Le mire imperiali di Trump Commento di Maurizio Molinari
Testata: La Repubblica Data: 24 dicembre 2024 Pagina: 1/43 Autore: Maurizio Molinari Titolo: «Le mire imperiali di Trump»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 24/12/2024, a pag.1/43, con il titolo "Le mire imperiali di Trump", il commento di Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
Ricorrere ai social network o alle conferenze stampa serve per dare il massimo rilievo ad un nuovo approccio ai rapporti con Pechino e Mosca lì dove i maggiori rivali globali degli Stati Uniti si sono più rafforzati negli ultimi 25 anni: gli equilibri strategici e, in particolare, quelli economici e commerciali.
La Groenlandia è la più grande isola del Pianeta ed una volta i suoi 56 mila abitanti vivevano immersi nei ghiacci ma i cambiamenti climatici l’hanno trasformata in un tesoro di ricchezza: non solo per i giacimenti di terre rare, cruciali per le nuove tecnologie, ma anche per lo scongelamento della rotta artica sulla quale Russia e Cina puntano per accorciare in maniera decisiva il percorso delle proprie grandi navi commerciali. Controllare la Groenlandia consentirebbe a Washington di ostacolare i piani di Mosca e Pechino nell’Artico così come di rafforzare la base militare di Thule destinata a diventare un perno della difesa antimissile dell’intera Nato, sul modello dell’“Iron Dome” di Israele.
Già nel 2019, durante il primo mandato, Trump aveva detto di voler acquistare la Groenlandia dalla Danimarca, come l’America fece con l’Alaska dalla Russia nel 1867, ma il secco rifiuto opposto allora da Copenhagen — e ribadito con forza oggi — fermò la Casa Bianca. Rilanciare pubblicamente tale ipotesi descrive la volontà di Trump di far sapere a alleati e avversari che è comunque determinato a andare avanti, magari tentando di sedurre economicamente la popolazione della Groenlandia, perché l’intento è di modificare in maniera inequivocabile la geopolitica delle acque dove il Mar Artico incrocia l’Atlantico del Nord.
Simile l’approccio al Canale di Panama, che gli Stati Uniti costruirono dal 1904, inaugurarono nel 1914 e controllarono fino al 1999 prima di trasferirne la responsabilità al governo locale in forza degli accordi Carter-Torrijos del 1977. Trump se ne vuole riappropriare, a dispetto della totale opposizione del presidente panamense Josè Raul Molino, perché si tratta di una pedina di grande importanza nel duello globale con la Cina di Xi Jinping.
Attraverso il Canale di Panama, infatti, passa il 4 per cento del commercio globale ed il 66 per cento dei cargo che lo attraversano sono in transito da o per gli Stati Uniti ma Pechino è diventata il secondo cliente in assoluto, sta realizzando investimenti infrastrutturali di primaria importanza, per miliardi di dollari, ed è riuscita in questo modo già a convincere due Stati dell’Istmo — Honduras eproprio Panama — a voltare le spalle a Taiwan. Insomma, l’influenza di Pechino a Panama è uno dei motivi della leadership cinese negli investimenti stranieri in America Latina e Trump è determinato ad invertire questa tendenza, cominciando ad aggredire anche qui il “made in China”, al fine di riequilibrare a proprio favore gli scambi globali. E la veloce reazione di Mao Ning, ministro degli Esteri cinese, a difesa di Panama conferma quale è la vera partita che sta iniziando.
Se ai passi di Trump su Groenlandia e Panama aggiungiamo il brusco monito al Canada sui dazi commerciali — accompagnato dal suggerimento al premier Justin Trudeau di diventare governatore del 51° Stato dell’Unione — e l’intenzione del blocco navale contro il Messico per stroncare i cartelli dei Narcos, non è difficile arrivare alla conclusione che il presidente eletto ha in mente una nuova mappa del globo per ridefinire l’architettura degli equilibri commerciali e di sicurezza rilanciando il ruolo degli Stati Uniti a scapito dei rivali Russia e Cina.
Questo significa che i Paesi partner ed alleati di Washington sono destinati a trovarsi davanti ad una pressione crescente. Forse senza precedenti dalla fine della Guerra Fredda. Da qui le indiscrezioni del Financial Times sulla volontà Usa di portare il contributo alla difesa dei Paesi Nato al 5 per cento perché, a prescindere dall’entità dell’aumento su cui si tratterà, ciò che più conta è la volontà della nuova amministrazione di far sapere agli alleati che nulla sarà più come prima. Così come avverrà con l’Unione Europea sul terreno dello squilibrio commerciale — dovuto in gran parte all’export di automobili tedesche e cibo italiano verso gli Usa — che Trump vuole azzerare proponendo ai partner di aumentare gli acquisti di energia “made in Usa”, a cominciare dal gas liquido “Lng”, a scapito di ciò che resta delle forniture russe e da Paesi ad alto rischio di instabilità in Africa e Medio Oriente. Ed anche qui c’è una connessione con il Canale di Panama perché si tratta di una delle principali arterie attraverso cui passano le esportazioni Usa di gas liquido.
Ecco perché l’Europa deve prendere molto sul serio le mosse di Trump su Groenlandia e Canale di Panama, Canada e Messico: a meno di un mese dall’insediamento descrivono ciò che ha in mente il nuovo inquilino della Casa Bianca. Sottolineando l’urgenza per i partner Ue e gli alleati Nato di definire in fretta un approccio energico ma sempre in una cornice di partnership euroatlantica: facendo magari pesare su Washington il loro ruolo indispensabile proprio nella sfida globale con Mosca e Pechino.
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