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Libero Rassegna Stampa
29.12.2024 Ecco la strategia di Putin
Commento di Marco Patricielli

Testata: Libero
Data: 29 dicembre 2024
Pagina: 12
Autore: Marco Patricielli
Titolo: «La strategia di Putin, fra pace e dissenso»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 29/12/2024, a pag. 12 con il titolo "La strategia di Putin, fra pace e dissenso" il commento di Marco Patricielli.

Vladimir Putin ammette di aver abbattuto l'aereo passeggeri dell'Azerbaigian, pur senza ammettere la colpa. Parla di "incidente", lo stesso termine che ha usato dopo l'omicidio dei suoi oppositori in patria. Da un lato agita il ramoscello d'ulivo parlando di trattative di pace in Ucraina, dall'altro continua a bombardare le città ucraine.

La parola “incidente” nella Russia di Vladimir Putin suona uguale a “raffreddore” nell’Unione Sovietica quando un membro del Politburo era già trapassato. Non è una spiegazione e non è un’ammissione: è una sfumatura. Il nuovo zar del Cremlino è un po’ come Fonzie di Happy Days, che non riusciva a pronunciare “scusa”, e un po’ come gli agenti dell’ex Kgb, di cui porta il marchio di fabbrica. Al massimo concede questo alla ricerca della verità sull’aereo azero precipitato per cause innaturali in Kazakistan con 38 morti che potevano essere anche di più.
È stato tirato giù dalla contraerea russa su territorio russo, e di giallo c’è davvero poco, ma la versione ufficiale parla di incidente, che racchiude tutto e non spiega niente. In una telefonata al collega presidente dell’Azerbaigian, Ilham Alijev, Putin si sarebbe scusato esprimendo cordoglio per le vittime e i loro familiari, come l’Agenzia Tass si è affrettata a comunicare (si fa per dire, considerati i tre giorni trascorsi dal «tragico incidente»). Questa la linea dettata dal Cremlino a Baku, con il creativo eufemismo delle «interferenze fisiche e tecniche esterne» che hanno provocato il disastro. Quanto alle cause, è un’altra storia. Mosca è disposta a concedere solo che mentre l’Embraer 190 delle linee aeree azere stava per atterrare, l’antiaerea russa era impegnata a respingere un massiccio attacco di droni ucraini su Grozny, Mozdokj e Vladikvakaz. Ma che il disastro sia responsabilità dei russi non è scritto da nessuna parte e il nesso di causalità non c’è.
A Volodimir Zelenskyj non è parso vero di poter utilizzare un assist di propaganda anti-propaganda, proprio a poche ore dal colpo di teatro della possibilità di trattative di pace con l’ospitalità e la mediazione della Slovacchia di Robert Fico, il quale naturalmente aveva avuto il via libera da Putin che ha diffuso la notizia.
La sfinge russa gioca su due tavoli ma ha una strategia: da un lato mostra disponibilità e propensione a farla finita con la guerra all’Ucraina, dall’altro le ha augurato il buon Natale con le luminarie di missili e droni su Kiev. È una tattica non nuova, quella di agitare il ramoscello mentre si menano fendenti con la spada. Forse perché adesso Putin ha davvero fretta di chiudere la partita, dopo essersi giocato una serie di elementi a sorpresa, dalle milizie naziste di Prigozhin, inviate a combattere i cosiddetti nazisti ucraini, ai soldatini nordcoreani mandati al fronte a fare massa, divenuti bersagli di un agghiacciante tiro al piccione da parte dei veterani di Kiev.
Riavvolgendo velocemente il nastro della storia, è confermato in maniera palese che in questo scontro l’Ucraina non può vincere e la Russia non può perdere; che la pace giusta è utopia perché le condizioni le impongono i vincitori e gli sconfitti possono solo limarle diplomaticamente; che in occidente il sostegno incondizionato e infinito a Zelenskyj ha il fiato corto come i rifornimenti di gas; che i dieci punti della vittoria ucraina erano una boutade; che è l’uomo del Cremlino ad avere il punto in mano anche se tiene ancora alcune carte coperte.
Putin è uno specialista delle cortine di fumo, con una lunga esperienza nel celare o manipolare la verità, dalle risegretazione dei documenti sull’eccidio di 20.000 ufficiali polacchi a Katyn voluto dal suo predecessore Stalin al the al polonio fatto servire ad Aleksandr Litvinenko; dai colpi di pistola che provvidamente toglievano di mezzo i giornalisti scomodi come Anna Politkvoskaja all’altrettanto provvida «sindrome da morte improvvisa» di Aleksej Navalnyj. I raffreddori, da quelle parti, sono davvero come gli incidenti.

 

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