Israele non può attendere se l'Anp non fa nulla per fermare Hamas, ci pensa Shaul Mofaz
Testata: Il Foglio Data: 03 settembre 2003 Pagina: 4 Autore: Maria Giovanna Maglie Titolo: «Resa dei conti Arafat-Abu Mazen, gli israeliani non aspettano più e fanno i nasty»
Riportiamo l'articolo di Maria Giovanna Maglie, brillante e documentato, pubblicato su Il Foglio mercoledì 3 settembre 2003. Le notizie da Ramallah sono pessime, ma perlomeno chiare, l’Autorità palestinese, dopo l’avvertimento degli Stati Uniti – impedite ad Arafat di sfiduciare Abu Mazen, o ci tiriamo indietro dal processo di pace e vi lasciamo al vostro destino, avvertimento scritto, consegnato personalmente dal console generale americano a Gerusalemme, cosa che non accadeva dal 1994 – tenta la mediazione fra il rais potente e il primo ministro ormai molto travicello, i due infatti non sono più on speaking terms, non si parlano proprio. Il quotidiano Al Quds al Arabi, che si stampa a Londra, ha già annunciato il fine non lieto della vicenda, Abu Mazen si dimette e, temendo giustificatamente per la propria vita, se ne va in esilio in Egitto. Questione di giorni, visto che lo ammette anche lo speaker del Parlamento palestinese, Ahmed Qureia, nome di battaglia Abu Ala, e i palestinesi alla fine si ricordano con i nomi di battaglia piuttosto che con quelli in aspirante doppiopetto, Abu Ala dice di essere addirittura imbarazzato, perché c’è poco e niente da mediare, i due si odiano, la loro reciproca animosità starebbe minando le prospettive di pace, che da qui a giovedì, quando è convocato il Parlamento, l’unica cosa evitabile è un voto di fiducia, o Mazen è perduto, ma che sarebbe invece necessario "raggiungere un accordo che specifichi il ruolo preciso da attribuire ad Arafat per quanto attiene all’apparato di sicurezza e alle decisioni di governo". Perfino il linguaggio da burocrate di Abu Ala risulta chiaro, il vecchio rais ha continuato a comandare su civili e militari, su terrorismo e riforme, o qualcuno lo relega a tagliare nastri, che è quel che Israele inutilmente chiede da prima della solenne messa in onda della road map, o si sta perdendo tempo. Non che si possa più tornare indietro in modo indolore, solo politico, perché le trame di Arafat sono andate troppo avanti, i poteri che ha attribuito a Jibril Rajoub sono doppi, tripli di quelli nelle mani di Mohamed Dahlan, compreso quello di trattare direttamente con i terroristi di Hamas, perfino di strappare loro un cessate il fuoco numero due, inutile e perfino pericoloso quanto il primo, ma umiliazione finale per Abu Mazen, nonché mossa che spiazzerebbe gli americani. Vecchio e diabolico è Arafat, non vecchio e sfessato. Per il suo ex numero due, alla cui buona volontà hanno creduto o si sono sforzati di credere anche gli israeliani, cento giorni di governo sono stati sufficienti al tramonto. Quel che rischia di essere approvato è un compromesso, per così dire, grazie al quale nel Consiglio di Sicurezza Nazionale vengono dati gli stessi posti ai fedeli di Arafat e a quelli di Abu Mazen. Maggioranza, e possibilità di riforme, addio, ma sarebbe solo la sanzione finale di una situazione che non è mai stata affrontata. I leader terroristi che il rais ospita alla Muqata, il suo quartier generale, così come Hamas, non sono mai stati fermati, ostacolati, dagli uomini del governo, e nonostante il blocco aereo israeliano su Gaza, sono anche riusciti a colpire la città di Ashkelon con i missili Qassam a lungo raggio. Sono nel mirino di Hamas i ministri più importanti del governo di Gerusalemme, a partire naturalmente da quello della Difesa, Shaul Mofaz. Si distribuiscono i loro volti dipinti su carte da gioco, in un riferimento palese al mazzo di carte dei top wanted dagli americani dopo la liberazione dell’Iraq da Saddam e dalla sua cricca. C’è Ariel Sharon, Mofaz, c’è il capo di Stato maggiore dell’esercito, il generale Moshe Yaalon, ma anche l’ex primo ministro laburista Ehud Barak, e anche l’ex leader del Meretz, formazione di sinistra e pure pacifista assai, Yossi Sarid, nessuno è al sicuro. C’è pure un volto con una X nera sopra, lavoro già fatto, era il ministro Rechavam Zeevi, ucciso in un albergo di Gerusalemme due anni fa.
Guerra totale a Hamas In questa situazione, durante la riunione del governo di lunedì scorso, Shaul Mofaz annuncia la all out war, guerra totale a Hamas. Non per capriccio, è la conseguenza della strage del bus del 19 agosto, è la presa d’atto che il terrorismo Abu Mazen non è in grado né di smantellarlo né di disarmarlo, gli impegni presi ad Aqaba sono rimasti sulla carta, a Israele tocca il compito di stanare ed eliminare i capi e gli ideologi del terrorismo, che vivono nascosti come topi nelle fogne, ma agiscono dalle fogne. Le nuove regole sono: continui strike, pressione militare in Giudea e Samaria, congelamento del processo diplomatico con l’Autorità palestinese, nessun ripensamento finché dall’altra parte non cominceranno a uscire da passività e attendismo. In questa situazione Shaul Mofaz torna a dichiarare quel che lui, ma con lui la maggior parte degli israeliani, ha sempre pensato, che Yasser Arafat andava accompagnato alla porta due anni fa, quando ha dato il via a quella che con pudore da anime belle viene chiamata seconda Intifada, in diretta e armonica connessione con la prima, quella delle pietre, quella raffigurata da bambini che si ergono con un sasso contro il carrarmato nemico. In questa situazione arriva il grande stratega di politica internazionale della Commissione europea, Javier Solana, uno degli estensori della road map, e non trova di meglio che dichiarare che bisogna considerare e trattare con il "presidente eletto dal popolo", cioè Arafat. Allora Sharon il moderato perde la pazienza, e fa sapere che non si sente bene, non può riceverlo. Fa anche sapere che va bene il deisderio di pace, ma non sarà che in nome di questo desiderio si sta lavorando a legittimare la creazione di uno Stato terrorista contiguo a uno democratico, l’unico compiutamente e occidentalmente nella regione intera, tanto democratico e unico da essersi or ora consentito di indagare e pubblicamente condannare una reazione di polizia ritenuta eccessiva in risposta alle sommosse di arabo-israeliani tre anni fa. Ora a Gerusalemme si sono stufati. Questi israeliani sono veramente cattivi, nasty. Invitiamo i lettori di informazionecorretta.com ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.