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Il Giornale Rassegna Stampa
19.02.2025 Il dolore di Israele per i simboli del 7 ottobre. Il sostegno di Trump
Commento di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 19 febbraio 2025
Pagina: 16
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Il dolore di Israele per i simboli del 7 ottobre. Il sostegno di Trump per eliminare i jihadisti»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi 19/02/2025 a pag. 16 il commento di Fiamma Nirenstein dal titolo: "Il dolore di Israele per i simboli del 7 ottobre. Il sostegno di Trump per eliminare i jihadisti".


Fiamma Nirenstein

Kfir, Ariel e Shiri Bibas sono stati uccisi. Lo ha annunciato Hamas che si prepara a restituirne i corpi a Israele. Erano diventati il simbolo del 7 Ottobre. E Kfir Bibas era il più piccolo fra gli ostaggi nelle mani degli islamici.

Ci vorrebbe finalmente un risveglio collettivo, una rivoluzione della coscienza per rispondere alle notizie relative alla famiglia Bibas che provengono  da un “ufficiale” di Hamas, Khalil al Hayya, che erede dei suoi boss eliminati come Sinwar e Mohammed Deif, ne annuncia la restituzione dei corpi per domani. Israele, benché da mesi la notizia fosse nota, ha confermato solo verso le 5,20 del pomeriggio: l’ondata di emozione che la terribile conferma porta con se secondo l’uso militare deve essere innanzitutto “mutar le pirsum” ovvero deve avvenire dopo che la famiglia sia del tutto informata. Così quattro corpi, o parti dei corpi, saranno recapitati a Israele, e nemmeno la notizia che sabato sei rapiti, stavolta vivi, verranno restituiti, porta un raggio di luce: Shiri, la madre che stringendo i suoi nati in una coperta, urla la fine della vita sua e delle sue creature di 9 mesi, Kfir, e Ariel di 3 anni, mentre li strappano da Nir Oz, è fra mille immagini di orrore imposte a Israele e al mondo il 7 di ottobre, la più simbolica. Quando Yarden, il padre rapito a sua volta e rimasto in cattività 484 giorni è stato restituito il primo febbraio, nessuno ha sorriso e inneggiato come si fa per gli altri che tornano. Ciò che è rimasto della famiglia di Yarden, ha subito chiesto distanza e silenzio, e così è stato anche ieri. Adesso che sui giornali e alla tv riappaiono le testoline rosse dei bambini e di Shiri, sale come sentimento maggiore il disgusto per un’opinione pubblica che ha voltato la testa, lo scandalo verso le istituzioni internazionali e i Paesi che non hanno mai chiesto l’ immediata restituzione dei rapiti, che non ha bombardato di messaggi e manifestazioni i mediatori, la Croce Rossa. Peggio ancora, agli amici di Hamas che invadono le piazze, le librerie, i media. La morte dei bambini e della loro mamma in cattività è il risultato della connivenza internazionale con Hamas, più esplicita espressione dell’antisemitismo contemporaneo non è data di vedere.  

Ieri si è saputa anche la buona notizia che sabato saranno restituti sei rapiti vivi, e dal punto di vista generale le improvvise concessioni numericamente più larghe del previsto dell’organizzazione terrorista di Gaza, segnalano un’evidente tremore interno, la paura del rovesciamento politico che ha portato nel rapporto con Gaza l’appoggio a Netanyahu che può finalmente preludere a un’azione decisa che tagli le gambe all’organizzazione jihadista. Per ora invece Netanyahu accetta le regole del gioco del pesantissimo dare-avere che prevede più di cento prigionieri palestinesi, condannati anche a vari ergastoli, contro un innocente rapito; per concludere questa fase Israele ha consegnato molte roulotte e strumenti di lavoro pesanti con cui Hamas vuole dimostrare di essere ancora responsabile della Striscia: ma le armi sono un’altra cosa, Hamas non ne ha e non può più riceverne, solo l’odio jhadista la rende sfacciatamente aggressiva mentre usa l’arma delle vite di ostaggi stremati e talora ridotti in fin di vita.

La promessa israeliana e americana di distruggere Hamas viaggia ancora oggi in parallelo con la spinta del governo verso l’ottenimento del maggior numero possibile di ostaggi, con poca fiducia nello slogan che li vuole “tutti, adesso” a casa. Hamas sa che quella è l’unica arma che ha in mano, e per ora cerca la conclusione della prima fase, perché al Cairo, dove si trovano tutte le delegazioni, si cominci a trattare la seconda, quella che Witkoff, il delegato di Trump, considera già è in corso. In quella fase, Hamas dovrebbe finalmente riconsegnare tutti gli esseri umani segregati nelle gallerie, e ottenere un totale cessate il fuoco. Ma qui si erge di fronte al disegno di utilizzare quel momento per ristabilire il suo potere, la promessa di Netanyahu e di Trump, sottolineato da Rubio durante la sua visita a Gerusalemme due giorni fa, che Hamas sparirà dalla scena, che è una banda di terroristi che deve essere eliminata. Sul futuro della Striscia si seguiterà a discutere, mentre l’Egitto prepara un suo progetto che rimette in gioco i palestinesi con poche speranze di riuscita e Trump tratta la fuoriuscita dalle rovine di Hamas e del suo popolo ormai radicalizzato senza speranza; l’espulsione di Hamas è numero uno negli obiettivi di pacificazione della zona. Molto più ragionevole di qualsiasi progetto che comprende nell’area il disegno distruttivo che è la bandiera palestinese dal 1948, sostenuta oggi dall’Iran. Se ve ne dimenticate per un momento, guardate le fotografie dei bambini BIbas e di Shiri.

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