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Oggi Rassegna Stampa
00.00.0000 20/5/02 Un colpo al cerchio e uno alla bott
un messaggio incredibilmente di parte

Testata: Oggi
Data: 00 0000
Pagina: 19
Autore: un giornalista
Titolo: «Ho tremato anch’io quando hanno ‘ferito’ la Madonna di Betlemme»
Su Oggi compaiono due articoli dedicati al dramma del Medio Oriente: il primo (pag. 19) si intitola "Ho tremato anch’io quando hanno ‘ferito’ la Madonna di Betlemme" e manda un messaggio incredibilmente di parte, con punte di arafattismo che forse anche certi suoi fedeli collaboratori avrebbero difficoltà a emulare. Segue a pagina 22 un molto più obiettivo "tredici mine vaganti per l’Europa: ma chi se le prende?"., che non le manda a dire a certi interpreti faziosi dell’assedio alla Natività.

Quella che viene definita "intervista esclusiva", è firmata da Isabel Pisano, "giornalista amica del leader palestinese" sottolinea nel sommario la stessa rivista. Vediamo i passaggi fondamentali.


1) All’arrivo a Ramallah: Data la violenza dell’aggressione è quasi incredibile che l’entrata del palazzo presidenziale, o meglio di ciò che ne resta, sia ancora in piedi. Alcuni uomini stanno già ricostruendo il muro di cinta, segno che l’attacco non ha minato la morale palestinese.
Tralasciamo il lapsus, perché la morale sembra già minata, quando non si fermano attacchi ai civili israeliani innocenti, da notare il tono miracolistico, quasi sacrale, che si ripeterà nel corso di tutta l’intervista.
2) La giornalista amica sottolinea come a fatica riesca a sottrarsi allo sguardo ipnotico di Arafat, poi passa alle domande. Gli chiede una soluzione, visto che la sua terra è stata attaccata e i paesi arabi, con l’eccezione dell’Irak di Saddam Huseein, si sono rifiutati di ricorrere all’arma del petrolio per fare pressione su Israele. Arafat cita il piano del principe saudita Abdullah e afferma che Israele ha risposto con l’attacco brutale di Jenin, abbiamo avuto tanti morti, migliaia di feriti, danni incalcolabili. Arafat cita poi la distruzione di una chiesa antichissima a Nablus, accanto a quella di quattro moschee, e poi passa a Betlemme dove la statua della Vergine è stata presa a cannonate… Si è cercato di dare fuoco alla Chiesa e se il peggio è stato evitato lo dobbiamo al coraggio dei padri francescani e degli uomini che si erano rifugiati nella basilica.
Incredibilmente, si definiscono coraggiosi quegli uomini che armati, hanno dato origine all’assedio della Natività e il leader palestinese continua a ingannare, ripetendo che gli israeliani hanno cercato di dare fuoco alla chiesa.

3) Anche più incredibilmente, la giornalista rammenta commossa che anni prima regalò ad Arafat una medaglia della Madonna perché lo proteggesse. Arafat continua: Molti civili sono stati arrestati nella basilica mentre pregavano… E ora gli israeliani preparano una nuova offensiva contro Gaza>. La giornalista chiede se non esista un modo per fermarla. Arafat risponde che si sta facendo il possibile: Ma in tutte le nostre zone stazionano i carri armati. Contiamo 60 mila tra morti e feriti.
Prosegue il tentativo di santificare Arafat, portando ripetutamente l’attenzione alla sua sensibilità verso la religione cristiana. E il leader palestinese "ringrazia", buttando cifre ingannevoli alla rinfusa: 60 mila fra morti e feriti, non specificando peraltro quanti morti (perché sono troppo "pochi"?)

4) A questo punto Arafat afferma che è consapevole che la maggior parte degli israeliani vogliono la pace, anche i giovani dell’esercito che ricorrono all’obiezione di coscienza per non partecipare agli attacchi.
Non è dato sapere in cosa consista l’obiezione di coscienza dei palestinesi e in quale "punizione" incorrano.
5) Il momento più difficile da lui citato è quando ha visto la basilica della Natività in fiamme alla tv. Ho avuto pausa di perdere il controllo di fronte ai giornalisti che aspettavano fuori dal mio ufficio. L’altro momento drammatico è l’aggressione contro un campo profughi abitato da 13 mila persone.
E dove si fabbricavano bombe e si organizzavano attacchi terroristici a civili innocenti.
6) Su quanto accaduto a Jenin, la giornalista sottolinea il veto alla commissione Onu, ma Arafat precisa: Molte istituzioni internazionali hanno testimoniato l’enormità della tragedia. La Croce Rossa, l’Onu, ambasciatori di diversi Paesi. E perfino la commissione del governo americano ha visto la devastazione della città vecchia di Nablus.
Peccato non si precisi che la maggior parte ha negato il massacro.
7) La giornalista si preoccupa di chiedere dove abbia trovato Arafat la forza di andare avanti. Lui la "rincuora. Si getta poi il sospetto su legame tra Hamas e servizi segreti israeliani, visto che gli attentati avvengono a ridosso di iniziative di pace e l’esercito israeliano non ha mai sferrato un attacco militare contro l’organizzazione. Si scopre allora una cosa interessante: La domanda, che non compariva nella lista concordata prima nell’intervista, crea scompiglio tra gli uomini di Arafat. Ma lui risponde: in un incontro con Rabin alla presenza di re Hussein e del presidente Mubarak gli chiesi di Hamas . ‘Un errore fatale da parte nostra’ fu la sua risposta. Per me, una chiara ammissione. Volevano mettere fuori gioco l’Olp sostituendola con Hamas.
Molto comodo citare quanto detto da una persona morta (e guarda caso un altro testimone non è più in vita). Interessante comunque come con tranquillità la giornalista informi che per avere un’intervista con Arafat bisogna concordare la lista di domande prima, con i suoi uomini.

8) A questo punto, la giornalista chiede ad Arafat di riassumere un messaggio di pace al mondo. Lui si appella a Bush, perché emuli il padre che promosse i colloqui di Madrid e applichino quanto concordato a Sharm El Sheikh. Si rende conto che siamo l’unico popolo della Terra che vive ancora sotto l’occupazione? L’unica cosa in cui crediamo è la nostra libertà, nel rispetto delle risoluzioni dell’Onu. E Arafat conclude con un appello alla pace perché fra entrambi i popoli la fiducia esisterebbe già.
Piccola amnesia: ci sono Paesi VERAMENTE occupati (citiamo il Tibet?), ma meglio dimenticarsene e colpevolizzare Israele. Arafat, ormai immerso nella santità, lancia autorevoli appelli di pace e inviti a rispettare le risoluzioni Onu, l’unica cosa che gli arabi chiedono. Peccato che proprio gli arabi non rispettarono la prima, quando l’Onu proclamò lo Stato d’Israele e a fianco la Palestina. Vogliamo cominciare a rispettare quella risoluzione?
Di ben altro tenore il secondo articolo scritto da Mauro Suttora. Esordisce con gli imbarazzi internazionali di fronte ai tredici palestinesi. Fra i passaggi degni di essere citati: Persino la statua della Madonna era stata colpita dai proiettili dei carri armati israeliani e dei kalashnikov palestinesi.
Interessante scoprire, una pagina dopo l’articolo della Pisano, che forse forse anche le armi palestinesi possono aver colpito quella statua cui Arafat tanto tiene.

Il blitz israeliano a Betlemme – si ricorda – è scattato dopo gli ultimi attentati dei kamikaze che avevano provocato decine di vittime innocenti. Una rappresaglia che si annunciava spietata>. E allora ecco che i palestinesi sfondano la porta della Basilica. All’inizio i preti cattolici e ortodossi protestano per la presenza della armi, che i palestinesi non avevano intenzione di deporre. Profanazione? Sì, ma i preti smentivano di essere ostaggi. Nessun esperto di pubbliche relazioni avrebbe potuto consigliare ai seguaci di Arafat una mossa migliore. La patata bollente era rimasta in mani agli assedianti israeliani: se avessero attaccato, avrebbero provocato loro una strage dentro i luoghi sacri…. E i palestinesi sarebbero passati automaticamente dalla parte delle povere pecorelle indifese… Così non era…. Suttora infatti passa a descrivere come si sono comportati nella chiesa gli "ospiti": Fra le colonne… c’erano materassi blu e bianchi. Il fonte battesimale era stato trasformato in lavatorio per piatti, visi e vestiti, con scatole di detersivo Ajax per pulire e acqua non più benedetta per risciacquare. Sotto l’alta volta di legno le scatolette vuote di sardine, tonno e carne si accumulavano in mezzi ai candelabri. Sugli altari si mangiava. E vicino alla porticina dell’Umiltà… si diffondeva con il passare delle settimane un acre odore d’urina.
Non è dato sapere se anche questa situazione abbia commosso e ferito Arafat, bisognerebbe chiedere all’autrice dell’articolo precedente.
Nel frattempo, Israele fornisce l’elenco delle persone lì dentro. Evidentemente – osserva Suttora .- ha buoni informatori nonostante la pena di morte applicata sul campo dagli attivisti di Al Fatah contro i sospettati di spionaggio. Viene citato il "curriculum" di terrore dei tredici palestinesi: Personaggi sicuramente meritevoli di processo.

Si passa poi agli incontri per risolvere il problema, con i quattro interlocutori. Il problema è che questi quattro pragmatici signori si sono fidati un po’ troppo di Michel Sabbath: arcivescovo cattolico di Gerusalemme, ma anche palestinese (tutti i cristiani del Medio Oriente sono arabi, e un palestinese su dieci è cattolico). Sarebbe troppo quindi pretendere da lui un’imparzialità assoluta. Questo monsignore, tanto per intenderci, è quello che domenica scorsa, nella prima omelia pronunciata nella Basilica di Betlemme liberata, ha detto testualmente che "la violenza in Palestina è provocata dall’occupazione israeliana"; come dire che i kamikaze qualche ragione ce l’hanno. Si ricostruiscono i contatti Sabbah, Oliviero di Sermig, Andreotti e via dicendo. Poi la patata bollente in mano all’Europa. Si è accollata il compito di "accogliere" questi tredici gentiluomini. In qualche forma, non è dato di sapere. Critiche pesanti su Prodi, Solana e Piqué: tale sovrabbondanza di governanti sembra pari soltanto all’incapacità di risolvere i problemi. Bruxelles spera in Cipro. Conclusione di Suttora: Ma è più probabile che tutto finisca come nel 1985, con la nave Achille Lauro dirottata dal palestinese Abu Abbas lasciato però libero a Sigonella (Catania): cioè con un pasticcio.
Messaggio forte e chiaro.



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