Iran, il vero femminismo Commento di Lucia Esposito
Testata: Libero Data: 08 gennaio 2025 Pagina: 1/8 Autore: Lucia Esposito Titolo: «La ragazza che strappa il velo al mullah e la lotta al vero patriarcato»
Riprendiamo da LIBERO di oggi 08/01/2025, a pag. 1/8, con il titolo "La ragazza che strappa il velo al mullah e la lotta al vero patriarcato", il commento di Lucia Esposito.
Lucia Esposito
Diranno che è pazza, cercheranno di silenziare il suo grido di libertà liquidandolo come il gesto di una squilibrata, invece quell’urlo rimbomba potente e arriva assordante fino a noi. Quanto coraggio e quanta disperazione nel gesto di una ragazza che all’aeroporto Mehrabad di Teheran viene rimproverata da un mullah perché non indossa il velo islamico e, ardimentosa come un’Antigone moderna, si avventa sul religioso e gli strappa il turbante dalla testa. Nessuna paura, nessuna esitazione, nessun tremore. Gli va incontro con l’audacia di chi da tempo ha immaginato questo momento, prende quel drappo bianco e, sprezzante, lo usa come una sciarpa.
Non è il gesto di sfida di un’incosciente, né un moto improvviso di rabbia, ma la consapevolezza di chi è pronta anche alla morte perché è meglio diventare un cadavere che vivere come un fantasma. Una necessità, un’urgenza, come se il suo “io” represso da anni non aspettasse che quest’ammonimento del mullah per rivelarsi finalmente in tutta la sua forza rivoluzionaria. «Io esisto» e, togliendoti il velo, strappo le tue regole ottuse, contesto le tue leggi che vogliono ridurmi a una nullità. Nella sala d’attesa sono tutti attoniti - fieramente distaccati per non apparire complici - ma il gesto di questa ragazza (non si conosce al momento il nome) ha cristallizzato il tempo per entrare nella Storia.
Diranno che è pazza come Ahou Daryaei che nel campus dell’Università islamica Azad di Teheran, rimproverata perché non aveva indossato correttamente il velo, si spoglia fino a restare in mutande e reggiseno e, altera come una guerriera, si mette a passeggiare avanti e indietro fregandosene di quello che le sarebbe accaduto di lì a poco. Esibisce come un trofeo la sua nudità ma viene portata via come una criminale dalla polizia morale. Pare che adesso sia rinchiusa in un ospedale psichiatrico. $ pazza, hanno detto.
Più forte dell’istinto di sopravvivenza è la lotta per la libertà di esistere, spezzare le catene di un regime - questo sì - davvero patriarcale in cui una donna è soltanto un’appendice del maschio che può disporre di lei come vuole.
I DIVIETI
E' lunghissimo l’elenco di tutti i divieti, di tutto quello che le iraniane non possono fare senza il permesso del padre prima e del marito poi. Il loro corpo è una vergogna da coprire, la loro voce un rumore da sopprimere (non possono neanche cantare), i loro pensieri vanno repressi, i loro desideri debbono assecondare quelli dell’uomo perché loro sono proprietà dei maschi.
E più le vogliono mute più urlano, più le vogliono inermi più si ribellano, più le vogliono annientare più sono disobbedienti.
La rivolta delle donne è un’onda che cresce dall’assassinio di Mahsa Amini nel 2022. Anche lei aveva sfidato il regime lasciando cadere sul bel viso una ciocca indisciplinata di capelli che sfuggiva dall’hijab. Fu arrestata in una stazione di polizia e picchiata fino alla morte, avvenuta dopo tre giorni di coma. Non sono riusciti a dire che era pazza, Mahsa. Mahsa è diventata il simbolo della ribellione di tutte le donne che da quel giorno hanno smesso di subire in silenzio. Affrontano il regime senza paura, pronte a immolarsi per la libertà delle altre.
PENA DI MORTE
Secondo i dati dell’Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite, l’Iran ha giustiziato 901 persone nel 2024, di queste 31 sono donne. Dissidenti politiche, tante arrestate dopo la morte di Mahsa Amini. «Molte sono state condannate alla pena di morte perché accusate di omicidio spesso derivante da violenza domestica, matrimonio precoce o forzato», ha detto la portavoce Liz Throssell. Impossibile non pensare alla nostra Cecilia Sala che dal 19 dicembre è tenuta sotto sequestro in una cella d’isolamento senza un’accusa, senza un materasso né un cuscino, con un faro puntato contro notte e giorno che ferocemente cancellalo scorrere del suo tempo e illumina lo squallore senza requie, due coperte come scudi contro il freddo e la luce.
Ieri il gesto di quella ragazza ci ha riportato ancora là, in un Paese dove le donne devono urlare per affermare il loro diritto di esistere e uscire dall’ombra della dittatura islamica che le calpesta.
E così come rimbomba il grido di quella donna, altrettanto forte risuona il silenzio delle femministe italiane che non hanno ancora speso una parola per la nostra Cecilia sequestrata da un regime per cui le donne sono zero, anzi nulla.
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