Zelensky torna a salire dicendo no a Trump Analisi di Anna Zafesova
Testata: La Stampa Data: 24 febbraio 2025 Pagina: 27 Autore: Anna Zafesova Titolo: «Se Zelensky torna a salire nei sondaggi dicendo no a Trump»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 24/02/2025, a pag. 27, l'analisi di Anna Zafesova dal titolo "Se Zelensky torna a salire nei sondaggi dicendo no a Trump".
Anna Zafesova
Volodymyr Zelensky cresce di popolarità dopo aver respinto le condizioni capestro che Donald Trump avrebbe voluto imporre all'Ucraina, privandola di tutte le sue risorse minerarie. Incredibile, a dir poco, che ora la minaccia di umiliazione arrivi dal leader dell'Occidente, dopo tre anni di guerra di invasione russa.
Nella serie televisiva "Servo del popolo", quella dove Volodymyr Zelensky aveva indossato per la prima volta i panni del presidente ucraino, una delle scene cruciali è quella in cui il suo personaggio straccia in diretta la bozza dell'accordo che imporrebbe al suo Paese di consegnare agli occidentali tutte le sue ricchezze, per diventare una economia agricola e una discarica di scorie nucleari. Un gesto che alla fine costerà al suo personaggio Vasily Petrovich Goloborodko le dimissioni, tra gli insulti del suo stesso popolo e l'irriverente rap che mette in musica la voce del presidente che manda a quel Paese i neocolonizzatori, per ricominciare una faticosa battaglia per i voti degli elettori.
Nella carriera politica di Zelensky, il suo destino e quello del suo personaggio si sono già intrecciati talmente tante volte da chiedersi, nell'eterno interrogativo della creatività, se l'autore si scrive il proprio destino o semplicemente intuisce l'inevitabile sviluppo dei fatti nella realtà. Ora, mentre i media ucraini e americani si combattono a colpi di indiscrezioni sulle nuove condizioni dell'accordo-capestro che Donald Trump vorrebbe imporre a Kyiv – per l'ammontare astronomico di 500 miliardi di dollari oppure "soltanto" 100, in cambio di garanzie di sicurezza nulle o quasi nulle, con inclusione dei territori per ora occupati dai russi o meno, compresi i porti e il petrolio o soltanto le miniere, e così via – molti sostenitori e consiglieri di Zelensky lo spingono ad accettare, a firmare, a non impuntarsi. «Appena firmiamo, l'uragano Trump andrà da qualche altra parte», argomenta Viktor Andrusiv, ex direttore dell'Istituto del futuro di Kyiv, a suo tempo uno dei think-tank che aveva lavorato per l'ascesa di Zelensky e del suo partito "Servo del popolo" al potere. L'idea è che «bisogna dargli almeno qualcosa», come hanno fatto tutti, Canada, Messico, Danimarca, ma non l'Ucraina: «Non gli abbiamo dato nulla».
Un personaggio dello spettacolo contro un personaggio dello spettacolo, un imprenditore contro un imprenditore: lo stesso leader ucraino aveva ribadito più volte di sentire delle affinità con il presidente americano. Eppure adesso si presenta come l'anti-Trump. Certamente non è la prima volta che Zelensky risponde di no di fronte a una minaccia mortale: tre anni fa, aveva rifiutato l'offerta di resa di Vladimir Putin, e il ricatto in quel caso erano le bombe e la morte, non le pressioni di un capo della Casa Bianca. Al quale peraltro Zelensky aveva già risposto di no all'esordio della sua carriera di presidente, nel 2019, rifiutandosi di incriminare Hunter Biden per presunti tangenti che avrebbe ricevuto a Kyiv. Una telefonata che costò a Trump un tentativo di impeachment, e nel suo odio verso Zelensky, talmente incontrollabile da sfogarlo in post che sembrano rendere impossibile qualunque "deal" con Washington. Ma il presidente ucraino – accusato da Trump, tra le altre cose, di essere un "pessimo negoziatore" – ha finora alternato risposte puntuali e puntute con silenzi diplomatici, mentre cercava di affondare l'ostilità americana nel consenso e nella solidarietà di una rete di alleati tessuta instancabilmente, che oltre ai Paesi europei ora include sauditi e turchi, e forse addirittura i cinesi, perché se è vero che, come scrive Andrusiv, «bisogna offrire qualcosa a Trump prima che glielo offra Putin», esistono potenzialmente anche altri offerenti, in un mondo che l'isolazionismo trumpiano contribuisce a rendere "multipolare" molto più di quanto l'avessero fatto finora le ambizioni dei Brics.
Da un «comico al potere» ai paragoni con Churchill nel 2022, fino al parallelo con il «Salvador Allende ucraino» negli ultimi giorni, per tornare a crescere nei sondaggi dopo gli insulti di Trump: Volodymyr Zelensky da potenziale vittima sacrificale del patto con Putin è tornato a essere un politico potenzialmente cruciale per una nuova Europa. Intanto, gli ucraini gli hanno perdonato la stanchezza della guerra, gli errori del protagonismo, la corruzione e la tendenza ad accentrare il potere a danno dei potenziali avversari, facendolo schizzare al 65% (dal comunque più che rispettabile 56% del 2024, anche se sotto il record del 78% del 2022, quando gli ucraini lo chiamavano "naikraschy", il migliore). Perché nei tre anni di guerra, tutti visibili sul suo volto ormai irriconoscibile rispetto ai manifesti del 2019, quando aveva vinto le elezioni come «presidente della pace», il leader di Kyiv non ha soltanto interpretato alla perfezione la parte dell'eroico capo della resistenza del bene al male. Non è più il piccolo Davide che sfida il brutale Golia: è un politico esperto, che confida (a volte troppo) nella sua bravura e nel suo carisma, esattamente come la sua nazione crede nel proprio coraggio e nella propria forza. Paradossalmente, proprio mentre da tre anni restituisce all'Occidente l'ispirazione a difendere i propri valori, Zelensky ha imparato la lezione amara della Realpolitik, e il cinismo esplicito della giravolta trumpiana ha appannato agli occhi degli ucraini e dell'Europa in generale il fascino della democrazia americana. A Kyiv oggi ci si rende perfettamente conto che, se la sopravvivenza dell'Ucraina verrà garantita dall'Europa, ciò dipenderà non tanto dai valori di libertà e giustizia che hanno in comune, quanto dalla consapevolezza di condividere la stessa minaccia da Est (e a questo punto anche da Ovest). E dalla capacità di Zelensky di convincere gli europei che il pericolo è reale e imminente.
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