Il sogno infranto dei profughi palestinesi in Egitto totalmente dimenticati dall'ANP e dall'ONU
Testata: Europa Data: 02 settembre 2003 Pagina: 3 Autore: Imma Vitelli Titolo: «Palestinesi nell'inferno del Cairo»
Stiamo molto attenti a non perderci mai nulla di quanto scrive Imma Vitelli. Troviamo suoi articoli ogni tanto su Europa e ogni volta cresce la nostra considerazione per la cura e l'attenzione che dimostra verso il mondo arabo-palestinese. Immaginiamo viva al Cairo, luogo chissà perchè semidimenticato dai grandi mezzi di informazione. Invece, come Vitelli dimostra con i suoi servizi, è un punto di osservazione strordianrio per capire quanto avviene in tutta la regione. Nell'articolo uscito su Europa del 2.9.2003 (pag.3, titolo "Palestinesi nell'inferno del Cairo") Vitelli racconta, attraverso una serie di storie personali, il dramma dei palestinesi che vivono in Egitto. Mai accettati dal punto di vista legale, obbligati sempre a rinnovare il permesso di soggiorno, sono cittadini meno che di seconda classe. Eppure nessuno se ne preoccupa. Nè la dirigenza palestinese, nè l'ONU, nessuna delle infinite ONG si è mai curata di loro. Ne capiamo il motivo. Non entrandoci Israele i palestinesi perdono immediatamente qualunque fascino di fronte ad una Europa che ha occhi solo per osservare lo stato ebraico. Quanto descrive Imma Vitelli è la prova lampante della male fede e dell'odio, non solo arabo ma anche occidentale, contro Israele. Non è l'interesse verso la causa palestinese a far muovere le schiere antisraeliane. ma l'odio verso lo Stato ebraico. Poveri palestinesi in Egitto. E qualcuno sogna la Palestina nel proprio futuro, un luogo nel quale finalmente ritrovare identità e lavoro. Ci auguriamo che siano sufficientemente informati per non farsi troppe illusioni. Finchè il potere palestinese sarà nelle mani di Arafat il sogno continuerà a rimanere tale. Quello stato democratico nel quale i palestinesi che vivono in Egitto forse si augurano di trovare nel loro futuro è per ora ben lontano dal prefigurarsi. Uno c'è in zona, ma l'hanno creato democratico gli ebrei. Uno stato che Arafat e mondo arabo vorrebbero invece distruggere. Se sei palestinese e sei nata in un campo profughi di Beirut, ti ha detto male. Ma se sei palestinese, e sei nata a Ain el Helwa, e dopo nove anni sei dovuta scappare perchè nel frattempo in Libano era scoppiata la guerra civile, e alla fine di un pellegrinaggio a Cipro, Tunisi e Tripoli, sei finita al Cairo, allora vuol dire che ti ha detto veramente male. Bissan Edwan lo sa, ma la coscienza non l'aiuta. Lo sa dall'85, l'anno in cui arrivò in Egitto e scoprì di essere a tutti gli effetti non una profuga, ma una straniera senza passaporto e senza patria. Lo avverte soprattutto oggi, che il cerchio si stringe: "Le autorità egiziane mi hanno preso i documenti di viaggio. Scadono fra due mesi. Mi hanno chiesto se ho un lavoro. Non ce l'ho. Finora mia madre aveva garantito per me. Adesso dicono che no basta più. Minacciano di deportarmi. Ma dove? Io sogno la Palestina". Con i confini dei territori palestinesi presidiati dagli israeliani, è improbabile che il suo sogno possa avverarsi. Ma qui non ha futuro: "Sono in un limbo, e con me migliaia di persone", racconta bevendo un tè alla menta in un caffè vicino a piazza Talat Harb. Se c'è un paese in cui i profughi palestinesi sono stati presi a calci, questo è l'Egitto. La nazione che ambisce ad essere la guida del mondo arabo e che ha fatto della battaglia per i diritti dei palestinesi una bandiera di stato, quando si è trattato di metterli in pratica quegli stessi diritti li ha "dimenticati". I 57 mila profhghi che vivono qui sono secondo la legge semplici immigrati, spesso illegali, mai naturalizzati -"per non diluire l'identità palestinese"- acquattati negli slums del Cairo, Piort Said e Qantara, senza i servizi nè i campi dell'Onu, che l'Egitto non ha mai voluto. "gli egiziani non si stancano di parlare dei diritti dei palestinesi, ma quando vedi le condizioni disperate in cui vivono ti rendi cont che è solo un bla bla bla", spiega Orub El Abed, ricercatrice del Centro Studi sulle migrazioni forzate dei profughi dell'American University in Cairo. Orub ha da poco terminato una ricerca sul campo surata due anni. Dice che i risultati l'hanno sbalordita: "I palestinesi sono paria della società. Invisibili". Il fatto che qui no ci sia l'Unrwa (l'agenzia Onu che gestisce i 59 campi profhghi in Giordania, Libano, Siria, Gaza e Cisgiordania) li ha lasciati alla mercè degli egiziani. Le cose andarono abbastanzan bene ai primi arrivati, i profughi del '48, in gran parte commercianti di Gaza e dintorni: Gamal Abdel Nasser garantì loro diritti e servizi. Il suo successore non fece altrettanto. "La situazione precipitò nel '78, quando Sadat incominciò il processo di pace, o meglio quando il ministro che andò con lui a Gerusalemme, Yousef Al Sebai, fu assassinato a Cipro dal terrorista palestinese Abu Nidal su ordine di Saddam Hussein", spiega Orub. Le leggi furono cambiate: i diritti all'istruzione, al lavoro e alla residenza, cancellati. Da allora, i profughi del '48 devono rinnovare il permesso di soggiorno ogni 5 anni, quelli del '67 ogni tre. Chi è arrivato dopo, come Bisan, ogni anno,. Per poter restare, devono dimostrare di avere cinquemila dollari in banca, uno sponsor o un lavoro. "Il risultato è che in molti svolgono lavori illegali. Le autorità minacciano di deportarli, ma chi se li prende? Israele no accetterà mai il loro ritorno. Di solito li lasciano stare, ma alla prima scaramuccia li arrestano e se ne dimenticano. Conosco un ragazzo che sta dentro da due anni: l'hanno arrestato durante una rissa", racconta Orub. Bisan dice che non sa cosa farà alla scadenza del suo visto a fine ottobre. Suo padre, insegnante di arabo di Jaffa, è morto da 10 anni. Sua mader, ex segretaria dell'Olp, in teoria è in pensione, in realtà non riceve contributi: "I soldi li prende solo chi fa parte di Fatah, la fazione di Arafat". Vivono, lei, la madre e tre fratelli ("Si arrangiano tutti con lavoretti in nero") a Helwan, una bidonville a 40 chilometri dal Cairo, dove l'immondizia non la raccoglie nessuno. Lei si dà da fare, collabora a una rivista saudita e ad altri giornali del Golfo, ma pagano poco, e garantiscono anche meno. Di aiuto esterno non se ne parla: l'unico sindacato che accetta iscritti palestinesi è quello degli avvocati. A 29 anni, Bisan si è convinta che la strada verso un futuro degno porti dritta in Palestina:"Gaza o Cisgiordania, non importa, voglio andare e non ritornare mai più", Vietato farle notare che forse, se chiedesse il visto per la Norvegia, avrebbe più possibilità. Molti, nelle sue stesse condizioni, prendono la "scorciatoia" e sposano un egiziano. La scorciatoia semplifica la vita: dopo due anni di matrimonio si può chiedere la cittadinanza. Ma non è risolutiva. I figli di una coppia mista, per dire, hanno dei diritti, ma solo ad alcune, bizzarre, condizioni. Sotto l'egida della first lady Suzanne Mubarak, il parlamento ha approvato una legge che dovrebbe, almeno in teoria, dare una mano alle madri sole. Con le nuove regole, chi ha una mamma egiziana vedova o divorziata da un palestinese non paga le tasse universitarie (per gli stranieri l'equivalente di duemila e 600 euro l'anno, da pagare in sterline inglesi). Risultato: "Molti palestinesi fanno finta di divorziare per permettere ai figli di studiare gratis", racconta Sahar Said, imbarazzata. Sahar, 27 anni, in qualsiasi altro luogo potrebbe fare la modella, per quanto è carina. Suo padre era di Beir Sheba ("adesso è nel Sud di Israele"), la mamma è invece cairota e almeno gli studi in economia e commercio non li ha dovuti pagare. Solo che anche a lei non danno lavoro, anche lei non ha passaporto, anche lei racconta storie di umiliazioni, tormenti e tentativi di fuga abortiti. Confessa di aver chiesto il visto alle ambasciate di Canada, Libano, Giordania, Siria, e paesi del Golfo: nessuno che l'abbia voluta. Le suggeriamo di provare con i paesi del Nord Europa. "Se gli arabi mi trattano come un rifiuto, perchè gli occidentali dovrebbero fare diversamente?". Sahar dice che in Giordania i profughi li hanno naturalizzati, in Siria fanno una vita decente, in Libano vivono male, ma almeno hanno tutti istruzione e sanità gratis: "L'Egitto è il nostro girone infernale. Siamo dei derelitti, in un paese che non ci vuole. Ci hanno rubato il futuro", Spiega di essere arrivata a queste conclusioni da poco. "E' stato quando mio fratello è venuto a casa e ha annunciato alla famiglia di essersi fidanzato. Mia madre gli ha chiesto subito: di dov'è lei? Palestinese, ha risposto lui. Mamma era sotto choc. Gli ha detto: condanni i tuoi figli alla tua stessa infelicità". Invitiamo i lettori di informazionecorretta.com ad inviare la propria opinione alla redazione di Europa. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.