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La Stampa Rassegna Stampa
25.02.2025 Bucha: massacro, Putin mette i civili in fila e poi gli spara
Reportage di Francesco Semprini

Testata: La Stampa
Data: 25 febbraio 2025
Pagina: 4
Autore: Francesco Semprini
Titolo: «Ritorno a Bucha»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 25/02/2025, a pag. 4, il reportage di Francesco Semprini dal titolo "Ritorno a Bucha''.

HDI Italy ...
Francesco Semprini

Scene del massacro di Bucha, tre anni dopo. Il più celebre dei crimini di guerra russi ci ricorda cosa vuol dire essere occupati dalle forze di Putin. Ed è questa la Russia che oggi Trump vorrebbe normalizzare?

Vladislav Bodaremô è nato il 21 settembre 2001 ed è morto a marzo del 2022, la data precisa non è nota. Il cadavere è stato ritrovato giorni dopo la sua morte, in una delle fosse scavate dai russi per gettare i corpi senza vita degli oltre mille civili trucidati a Bucha. Gli hanno sparato sei colpi, numerosi ematomi e fratture. «È stato torturato e fucilato», racconta Maria, la nonna del ragazzo poco più che ventenne. In occasione del terzo anniversario dell'aggressione russa, è andata a trovarlo deponendo garofani rossi sulla sua lapide al memoriale di Bucha, dinanzi alla chiesa di Sant'Andrea. Sono 567 i nomi dei morti ammazzati e un equivalente numero di uccisi ignoti, a cui si aggiungono i dispersi in quello che è stato un efferato crimine di guerra commesso dalle truppe di Vladimir Putin.

Sono ancora vive le immagini della lunga colonna di blindati e carri armati che hanno occupato i sobborghi a nord della capitale, Bucha ma anche Irpin e Hostomel. In quest'ultima località si trovava Vladislav quando è stato preso dai soldati di Mosca: «Non era un soldato, lavorava per una società pubblicitaria, lo hanno prelevato mentre i russi andavano casa per casa a depredare di ogni bene». Il ragazzo è stato tenuto in una cella dell'aeroporto di Hostomel dove è stato vittima di torture. «Lo hanno raccontato diversi testimoni», spiega Maria un cappello di lana rosa in testa e due occhi azzurri colmi di lacrime. Scendono sul viso quando racconta l'epilogo: «Lo hanno portato nei pressi di Bucha assieme ad altri prigionieri, gli hanno sparato mentre erano in fila e poi lo hanno finito colpendolo da vicino, una feroce esecuzione».

La tragedia per la famiglia d Maria è proseguita oltre quel marzo di tre anni fa perché le truppe di Mosca si sono portati via due generi della donna: «Uno è nato in Russia ed in Russia è detenuto, come l'altro». Di loro non si sa più nulla. La donna spera che la guerra finisca ma alle condizioni giuste, la prima e imprescindibile è il rilascio dei prigionieri. «Sentendo social e media sembra che sia dipeso da noi se la guerra è iniziata e non dipenda da noi volerla chiudere», dice la nonna di Vladislav che ora è seppellito al cimitero del sobborgo di Kiev, assieme agli altri ucraini ammazzati nella mattanza del marzo 2022 e ricordati nel memoriale di Bucha.

«Il più piccolo aveva un anno e mezzo, il più grande un secolo di vita», racconta Padre Andrea, il sacerdote dell'omonima Chiesa. Indica alcune lapidi, per ognuna ha una foto sul telefonino, ritraggono lo scempio che i russi hanno compiuto sui rispettivi corpi: mutilati e bruciati. Senza misericordia. Una galleria dell'orrore. «Questa guerra è iniziata undici anni fa, per otto tutti l'hanno ignorata, poi quando tre anni fa c'è stata l'invasione e improvvisamente tutto il mondo se ne è occupato, ma adesso sembra che a pochi importi cosa ci potrebbe accadere», dice Don Andrea. Su Trump è perentorio: «Vuole la pace a tutti i costi sulla pelle degli ucraini». Rimette mano al cellulare: «Prima ha detto che terminava il conflitto in 24 ore, poi in una settimana, poi cento giorni, questo è lui». Indica sullo schermo una vignetta che ritrae Trump sotto Gesù Cristo crocifisso col presidente degli Stati Uniti che dice: «Se ci fossi stato io non sarebbe successo».

Bucha porta ancora i segni della mattanza, ma non sono tanti, qualche scheletro di palazzo sventrato, ma buona parte delle rovine sono state demolite, laddove è stato possibile si è ristrutturato, così come a Irpin. L'impressione è che si voglia ripartire ma ricordando e rivendicando giustizia, la ferita ancora sanguina, come viene ribadito nelle celebrazioni, in un anniversario a doppia andatura. Politica con la visita della delegazione Ue che punta a rilanciare il ruolo di Kiev e Bruxelles nelle trattative per il cessate il fuoco, e quella emozionale, del ricordo e della rabbia. Entrambi "rosso ematico", come i garofani portati sulle tombe dei caduti del "Cimitero del Bosco" (di cipressi), dove ogni settimana vengono aggiunte nuove file di loculi. I familiari vi trascorrono ore intere, seduti a piangere i loro cari, a parlargli, a volte a portargli doni, peluche, vessilli, ma anche cibo, un biscotto o un fetta di torta rustica lasciati in una ciotola accanto alla lapide. Ci sono anche una bottiglia di vodka e una lattina di birra, entrambe vuote.

Garofani rossi e bandiere giallo blu ovunque in questo anniversario che non ha visto manifestazioni imponenti e con una Maidan blindata dall'alta politica. Piccoli assembramenti come quello davanti al distretto militare di Podil, dove sfilano i familiari dei prigionieri e degli scomparsi in guerra. Irina e suo nipote hanno la foto del figlio tra le mani e la bandiera ucraina legata tipo mantello: «Era stato inserito nella lista degli scambi di prigionieri, da quel momento non abbiamo avuto più notizie». «La fine della guerra dovrebbe iniziare con passi che ristabiliscano la fiducia - ha detto ieri il presidente Volodymyr Zelensky -. Serve un'azione concreta, un passo del genere potrebbe essere la liberazione di migliaia di prigionieri». La pace senza misericordia ha vita breve. 

 

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