Il Libano elegge un occidentale per disarmare Hezbollah Cronaca di Andrea Morigi
Testata: Libero Data: 10 gennaio 2025 Pagina: 14 Autore: Andrea Morigi Titolo: «Il Libano elegge 'l’occidentale' Joseph Aoun per disarmare Hezbollah»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 10/01/2025, a pag. 14 con il titolo "Il Libano elegge “l’occidentale” Joseph Aoun per disarmare Hezbollah", l'analisi di Andrea Morigi.
Andrea Morigi
Per rimettere ordine a Beirut, occorreva che cadesse Damasco.
Rovesciato il regime di Bashar Assad, si sono interrotti i rifornimenti di armi e denaro che dall’Iran passavano attraverso la Siria per arrivare ai terroristi islamici di Hezbollah in Libano. Ma gli ostacoli sono stati rimossi grazie soprattutto alla caparbietà di Israele che, prima di accettare la tregua e dare il via al ritiro delle sue truppe, per oltre un anno si è sforzato di decimare la milizia sciita, rendendola quasi inoffensiva.
Senza contare l’influenza dell’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, elemento che sta determinando conseguenze a catena a livello globale.
Soltanto a tali condizioni, ieri, l’Assemblea nazionale libanese è riuscita a eleggere Joseph Aoun capo dello Stato.
Un militare, comandante delle Forze armate come lo fu il suo predecessore Michel Aoun, il cui mandato era scaduto nell’ottobre del 2022. I due, accomunati anche dal cognome benché non siano parenti e dall’appartenenza religiosa alla comunità cattolica di rito maronita, sono divisi dall’orientamento politico. E dalle alleanze internazionali. Il neoeletto piace all’Occidente e all’Arabia Saudita, l’uscente era una pedina della Repubblica islamica dell’Iran, con il quale aveva stretto un patto scellerato pur di ottenere il sostegno sciita. Se Hezbollah ne avesse avuto la possibilità e la forza, avrebbe preferito un altro candidato, Suleiman Frangieh, leader di un piccolo partito cristiano del Libano settentrionale con stretti legami con l’ex raìs siriano Assad.
Invece stavolta hanno prevalso le Forze Libanesi di Samir Geagea, di centrodestra e non pregiudizialmente ostili a Israele, che sono riuscite a formare una maggioranza insieme alle formazioni legate alla monarchia di Riad. E infine, dopo una dozzina di tentativi andati a vuoto di portare un nuovo inquilino al palazzo di Baabda, obtorto collo è arrivato anche il voto del Partito di Dio e di Amal, formazioni politiche armate fino ai denti, ma uscite sconfitte insieme ai loro padrini, gli ayatollah di Teheran.
Per una ormai ultradecennale consuetudine, risalente alla fine della guerra civile e mai scalfita nemmeno dai conflitti, il Paese dei Cedri distribuisce le cariche istituzionali in base a un criterio confessionale: il presidente della Repubblica è un cristiano, il primo ministro un musulmano sunnita e il presidente del Parlamento un musulmano sciita.
Formalmente, gli assetti rimarranno immutati in quanto non è stato nemmeno immaginato un diverso modello di rappresentanza politica per quello che un tempo fu considerato un felice esperimento di convivenza fra comunità religiose in Medio Oriente, che assicurava benessere e pace a tutta la regione. Poi, negli anni 1970, l’arrivo dei profughi palestinesi ruppe la precaria armonia interreligiosa e scatenò un conflitto interno al Libano che ridusse il Paese a brandelli e lo fece diventare fino a oggi territorio di conquista per le potenze regionali.
D’ora in poi, pare che si cambi e si torni a procedere nella direzione indicata dalle risoluzioni dell’Onu, che impongono il disarmo delle milizie e il loro ritiro dietro il fiume Litani. La svolta si potrà realizzare quando lo Stato libanese avrà «il monopolio delle armi», come ha promesso ieri Joseph Aoun nel suo discorso d’insediamento, aggiungendo che il Paese «deve investire nel proprio esercito per poter proteggere i propri confini, lottare contro il contrabbando e il terrorismo e prevenire l’aggressione israeliana sul territorio». Per ottenere quest’ultimo obiettivo, basta impedire a Hezbollah di attaccare lo Stato ebraico. Finora, nemmeno l’Unifil vi è riuscita. Infatti, il primo a congratularsi con lui è stato il ministro degli Esteri israeliano, Gideon Saar, nella speranza «che questa scelta contribuisca alla stabilità, a un futuro migliore per il Libano e il suo popolo e a relazioni di buon vicinato». Per rimettere in piedi l’economia del Libano, che ha superato da tempo il baratro del fallimento, la condizione necessaria è l’equilibrio della pace.
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