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Libero Rassegna Stampa
18.02.2025 Meloni smonta Macron: la pace si fa con Trump
Cronaca di Fausto Carioti

Testata: Libero
Data: 18 febbraio 2025
Pagina: 3
Autore: Fausto Carioti
Titolo: «Meloni smonta Macron. «La pace si fa con Trump»»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 18/02/2025, a pag. 3 l'analisi di Fausto Carioti dal titolo “Meloni smonta Macron. «La pace si fa con Trump»”


Fausto Carioti

Perplessità di Giorgia Meloni sul vertice di Parigi organizzato da Macron per il sostegno all'Ucraina. Il vertice, oltre ad escludere molti paesi importanti, è esplicitamente organizzato contro Trump. Ma la pace si fa assieme a Trump, che è ancora il principale azionista della Nato, non si può fingere che l'Europa, militarmente debolissima, possa agire da sola.

La pace con Vladimir Putin va fatta insieme a Donald Trump. Allontanare la linea dell’Europa sull’Ucraina da quella degli Stati Uniti vuol dire fare il gioco del Cremlino. Dunque niente fughe in avanti, come quella proposta dal premier inglese Keir Starmer, favorevole a una missione europea di pacekeeping in territorio ucraino, e non assecondare certe ambizioni di grandeur di Emmanuel Macron. È questa, in sostanza, la linea con cui Giorgia Meloni si è presentata ieri al “vertice ristretto informale” organizzato all’Eliseo dal presidente francese.
Un appuntamento cui è giunta dopo gli altri leader perché prima, in tarda mattinata, ha voluto parlare alla Conferenza dei prefetti e dei questori del giro di vite che è necessario dare alle politiche dell’immigrazione: una sfida per la quale, ha anticipato, ci sono «nuovi obiettivi da raggiungere». Un modo, anche, per far capire che il governo italiano non si aspettava granché dal vertice di Parigi, ma si attende molto dai suoi funzionari.

TANTE «PERPLESSITÀ»

All’Eliseo è andata come previsto. A quanto si è appreso, la premier ha giudicato «interlocutorie», e dunque tutt’altro che decisive, le conversazioni avute lì.
Colpa, anche, del formato ridotto scelto da Macron. «Ho voluto essere presente per non rinunciare a portare il punto di vista dell’Italia», ha spiegato agli altri leader durante la discussione, ma non ha nascosto «perplessità riguardo un formato che esclude molte nazioni, a partire da quelle più esposte al rischio di estensione del conflitto, anziché includere, come sarebbe opportuno fare». Anche perché la guerra in Ucraina, ha ricordato, «l’abbiamo pagata tutti», e non solo gli otto Paesi europei i cui rappresentanti sono stati invitati dal presidente francese.
La presidente del consiglio, racconta chi le ha parlato, ha comunque giudicato il vertice «utile per confrontarsi sulle varie ipotesi in campo». E lei lo ha usato per bocciare, come già aveva fatto un anno fa in parlamento, quella che prevede il dispiegamento di soldati europei in Ucraina. «È la più complessa e forse la meno efficace», ha detto agli altri leader, e anche su questo ha espresso le «perplessità» dell’Italia.
La priorità debbono essere «le garanzie di sicurezza» per l’Ucraina e i suoi abitanti, perché senza di esse, ha avvertito, «ogni negoziato rischia di fallire». Anziché mandare militari lì, dunque, occorre esplorare altre strade, «che prevedano il coinvolgimento anche degli Stati Uniti, perché è nel contesto euro-atlantico che si fonda la sicurezza europea e americana». Gli Stati Uniti, ha insistito con i capi di Stato e di governo presenti, «lavorano a giungere ad una pace in Ucraina e noi dobbiamo fare la nostra parte». Per questo l’asse con Washington deve essere difeso e quello europeo non deve essere «un formato anti-Trump, tutt’altro».
È vero, ha detto ancora Meloni nel suo intervento, che il nuovo inquilino della Casa Bianca ha subito sferzato l’Europa, ma prima che lo facesse lui, ha ricordato lei a Macron e agli altri, «analoghe considerazioni sono state già state fatte da importanti personalità europee», ed erano rimaste ignorate. La sfida ora va raccolta e la risposta giusta è essere realisti, ovvero «concentrarsi sulle cose davvero importanti, come la necessità di difendere la nostra sicurezza a trecentosessanta gradi, i nostri confini, i nostri cittadini, il nostro sistema produttivo». E questo va fatto «non perché lo chiedono gli americani, ma perché sono i nostri cittadini a farlo». Parafrasando John Fitzgerald Kennedy: «Non dobbiamo chiederci cosa gli americani possono fare per noi, ma cosa noi dobbiamo fare per noi stessi».

«COSA STIAMO DIFENDENDO?»

Sempre a proposito di Stati Uniti, nel caso qualcuno in quella stanza avesse dubbi, Meloni ha voluto far sapere di condividere «il senso delle parole del vice presidente Vance», che a Monaco, nei giorni scorsi, aveva accusato l’Europa di essersi ritirata «da alcuni dei suoi valori più fondamentali, valori condivisi con gli Stati Uniti d’America». Concetti che pure lei, ha rimarcato, ha espresso più volte: «Ancora prima di garantire la sicurezza in Europa, è necessario sapere che cosa stiamo difendendo».
Oggi la premier incontrerà a palazzo Chigi il commissario Ue per gli Affari interni, l’austriaco Magnus Brunner. Gli auspici, in questo caso, sono buoni: Brunner ieri ha detto che «è molto positivo» ciò che l’Italia sta facendo in l’Albania.
Parlando a prefetti e questori, Meloni ha spiegato che l’obiettivo, ora, è «anticipare l’entrata in vigore di quanto previsto dal nuovo Patto di migrazione e asilo sulla definizione di Paese di origine sicuro», anche perché si sono visti «provvedimenti giudiziari che appaiono disattendere quanto stabilito con legge dal parlamento italiano».
Il riferimento è ai giudici che si sono rifiutati di convalidare i trattenimenti degli extracomunitari in Albania. L’argomento della “supremazia” del diritto Ue rispetto a quello italiano, ha ribadito la premier, non regge, «appare fragile», visto anche che «il più grande Paese europeo, la Germania, rimpatria migranti in Afghanistan, senza che questo sia reputato dai giudici tedeschi in contrasto con la normativa europea».

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