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Il Foglio Rassegna Stampa
02.01.2025 La comunità ebraica sul Papa: parla Noemi Di Segni
Intervista di Luca Roberto

Testata: Il Foglio
Data: 02 gennaio 2025
Pagina: 1/4
Autore: Noemi Di Segni
Titolo: «La comunità ebraica (Noemi Di Segni) sul Papa: 'Dopo le parole di Francesco su Israele difficile persino invitarlo in sinagoga'.»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 02/01/2025, a pag. 1/4, l'intervista di Luca Roberto a Noemi Di Segni dal titolo "La comunità ebraica (Noemi Di Segni) sul Papa: 'Dopo le parole di Francesco su Israele difficile persino invitarlo in sinagoga'.".


Luca Roberto

Noemi Di Segni

 “Le ultime dichiarazioni del Papa sul conflitto in medio oriente, le accuse a Israele, mettono a rischio il dialogo maturato negli ultimi 60 anni. Se prima del 7 ottobre sarebbe stato normale invitarlo in sinagoga, adesso la vedo molto difficile. Non è più una scelta scontata e ovvia”. La presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane Noemi Di Segni lo dice con un po’ di sconforto, ma mai di rassegnazione. “L’apertura delle porte sante, l’ho rimarcato anche nel mio messaggio per il Giubileo, vuol dire anche aprire le porte al dialogo. Ma le parole e i significati attribuiti dal Papa sono stati rivolti agli atteggiamenti negativi, alla reazione di Israele, non sono stati un invito alla responsabilità della convivenza”, ragiona Di Segni in questo colloquio col Foglio. “E’ successo anche quando ha ricevuto le famiglie degli ostaggi di Hamas. C’è sempre stata una condanna nei confronti di Israele. E’ ovvio che a Gaza c’è un popolo che soffre. Ma soffre non solo perché c’è una guerra: quel popolo è vittima in primo luogo del terrorismo di Hamas”. Questa chiacchierata con la presidente Di Segni è l’occasione per tirare le somme dell’anno appena concluso. Ma anche per immaginare, con le tendenze in atto in Europa e nel nostro paese, cosa possa rappresentare il 2025. Solo pochi giorni fa la segretaria del Pd Elly Schlein e il leader M5s Giuseppe Conte sono tornati a chiedere lo stop all’invio di armi verso Israele. Il ricordo del 7 ottobre è oramai scomparso nella sinistra italiana. Che segnale è? “Queste critiche fanno capire due cose. Che queste pretese possono essere rivolte a Israele perché si riconosce che è una democrazia”, dice Di Segni. “Una cosa non scontata perché l’abbiamo visto anche nel caso della vostra giornalista Cecilia Sala, a cui rivolgo tutta la mia vicinanza e solidarietà e mi accodo alle richieste di liberazione: avere a che fare con regimi come l’Iran è difficile anche solo nell’attivazione di canali diplomatici”. In secondo luogo, prosegue ancora la presidente dell’Ucei, “queste prese di posizione denotano una miopia che ignora la complessità della situazione in medio oriente. E portano a leggerla solo con degli slogan. Io ritengo sia un bel problema perché non ci rendiamo conto che uno degli obiettivi del terrorismo islamico è infiltrarsi nelle nostre istituzioni europee e distruggerle dal di dentro”. Sul Foglio abbiamo raccontato il caso dell’assessore umbro alla Pace, Fabio Barcaioli, che ha condiviso sui social post in cui accusa “Israele stato terrorista”. Si dovrebbe dimettere? “Si tratta di una forma di irresponsabilità molto grave, che rende certe persone inadeguate a ricoprire un ruolo come quello dell’assessore che è molto importante per costruire iniziative per il bene della cittadinanza. E che invece diventano presidi strumentalizzati in cui esibire una certa propaganda d’odio. E’ un discorso che vale a suo modo anche per il sindaco di Bologna Lepore. E per tutte le figure istituzionali che insistono sull’automatismo del genocidio. Per fortuna non hanno ricevuto avalli istituzionali, ma anche il riemergere di manifestazioni neofasciste desta grande preoccupazione”.

La presidente dell’Unione delle comunità ebraiche Noemi Di Segni in questi giorni è a Gerusalemme. E la distanza tra quel che osserva in prima persona, vedendo sfilare silenziosamente i cortei funebri dei soldati rimasti uccisi, e quanto viene raccontato alle nostre latitudini è palese: “Nell’attacco all’ospedale di Gaza di qualche giorno fa sui giornali italiani si leggeva solo che erano morte 50 persone. Ma si ometteva completamente di dire che quell’ospedale era una base operativa di Hamas, con le armi nascoste tra i reparti, in corsia. Così come si è omesso di dire che il direttore dell’ospedale fosse anch’egli un terrorista”, argomenta Di Segni. “Noi occidentali abbiamo questa mentalità. Non sappiamo come sono fatti gli altri, conosciamo poco il medio oriente. Eppure non rinunciamo a prendere posizioni forti. Come stiamo vedendo anche adesso a proposito della situazione in Siria. E’ bastato vedere qualcuno in giacca e cravatta per crederlo rassicurante. Il vantaggio di Hamas, la ragione per cui sta vincendo la guerra mediatica, è che invece ci conosce bene, conosce le nostre debolezze, vi si insinua. E lo fa, pur di vincere questa guerra mediatica, sacrificando il proprio popolo, che viene usato come uno scudo. Qualcosa che i vari Conte e Schlein ignorano completamente perché non si fidano di Israele e in questo peccano di miopia”.

Eppure tutto quel che è accaduto in Europa e in occidente dopo il 7 ottobre, non tira in ballo solo la politica, a destra e sinistra. Quanto si è visto nelle università, per esempio, è preoccupante anche per l’anno a venire. “Voglio proprio vedere se chiudendo i bilanci, qualora non tornassero i conti degli atenei, i vari rettori avranno ancora il coraggio di permettere le occupazioni che hanno deturpato le università in tutta Italia. Si è sacrificato troppo in nome del nulla”, dice ancora Di Segni. “Il guaio non sono solo le continue richieste di boicottaggio, per fortuna in larga parte respinte. Ma il freno che è stato posto nei confronti di Israele nelle tante iniziative culturali, mostre, dibattiti, conferenze, non solo a livello universitario. C’è una violenza che fa paura. Spesso mossa da cellule finanziate da non si sa bene chi. Ecco perché bisogna stare molto attenti. E saper distinguere la legittima pietà provata per le immagini provenienti da Gaza col vero e proprio antisemitismo, sempre più presente nella nostra società”.

Gli auspici per il nuovo anno, dopo le scene di Amsterdam, dopo le intifade nei campus e le manifestazioni nelle piazze delle città italiane, insomma, sono molteplici. “Il primo è che l’Europa si occupi a livello prioritario della propria sicurezza, essendo capace di rispondere in maniera sempre più lucida e puntuale. Da questo punto di vista la nuova Alta commissaria alla politica estera Kallas ci ha già dato qualche rassicurazione, dopo le uscite tutt’altro che equilibrate dell’ex commissario Borrell. Il mondo sta cambiando rapidamente, così come rapidamente sono cambiate le logiche in medio oriente. L’Europa deve avere una capacità di guida geopolitica, superando anche le distorsioni che abbiamo visto da parte dell’Onu sul conflitto israelo-palestinese. Bisogna capire che la difesa della libertà d’Israele è anche la difesa della libertà dei popoli europei”, conclude Di Segni. “Ci auguriamo che il nuovo anno porti alla fine della guerra. Aspettiamo anche di capire quali saranno le prime mosse di Trump negli Stati Uniti. Sapendo però che tutto quello che sta succedendo qui da noi, con la messa in discussione della nostra convivenza civile, con quest’infiltrazione dell’islamismo radicale nei nostri valori di libertà e democrazia per cercare di abbatterli, non scomparirà da un giorno all’altro. Dovremo saperci fare i conti”.

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