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Libero Rassegna Stampa
30.12.2024 Le sinistre non trovano gli indirizzi degli ayatollah. Gli diamo una mano noi
Editoriale di Daniele Capezzone

Testata: Libero
Data: 30 dicembre 2024
Pagina: 1/3
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: «I compagni non trovano l’indirizzo degli ayatollah Gli diamo una mano noi»

Riprendiamo da LIBERO di oggi 30/12/2024, a pag. 1/3, con il titolo "I compagni non trovano l’indirizzo degli ayatollah Gli diamo una mano noi", il commento di Daniele Capezzone. 

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

L'ambasciata iraniana a Roma. E' qui che dovrebbero esserci proteste per la liberazione di Cecilia Sala. Ma non ci sono. Perché chi organizza le proteste, la solita compagnia di giro della sinistra, sull'Iran non ha mai nulla di critico da dire.

A scanso di equivoci e divagazioni, tanto vale partire da un indirizzo fisico ben preciso: Roma, Via Nomentana 361.
Si trova lì la sede dell’ambasciata in Italia della Repubblica islamica dell’Iran, ed è – appunto – lì che vive e opera la rappresentanza diplomatica del regime dittatoriale teocratico che, oltre a opprimere il proprio popolo, oltre ad avvelenare il Medio Oriente (con lo zelante contributo di Hamas, Hezbollah, Houthi), oltre a segregare le donne, oltre a perseguitare gli oppositori e i dissidenti, oltre a rovinare la vita alle minoranze sessuali, da una decina di giorni – come ultimo dei suoi atti di prepotenza e arbitrio – tiene sequestrata la nostra concittadina Cecilia Sala.
E allora – vale per le anime belle della sinistra e per ogni persona di buona volontà – è lì, a via Nomentana 361, che dovrebbe tenersi una grande manifestazione con lo striscione #CeciliaLibera (o se preferite #FreeCecilia). Del resto, tante altre volte la stessa compagnia di giro è stata lestissima a organizzare piazzate e chiassate sempre a Roma ma in Via Veneto (civico 121, per gli amanti della precisione), sede dell’ambasciata Usa.
Lo scriviamo con tanto di indirizzo e numero civico giusto (Via Nomentana 361, non Via Veneto 121) perché abbiamo la sensazione che diversi partecipanti al dibattito politico e giornalistico di queste ore abbiano smarrito non solo il navigatore della loro auto, ma pure un minimo di bussola politica.
Sentiamo parlare degli Stati Uniti, come se il sequestro di Cecilia Sala fosse dipeso o dipendesse da Washington. Sentiamo parlare di libertà di stampa, ed è sempre utile farlo: ma in questo caso – ahinoi – siamo davanti a un sequestro che ha il chiaro scopo di trasformare una cittadina italiana in un prezioso ostaggio per il regime che la trattiene, del tutto indipendentemente dal contenuto dell’attività giornalistica della Sala. E ancora sentiamo un confuso e vago vociare rivolto al governo (incluse manifestazioni curiosamente convocate davanti alle prefetture di città italiane): come se l’esecutivo non stesse facendo abbastanza.
Delle due l’una: o chi agisce così lo fa consapevolmente, e dunque sposta dolosamente l’obiettivo (l’America, la Meloni, il giornalismo), oppure lo fa senza rendersi conto del cuore della questione. E cioè che abbiamo a che fare con una dittatura spietata e ora anche traballante, che non si fa scrupolo alcuno, e sequestra una persona con l’obiettivo di farne merce di scambio per un ricatto internazionale.
Dunque, chiunque abbia conservato un minimo di onestà internazionale deve rivolgersi a Teheran, deve protestare contro l’Iran, contro il dittatore Khamenei e i suoi terribili pasdaran. Si tratta dei signori che, nel loro feroce odio contro Israele (che vorrebbero cancellare dalla faccia della terra), hanno alimentato e sostenuto le filiere terroristiche di Hamas e Hezbollah, ora spettacolarmente decapitate da Gerusalemme.
Peccato che, nelle città occidentali (incluse quelle degli Usa), abbiamo assistito per mesi a decine e decine di manifestazioni ammiccanti verso Hamas e verso il fondamentalismo islamico. Al punto – atroce beffa – che qualche mese fa proprio l’ayatollah Khamenei si tolse lo sfizio di ringraziare gli studenti e i professori delle università occidentali.
Il macellaio-capo dell’Iran, dal suo profilo su X, «in nome del Dio compassionevole e misericordioso», scrisse proprio a loro: «Cari studenti universitari negli Stati Uniti d’America, questo messaggio è un’espressione di empatia e solidarietà con voi». E ancora: «Voi state dalla parte giusta della storia», «avete formato un ramo del Fronte della Resistenza e avete cominciato un’onorevole lotta a dispetto della spietata pressione del vostro governo che supporta apertamente i sionisti».
Gran finale: «Il supporto e la solidarietà dei vostri professori di fronte alla brutalità della polizia è uno sviluppo consequenziale. Anche io simpatizzo con voi giovani, e apprezzo la vostra perseveranza».
Rileggendo quelle righe, si coglie la tragica beffa, lo sberleffo insanguinato. Magari, nello stesso minuto in cui quel tweet fu lanciato, altri studenti e studentesse iraniani saranno stati oggetto di violenza e repressione per ordine dei pasdaran, altre donne saranno state segregate, altre adultere lapidate, altri omosessuali orrendamente puniti e perseguitati.
Ma intanto la guida suprema si divertiva a seminare zizzania in un Occidente che tuttora crede (e chissà che non abbia ragione, almeno su questo) senza bussola e senza princìpi, incapace di distinguere tra democrazia e terrore, e dunque luogo ideale per immettere e far circolare altri veleni.
È esattamente quell’uomo che ora sequestra Cecilia Sala. È quell’uomo che guida il regime che l’ha incarcerata. Ed è a lui – non ad altri – che occorre indirizzare il nostro sdegno, la nostra protesta, e la nostra volontà di rivedere libera la nostra giovane concittadina. Nessuno sbagli indirizzo, per favore.

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