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Libero Rassegna Stampa
07.02.2025 Il futuro di Gaza: non c’è alternativa al piano di Trump
Commento di Giovanni Sallusti

Testata: Libero
Data: 07 febbraio 2025
Pagina: 15
Autore: Giovanni Sallusti
Titolo: «Non c’è alternativa al piano di Trump»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 07/02/2025, a pag. 15 con il titolo "Non c’è alternativa al piano di Trump" il commento di Giovanni Sallusti.

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Giovanni Sallusti

Gaza, tutti scandalizzati per la proposta di Trump. Ma ci sono alternative percorribili? Obiettivamente no e tornare al vecchio slogan due popoli in due Stati è anacronistico. Quindi, bene cambiare paradigma e pensare a proposte nuove.

Più risulta evidente che Donald Trump incarna un cambio di paradigma, più il Commentatore Unico nostrano tenta disperatamente di spacciarlo per gaffeur. Da quando poi ha toccato a lorsignori il loro luogo d’elezione, la Striscia di Gaza controllata dalle belve antisemite di Hamas, hanno abdicato a ogni barlume di analisi razionale.
Di razionalità ce n’è parecchia, viceversa, nel piano di The Donald. Certo, a patto di riconoscere l’invariante, il suo schema costante d’azione: l’innesco “al rialzo” di un dossier per stanare gli interlocutori. La Striscia trasformata in “riviera del Medio Oriente” con guida dei lavori americana significa anzitutto esplicitare una premessa ovvia, omessa se non capovolta dal dibattito globale, Onu e Unione Europea in testa. La premessa suona: non può più esistere una Striscia in mano ad Hamas. Non è più accettabile moralmente, e soprattutto è contrario agli interessi strategici americani e occidentali, che Gaza rimanga un incubatore di odio antiebraico e di terrorismo islamista. Non solo cessa il paradigma dei “due popoli due Stati” (un’oscenità collaborazionista, finché uno dei due è in mano a una banda di tagliagole che ha come ragione sociale la “cancellazione” dell’altro), ma tramonta anche la sostenibilità dello status quo: il Grande Ritorno dei palestinesi a Gaza City celebrato dai media, di nuovo sotto il dominio di Hamas.
In questo scenario ai civili di Gaza resta l’alternativa secca: complici del Terrore nazi-islamico, o perseguitati da esso.
Mentre, come ha dichiarato Trump, se fossero «reinsediati in comunità molto più sicure, con case nuove e moderne, nella regione, avrebbero davvero la possibilità di essere felici, sicuri e liberi».
Qui si annida il secondo messaggio (il primo è l’ineluttabilità del “post-Hamas”, come ha sintetizzato Netanyahu). Destinatario principale: l’Arabia Saudita, il più credibile partner di una ricostruzione “rivierasca” della Striscia in collaborazione con gli Stati Uniti. Il passaggio dal Terrore al benessere economico è esattamente l’approccio pragmatico e “sviluppista” perseguito dalla nuova leadership saudita, Bin Salman in testa.
In questo modo si chiuderebbe il cerchio: sarebbe l’entrata ufficiale dell’Arabia Saudita nell’impalcatura degli Accordi di Abramo, il ridisegno complessivo del Medio Oriente (altro che spiritosaggini sull’immobiliarista e i “resort”).
Certo, c’è la reazione di Riad, l’unica possibile in prima istanza: il “fermo sostegno” allo Stato palestinese (una fermezza retorica raramente riscontrata nella pratica, specie da quando Hamas agisce ufficialmente da proxy iraniano).
Ma, nel linguaggio trattativista di Trump, significa che l’argomento è sul tavolo, che siamo già in medias res (e l’Arabia non può prescindere dalle regole del gioco dell’alleato americano). Anche i destinatari secondari, quell’Egitto e quella Giordania che nell’ipotesi trumpiana dovrebbero ospitare sul proprio territorio buona parte della popolazione palestinese, dovranno per forza rendere più dialettico il loro No iniziale, a meno di sdoganare l’ipocrisia per cui la preoccupazione per il destino dei palestinesi è sempre stata esercizio parolaio.
Occhio poi alle coincidenze temporali: il piano di ristrutturazione post-Hamas di Gaza è stato annunciato nelle stesse ore in cui Trump firmava un ordine del giorno che ribadiva il principio della “massima pressione” sull’Iran degli ayatollah. Il ridisegno geopolitico complessivo, che implica l’implicita incoronazione di Netanyahu come kingmaker dell’area ed evoca il coinvolgimento diretto dell’Arabia Saudita negli Accordi di Abramo, va in parallelo con una postura americana chiara: la minaccia strategica principale è Teheran, è il totalitarismo sciita e l’Asse del Terrore alle sue dipendenze. Per questo non può più esistere l’attuale Striscia, il luogo di reclutamento e di pianificazione terrorista di Hamas: perché non è più possibile un 7 ottobre, non è più possibile il pogrom. Se qualcuno ha un problema di coscienza a sottoscrivere l’affermazione, è il caso di rivedere la nozione di coscienza.

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