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Newsletter di Giulio Meotti Rassegna Stampa
02.01.2025 Con quale coraggio la sinistra protesta per il sequestro di una cittadina italiana in Iran?
Newsletter di Giulio Meotti

Testata: Newsletter di Giulio Meotti
Data: 02 gennaio 2025
Pagina: 1
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Con quale coraggio la sinistra protesta per il sequestro di una cittadina italiana in Iran?»

Riprendiamo il commento di Giulio Meotti, dalla sua newsletter, dal titolo: "Con quale coraggio la sinistra protesta per il sequestro di una cittadina italiana in Iran?".


Giulio Meotti

Cecilia Sala è stata arrestata in Iran come merce di scambio. Se il regime iraniano lo ha fatto è perché ha capito che l'Italia è debole e condiscendente nei confronti dei suoi crimini. E lo è proprio grazie alla sinistra, quella stessa sinistra che ha accettato tutto da Teheran ed ora, ipocritamente, protesta per la liberazione della giornalista. Una NEWSLETTER straordinaria che giunge fino alla rivoluzione francese!

“Tutto è senza forza e sul punto di marcire”, scriveva dell’Italia Sándor Márai, il grande scrittore ungherese delle Braci, in un intervento raccolto nel suo Journal. Les années d'exil 1968-1989.

Cecilia Sala non è stata arrestata per i suoi articoli critici del regime iraniano: è una brava giornalista che consuma la suola delle scarpe, ma non è Boualem Sansal, che langue in una prigione algerina da un mese e mezzo senza che nessuno in Italia abbia fiatato per le sue idee critiche dell’Islam.

Sala è stata arrestata come merce di scambio. Vogliono i “loro” in cambio di una cittadina italiana che hanno messo in galera per vedere quanto siamo mollaccioni. E lo siamo, mollaccioni, la porteremo via come è giusto che sia.

Io che eravamo mollaccioni sul “punto di marcire” lo avevo capito nel 2016, quando l’Italia coprì i nudi delle statue in Campidoglio in occasione della visita del presidente iraniano Rohani, il “moderato”. Non si era mai vista una cosa del genere in un paese occidentale. Ci coprimmo di ridicolo e di disprezzo.

Ora il regime dittatoriale teocratico iraniano, oltre a opprimere i suoi e ad avvelenare tutti i pozzi del Medio Oriente (Jihad Islamica, Hamas, Hezbollah, Houthi), sequestra anche i nostri concittadini.

“Riportiamo a casa Cecilia”, dicono. Giusto. Salvo che loro hanno preso casa a Teheran. Quindici anni fa, sul Wall Street Journal, scrissi un articolo intitolato “L’asse Roma-Teheran”. Quando avremo riportato Sala a casa ci vanteremo della prova del “nuovo rapporto Roma-Teheran”.

Nelle nostre città e università abbiamo assistito a quotidiane manifestazioni di sostegno verso tutta la filiera del fondamentalismo islamico iraniano: ritratti di Sinwar, elogi di Haniyeh, inni alla “moderazione” di Hezbollah, aperture alla “razionalità” di Khamenei, centinaia di accordi accademici con le università iraniane. La sinistra di Greta Thunberg, “da profetessa del clima a proletaria dell’odio”.

“Meglio verdi che morti”. Così titolavo ad aprile. “E le università italiane si sottomettono alle dittature. Da sempre madrasse comuniste, ora se la fanno con le peggiori satrapie e danno alle democrazie lezioni di libertà (una ha più accordi con l'ayatollah che con tutti gli altri paesi). Puro Orwell”.

Basta accendere La7, la tv di Cairo e Formigli e Parenzo e dove Sala è spesso ospite. Sembra la tv di stato del regime iraniano. Carmen Lasorella che tesse l’elogio dei terroristi di Hezbollah è l’apice del ridicolo televisivo italiano. Federica Mogherini, da ministro degli Esteri della UE, andava a farsi i selfie con il chador al Parlamento iraniano.

Romano Prodi è il primo capo di governo occidentale a visitare l’Iran dopo la caduta dello scià. Lo stesso Prodi che alla domanda se fosse preoccupato per le minacce di morte a Papa Ratzinger, rispose: “Ci penseranno le sue guardie”. Mentre in Medio Oriente e in Africa si uccideva un cristiano al giorno in risposta a Ratisbona.

Nicola Lagioia, scrittore blasonato e presentabilissimo, da direttore del Salone del Libro di Torino aveva pensato bene di invitare l’Iran come ospite d’onore. E il presidente del Salone del Libro, Massimo Braj, ex ministro e poi direttore generale della Treccani, anche lui uomo di provata fedeltà progressista, è volato a Teheran per incontrare il viceministro della Cultura iraniano Abbas Salehi, che ha detto che “la fatwa di Khomeini contro Rushdie è un decreto religioso, non perderà mai il suo potere né si abrogherà mai”. Il piano di apertura di Braj agli ayatollah sta ancora lì, sul sito del ministero della Cultura italiano.

Gianni Vattimo, intellettuale omosessuale torinese, feroce antisraeliano e icona del pensiero progressista, andava anche ai festival della filosofia di Teheran.

“Noi ci tagliamo una ciocca di capelli, loro ci tagliano la lingua”, scrivevo un anno fa. “Considerando il livello di codardia e di compromissione, in Europa non resta più molto da tagliare. Si vedono soltanto struzzi. E l'Islam non ha bisogno di ridere di se stesso perché è già troppo occupato a ridere di noi”.

Una studentessa iraniana è aggredita con il pretesto di un velo della misura “inadeguata” e le strappano i vestiti. Lei, per protesta, decide di toglierseli. Nessuno le si avvicina, come se fosse diventata radioattiva. Il resto, raccontato dai testimoni, era prevedibile: è stata arrestata e rinchiusa in un centro psichiatrico. Siamo all’Università di Azad, con cui ha stretto accordi la Sapienza di Roma.

Allora di cosa parlano quando scrivono “Free Cecilia”, questa banda di ipocriti che sta con lo smargiasso imbroglione di Guterres?

Questo è l’Occidente putrefatto affetto dalla “sindrome Jimmy Carter”.

Il sipario è finalmente calato su uno degli atti più lunghi della storia americana: il presidente battista democratico è morto a 100 anni. De mortuis nisi bonum e Jimmy Carter era un bravo ragazzo che ha cercato di fare la pace. Questo almeno dice la vulgata.

Carter abbandonò lo scià al suo destino. E lo scià in seguito raccontò: “Il fatto che nessuno mi abbia contattato durante la crisi in modo ufficiale spiega tutto sull’atteggiamento americano... Ora mi è chiaro che gli americani volevano che me ne andassi”. Il 4 gennaio 1979, Carter disse al presidente francese Valéry Giscard d’Estaing che gli Stati Uniti stavano abbandonando il loro alleato, ritirando ogni sostegno allo scià e appoggiando l’ayatollah Khomeini. “Ero inorridito”, ha ricordato Giscard. “L’unico modo in cui posso descrivere Jimmy Carter è che era un ‘bastardo di coscienza’”. Il 16 gennaio 1979, lo scià e la sua famiglia lasciarono l’Iran. La Repubblica islamica dell’Iran fu fondata poco dopo. Nove mesi dopo, il 23 ottobre 1979, Carter permise con riluttanza allo scià gravemente malato di entrare negli Stati Uniti per cure mediche. Il 4 novembre, l’Iran reagì entrando nel complesso dell'ambasciata statunitense a Teheran e prendendo in ostaggio lo staff ridotto di sessantasei persone che era ancora lì in servizio dopo la caduta dello scià. Khomeini sogghignò: “Jimmy Carter è troppo codardo per affrontarci militarmente”. Strano anno, il 1979, quando Paul McCartney e Kurt Waldheim, il nazista segretario dell’Onu, organizzarono i “Concerti per la Cambogia”.

Cinquantadue ostaggi rimasero prigionieri per 444 giorni, per essere liberati il ​​20 gennaio 1981, il giorno in cui Ronald Reagan entrò in carica. Andrew Young, l’ambasciatore alle Nazioni Unite sotto Carter, disse che Khomeini era “un santo socialdemocratico” e paragonò la sua rivoluzione islamica al movimento americano per i diritti civili. L’ambasciatore americano a Teheran, William Sullivan, paragonò Khomeini a Gandhi.

Qualche anno dopo, sul New York Times, Jimmy Carter attaccò Salman Rushdie per aver “diffamato Maometto”, inaugurando il filone dei “fifoni per l’Islam” oggi dominante nel mainstream.

Un moralista debole, pavido, pericoloso e incapace. Ecco chi era Carter, osannato oggi dalla sinistra italiana dei “liberi e uguali” che vive di ipocrite campagnucce digitali, dal taglio delle ciocche di capelli a favore delle telecamere alle indignazioni social sugli italiani sequestrati da un regime che ossequia in ogni modo e in ogni occasione.

L’ho scritto a ottobre: “La dittatura delle babbucce islamiche finirà”. Ma non sarà certo merito dei nostri sedicenti progressisti. Loro sono le nuove tricoteuses, le magliaie che si sedevano sotto la ghigliottina durante la Rivoluzione francese sferruzzando in prima fila di fronte allo spettacolo della decapitazione. Oggi abbiamo la sinistra tricoteuse che grida all’“islamofobia” di fronte alle nuove decapitazioni.

La newsletter di Giulio Meotti è uno spazio vivo curato ogni giorno da un giornalista che, in solitaria, prova a raccontarci cosa sia diventato e dove stia andando il nostro Occidente. Uno spazio unico dove tenere in allenamento lo spirito critico e garantire diritto di cittadinanza a informazioni “vietate” ai lettori italiani (per codardia e paura editoriale).

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giuliomeotti@hotmail.com

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