmi politici veri, è una canzone facile da cantare. Avete mai visto un concertone per il salario minimo legale?».

È una resa della sinistra sui suoi temi identitari?
«Alla fine è una questione di generi letterari, poesia contro prosa. La politica parla in prosa, lo star system – ma anche il pubblico – detesta la prosa, vuole la poesia.
Salire sulle navi che salvano i migranti è poesia, sostenere il salario minimo legale è prosa. Detto per inciso, è una delle ragioni della impopolarità di Carlo Calenda, il meno poetico dei nostri politici».

Non è partito tutto con la Rai3 di Angelo Guglielmi, la “Tv delle ragazze” e via discorrendo?
«No. La stagione 1985-2001 ha visto una straordinaria fioritura della satira politica, che non si sostituiva alla politica ma semmai la dileggiava, senza riguardi per nessuno. Sotto la sferza di Arbore, Dandini, Guzzanti, Marcoré cadevano tutti, pure i miti della sinistra, sbeffeggiata nei suoi tic e nelle sue innumerevoli debolezze. Nessuno, in quel gruppo, avrebbe mai assunto le posture da guru corrucciati che oggi assumono i vari Saviano e Scurati».

La satira ha perso indipendenza per diventare interprete organica della sinistra di potere?
«Ci sono eccezioni importanti, come Crozza e Checco Zalone, ma in generale la satira mi sembra non all’altezza. Per lo più non fa ridere, e più è politicizzata meno fa ridere. L’idea che possa esistere una “satira di sinistra”, o una “satira di destra”, è già di per sé la negazione della satira».

A sinistra è saltato il concetto di doppia verità, per cui oggi i dirigenti dem forzano la realtà, presente e passata, per plasmarla secondo un’unica visione?
«Esattamente. I dirigenti del vecchio Pci non credevano a quello che raccontavano alle masse, erano perfettamente consapevoli che una cosa è la realtà, altra cosa è la propaganda. I dirigenti della sinistra attuale, invece, non conoscendo la pratica della doppia verità, costringono se stessi a credere vere le cose che dicono.
Quindi non dispongono di un’analisi realistica della situazione».

La parabola di Silvio Berlusconi ha avuto un ruolo in tutto questo?
«Berlusconi ha fornito un formidabile bersaglio per le esternazioni delle celebrities, come le definisce Federico Rampini quando rileva gli stessi fenomeni negli Usa».

Chi conduce il gioco? Benigni che difende Ventotene come Elly Schlein meglio non potrebbe è paragonabile a un vignettista al quale un quotidiano affida la propria linea editoriale: sono saltati gli schemi o c’è un nuovo schema?
«C’è il vecchio schema dell’indignazione: mai studiare le carte, mai entrare nei dettagli, sempre scomunicare e demonizzare».

Forse gli elettori di sinistra preferiscono farsi dire le cose da intellettuali e artisti piuttosto che dai parlamentari. È vero?
«È così, ma la ragione è la solita: l’elettore progressista ama sentirsi moralmente superiore, e questo stato d’animo glielo procura più facilmente Benigni che Schlein».

Provoco. Non è che, nascondendosi dietro gli intellettuali, i politici dem sopperiscono all’assenza di relazione con l’elettorato, disintermediando la relazione tra potere e cittadinanza e realizzando il governo delle élite?
«Forse, ma è una delle tante conseguenze della riduzione della politica a morale».

Oggi forse il paradigma non è destra contro sinistra ma élite da una parte e cittadini dall’altra e gli intellettuali guidano il popolo per conto delle élite?
«In parte è così, ma la destra, almeno in Italia, non ha un establishment intellettuale che la sostiene: la destra è diversa anche perché fa politica senza il paracadute delle élite».

Anche negli Stati Uniti i democratici hanno provato a risolvere i loro problemi mobilitando lo star system. Perché è una mossa che non produce mai risultati validi, e perché invece ci si ricorre comunque?
«Non direi che non funziona mai. Con Barack Obama lo star system ha funzionato, con Kamala Harris non poteva funzionare perché ogni endorsement di una celebrity confermava l’equazione di Trump democratici=élite».

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