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Libero Rassegna Stampa
22.01.2025 Israele alza il ‘muro di ferro’
Cronaca di Mirko Molteni

Testata: Libero
Data: 22 gennaio 2025
Pagina: 16
Autore: Mirko Molteni
Titolo: «Nuovi focolai in Cisgiordania Israele alza il Muro di ferro»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 22/01/2025, a pag. 16 con il titolo "Nuovi focolai in Cisgiordania Israele alza il Muro di ferro" la cronaca di Mirko Molteni. 

Mirko Molteni
Mirko Molteni

Mentre regge la tregua a Gaza, scatta l'operazione antiterrorismo Muro di Ferro dell'Idf, per ripulire da Hamas le città della Cisgiordania da cui partono gli attentati.

Se sul fronte della Striscia di Gaza promette bene la tregua tra Hamas e Israele, raggiunta col contributo del nuovo presidente americano Donald Trump, in Cisgiordania si combatte ancora. Si sono incrociati attacchi di coloni israeliani e una nuova operazione militare israeliana con l’appello di Hamas alla «mobilitazione totale».
Alcuni coloni, forse imbaldanzitosi male interpretando la revoca delle sanzioni Usa nei loro confronti annunciata da Trump, hanno attaccato due villaggi palestinesi della Cisgiordania, Funduq e Jinsafut, incendiando case e automobili. La polizia israeliana ha inseguito questi estremisti, a volto coperto, ma a seguito della morte di due coloni, un agente israeliano è stato punito con gli arresti domiciliari.
Il ministro della Difesa Israel Katz ha condannato le violenze dei coloni: «La polizia deve arrestare chiunque violi la legge. I coloni dovrebbero essere trattati allo stesso modo di persone coinvolte in qualsiasi altro incidente in qualsiasi parte di Israele». Il presidente israeliano Isaac Herzog, dal vertice di Davos, sembra scommettere su «un chiaro potenziale» di arrivare alla fase dell’accordo. Tra sabato sera e domenica Hamas dovrebbe liberare gli altri ostaggi concordati. Così come Gerusalemme liberare altri arrestati palestinesi.
Nel frattempo, data la perdurante attività dei miliziani di Hamas nella Cisgiordania, il premier Benjamin Netanyahu ha varato una nuova operazione antiterrorismo nel campo profughi di Jenin, denominata in codice “Muro di Ferro”. Per il primo ministro “è un’operazione avviata dall’esercito, dal servizio di sicurezza Shin Bet (i servizi segreti israeliani) e dalla polizia per rafforzare la sicurezza in quella che Gerusalemme chiama Giudea e Samaria (ovvero la Cisgiordania) e agire contro l’asse iraniano». In effetti l’Iran potrebbe aver contrabbandato armi fino a Jenin, facendole passare attraverso l’Iraq, dove pullulano miliziesciite, ela Giordania. L’operazione è cominciata con attacchi di droni su postazioni attribuite ad Hamas. Ai raid aerei è seguita l’avanzata dei soldati su Jenin, oltre a20 arresti a Hebron, Qalqilya, Ramallah e Nablus.
A ieri sera le operazioni israeliane avevano causato 9 morti e 35 feriti. Hamas ha lanciato un appello ai suoi sostenitori «e la sua gioventù rivoluzionaria a mobilitarsi e a intensificare lo scontro con l’esercito di occupazione. L’obiettivo è sventarel’aggressione sionista contro Jenin», puntualizzano. In serata a Tel Aviv un passante armato ha neutralizzato l’attentatore che aveva ferito leggermente tre passanti.
Immediato l’intervento delle forze dell’ordine. Il clima è teso.
Il capo locale di Hamas in Cisgiordania, Zaher Jabarin, ha spiegato che «Netanyahu, vuol continuare a combattere per rimanere al potere». La stessa Hamas, poche ore prima, aveva lodato il ruolo di Trump nella tregua a Gaza mediante il suo inviato speciale Steve Witkoff. Il nuovo presidente Usa, parlando della ricostruzione di Gaza ha evocato uno sviluppo pacifico, anche turistico: «Gaza è sul mare, si possono fare cose bellissime».
Intanto in Israele hanno annunciato le loro dimissioni il capo di Stato Maggiore delle forze armate, generale Herzl Halevi, convinto di aver «fallito nell’evitare gli attacchi del 7 ottobre 2023» e che lascerà il prossimo 6 marzo, e il capo del Comando meridionale, generale Yaron Finkelman, per «non esser riuscito a difendere il Negev». Il generale Halevi ricostruisce che in 15 mesi di guerra sono stati uccisi «20mila agenti di Hamas».
Dopo le dimissioni di Halevi il capo dell’opposizione Yair Lapid chiede che ora «il primo ministro e tutto il suo governo catastrofico si assumano le proprie responsabilità e si dimettano».
Al contrario, il ministro delle Finanze di ultradestra, Bezalel Smotrich, da cui dipende la tenuta dell’esecutivo, esorta «il prossimo comandante dell’esercito a riprendere la guerra e a non fermarsi fino alla vittoria».
In realtà Netanyahu sembra guardare ai positivi influssi che avrà la nuova presidenza americana a trazione repubblicana sul Medio Oriente. Ha ringraziato Trump ricordando che nel suo primo mandato «gli storici Accordi di Abramo, in cui Israele ha fatto pace con quattro Paesi arabi», vale a dire Bahrein, Emirati, Marocco e Sudan. Accordi raggiunti anche grazie alla anche alla mediazione del genero di Trump Jared Kushner. E che ora possa sbloccarsi l’adesione dell’Arabia Saudita ai patti di Abramo, lo ha anticipato lo stesso Trump: «Una normalizzazione fra Israele e Arabia Saudita ci sarà presto, se non entro la fine dell’anno».
Sogna invece degli “accordi di Ciro”, che includano un Iran democratico, il principe Reza Palhavi, figlio del defunto scià di Persia, esule in America: «Trump lavori ad Accordi di Ciro che uniscano Israele, i Paesi arabi e un Iran libero». Il principe iraniano ha ricordato la lotta degli oppositori interni per un cambio di regime a Teheran: «I miei compatrioti in Iran stanno combattendo coraggiosamente per questo cambiamento e sono pronto a lavorare con voi e i nostri amici nella regione per questo obiettivo».

 

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