Milano antifascista non si colora per i fratellini strangolati e torturati dai terroristi Newsletter di Giulio Meotti
Testata: Newsletter di Giulio Meotti Data: 23 febbraio 2025 Pagina: 1 Autore: Giulio Meotti Titolo: «Milano antifascista non si colora per i fratellini strangolati e mutilati dai terroristi»
Riprendiamo il commento di Giulio Meotti, dalla sua newsletter, dal titolo: "Milano antifascista non si colora per i fratellini strangolati e mutilati dai terroristi".
Giulio Meotti
Palloncini arancio per i bambini assassinati da Hamas. Ma la Milano di Sala rifiuta di rendere omaggio alle più piccole vittime israeliane. Sindaco Sala: vergognati!
“Guardi ci sarebbero moltissimi motivi per illuminare il Comune, il problema è tenere posizioni politiche” ha detto il sindaco di Milano Beppe Sala.
Effettivamente Sala ha sempre trovato moltissimi motivi per illuminare il Comune e quasi tutti inutili.
Ha illuminato la facciata di Palazzo Marino per i rifugiati.
Palazzo Marino ha deciso poi di abbassare le luci per la Giornata del risparmio energetico (Sala ha anche paragonato Greta Thunberg ad Anne Frank).
Poi Palazzo Marino si è tinto di blu per la festa dell’Europa.
Poi si è tinto di viola per le persone con disabilità.
Non lesinano colori a nessuno, i benpensanti comodi nei loro abiti firmati.
Ma il 7 ottobre, il sindaco di Milano disse no a illuminare il Palazzo di bianco e blu in segno di solidarietà a Israele. La bandiera israeliana e quella (orrenda) della pace rimasero appena 24 ore.
Adesso un altro no, persino più pesante del primo: niente colore arancione per i fratellini Bibas, uccisi e mutilati dai terroristi di Gaza (la Regione invece si colora). L’Associazione Milanese Pro Israele e il direttore del Museo della Brigata ebraica, Davide Romano, avevano chiesto un gesto simbolico. Attilio Fontana non ha esitato a illuminare la sua sede centrale in segno di omaggio. Ha capito che non si trattava di geopolitica, ma di decenza di base.
Sarebbe bello Sala ci ripensasse, ma ne dubito.
Lo stesso Palazzo Marino non ha ospitato il “Progetto Aisha”, dal nome della sposa bambina di Maometto? Aisha sì e i Bibas no?
Il sindaco di Milano non perde mai l’occasione di fare una predica al pubblico sui valori. Diversità, equità, inclusione, giustizia sociale, dignità umana, accoglienza: il solito sermone. Ma quando c’è in gioco qualcosa di autentico, la sua chiarezza morale, come quella di tutti i progressisti, si affievolisce all’improvviso.
New York si tinge di arancione per decisione della governatrice democratica Kathy Hochul, mentre il presidente argentino Javier Milei ha annunciato che nel suo paese si osserverà una giornata di lutto nazionale per i fratelli Bibas.
Perfino i più accaniti nemici di Israele, gli antisemiti di ieri e di oggi, sono tentati di mantenere un basso profilo dopo la notizia dello strangolamento e della mutilazione dei fratellini Bibas.
Un conto è decapitare un soldato, ma un bambino?
I medici presenti all’autopsia dei Bibas hanno parlato di “uno shock mai sperimentato prima”: “Se tutto ciò che è stato rivelato nelle ultime 24 ore sulle circostanze degli omicidi di Kfir e Ariel Bibas fosse reso pubblico, non ci sarebbe una sola persona nel paese che sosterrebbe un accordo che manterrebbe Hamas al potere. A livello personale, leggere i dettagli delle loro autopsie è stata una delle cose più difficili che abbia sperimentato da molto tempo”. Shiri Bibas è stata assassinata con i suoi due bambini.
Il 20 febbraio è accaduto qualcosa che ricorda le ore peggiori della storia. La restituzione di una madre e dei suoi due figli in bare esposte come trofei, come quella di un anziano che ha sempre sostenuto la causa palestinese, fa sì che è come se il tempo si fosse ripiegato su se stesso per farci sprofondare ancora una volta nel terrore.
Perché dopo l'orrore del 7 ottobre, ognuno aveva cercato di ripararsi a modo suo, intellettualmente, psicologicamente.
Ma di fronte a uno spettacolo del genere non c’è più alcuna sfumatura, nessuna evasione. La barbarie si traveste da virtù.
Oggi i terroristi hanno rilasciato Eliya Cohen, Omer Shem Tov e Omer Vankert. Hisham Al-Sayed, beduino israeliano, da dieci anni ostaggio a Gaza, verrà rilasciato a Gaza City, perché è un loro “fratello palestinese”, un musulmano, e non può essere trattato come gli ebrei. Avera Mengistu, un ebreo etiope che soffre di disturbi psichici, è stato tenuto prigioniero a Gaza per undici anni. Lui invece sul palco ce l’hanno messo.
Uno degli ostaggi liberati oggi è costretto da Hamas a baciare la fronte dei terroristi. Ma per il Corriere della Sera, “è in apparenza felice”.
Il giornalismo italiano non esiste più.
I terroristi hanno raggiunto il loro obiettivo. Imporre la loro presa sul tempo e sulla mente, immergere l’anima nel ciclo infernale del terrore e dell’impotenza, far rivivere l’incubo, dominarne la temporalità, organizzare l’orrore, programmarlo e metterlo in scena, trionfando sull’umanità che è in noi.
Tra la guerra, la famosa “continuazione della politica con altri mezzi” e l’inesprimibile che la vicenda Bibas ha rivelato, la differenza non è di grado, ma di natura. Mi ha colpito un post di Ersilia Soudais, importante deputata della sinistra francese: “Che Shiri, Ariel e Kfir riposino in pace, lontano dall’odio e dagli usi politici”. La stessa logica perversa di Sala.
Chiunque volesse relativizzare, moderare, sviare l’attenzione, sprofonderebbe con Hamas nell'abisso scavato da questa infamia. E questo è quello che hanno scelto di fare il sindaco e la giunta di Milano.
Quale causa esige il sacrificio di un bambino di 8 mesi, di un bambino di 4 anni e della loro madre?
Quale causa esige lo sterminio di un intero popolo?
Quale causa si alimenta del massacro di famiglie civili? Quale causa sublima la morte e non attribuisce alcun valore alla vita umana?
Quale causa può crescere i propri figli in modo che siano così fanatici da odiare altri bambini che nemmeno conoscono?
La stessa che li spinge a lasciare 70 corpi di cristiani senza testa in una chiesa.
In una lunga intervista sull’edizione del weekend del Wall Street Journal, il saggista inglese Douglas Murray dice che Israele dimostra di essere “perfettamente in grado di contrastare la provocazione che i jihadisti hanno sempre usato, ovvero: ‘Amiamo la morte più di quanto voi amiate la vita’. Come può una società liberale affrontare un culto della morte necrofilo? Sembra una sfida insormontabile”. “Se è vero che un bambino ebreo verrà restituito in cambio di 12 assassini adulti che scontano una condanna all'ergastolo, questa è una cosa molto, molto...”. La voce di Murray si spegne. Si riferisce a Kfir Bibas. “In un certo senso è follia, è follia. E d’altra parte, io, tu e tutti come noi, non preferiremmo vivere in una società che desidera riavere indietro un bambino?”.
Ecco perché è non soltanto vergognoso, ma complice col terrorismo la decisione di Palazzo Marino di non colorarsi di arancione.
Se ti rifiuti di chiamare “terrorismo” l’omicidio, lo stupro, la mutilazione e il rapimento di 1.200 civili innocenti; se si considera Hamas come un movimento di “resistenza” e i terroristi rilasciati da Israele come “ostaggi”; se non capisci la differenza tra un pogrom e un bombardamento; se diffondi la propaganda di Hamas parola per parola e numero per numero; allora sei fuori dall’Occidente.
Non perdono l’Onu.
Non perdono la Croce Rossa.
Non perdono la Sapienza e la Statale.
Non perdono gli specialisti del “sì, ma”.
Non perdono coloro che osano usare il termine “genocidio”.
Non perdono i canali di servizio pubblico per aver posto la domanda se Hamas sia un’organizzazione terroristica.
Non perdono i giornalisti e gli scrittori che hanno giocato per mesi con l’equivalenza morale fra una democrazia liberale fondata sui valori biblici e occidentali e una banda di terroristi tagliagole e infanticidi. Qui vorrei stilare un elenco e aggettivarli, uno a uno.
Ma l’elenco è troppo lungo per tutte quelle persone che dovrebbero essere soffocate nella vergogna. Ma Milano va nominata e deve vergognarsi. Da oggi, la loro retorica di “capitale dell’antifascismo e della resistenza”, la città del Memoriale al binario 21, vale meno di zero.
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