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La Stampa Rassegna Stampa
02.09.2003 Prove di un paese democratico
così funziona in Israele

Testata: La Stampa
Data: 02 settembre 2003
Pagina: 0
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Il verdetto sulla strage di arabi scuote lo Stato ebraico»
Riportiamo l'articolo di Fiamma Nirenstein pubblicato su La Stampa martedì 2 settembre 2003.
Tre giudici di cui uno arabo, mille pagine e tre anni di lavoro, sedicimila pagine di interrogatori per centinaia di testimonianze, e il Paese tutto intero col fiato sospeso per molte ore davanti alla tv e con le radio accese come di fronte a un verdetto definitivo sul proprio futuro: quella di ieri è stata soprattutto la giornata della commissione Or, dal nome del giudice Theodore Or che l'ha presieduta. E, dopo che i risultati sono stati finalmente presentati al pubblico, come si poteva prevedere, le critiche sono venute da ogni parte, ma tuttavia si è avvertito un generale senso di sollievo per il buon senso e l'equanimità della conclusione.
La Commissione Or è nata per iniziativa del governo, allora guidato da Ehud Barak, nel novembre 2000, in seguito all'uccisione, nel corso di dieci giorni di terribili scontri con i cittadini dei villaggi arabi del Nord d'Israele, di 13 manifestanti. Le accuse alla polizia, che sparò senza riguardo per la vita dei giovani pallottole di gomma che però risultarono fatali, ma anche le accuse cocenti alla politica dello Stato furono di aver mostrato una sostanziale indifferenza per la vita dei cittadini arabi, e quindi un atteggiamento razzista rispetto a quanto accade durante le manifestazioni della popolazione ebraica. Bisogna ricordare che furono dieci giorni di autentica guerra, di una violenza senza precedenti, che andarono in coppia con gli scontri della Spianata delle Moschee all’inizio dell'Intifada.
Barak, sotto la spinta dell'orrore popolare, nominò la Commissione che fu costruita sul modello della Commissione Kahan, quella che nell'83 giudicò Ariel Sharon per Sabra e Shatila e ne raccomando le dimissioni da ministro della Difesa. Alla vigilia di un quasi certo ritorno alla vita politica, Barak più di tutti ha temuto i risultati dell’inchiesta. Ma ne è uscito quasi salvo: nonostante parole severe siano contenute nel giudizio che lo riguarda (non ha ben valutato la gravità degli scontri neppure dopo l’uccisione del primo dimostrante) non vi sono raccomandazioni per il suo futuro politico. Invece l'ex ministro degli Interni e architetto degli accordi di Oslo, Shlomo Ben Ami, non potrà più, secondo la Commissione, avere lo stesso ministero perché ha dimostrato una sostanziale incompetenza. Le condanne più pesanti sono per gli agenti, e infatti già la polizia sostiene di essere stata gettata in pasto ai corvi per avere affrontato un'autentica guerra: per i capi si parla di «sostanziale fallimento professionale» (nel caso dell'Ispettore generale Yehuda Wilk) e «di aver contribuito con gli atti e le parole a cattivi rapporti con gli arabi del Nord» (per il comandante Alec Ron). Nessuno potrà tornare ai veccchi ruoli, e per altri due ufficiali si prescrive la cacciata. La polizia di fatto e' accusata di aver trattato cittadini israeliani come nemici in guerra.
Sotto inchiesta anche i politici arabi, membri del Parlamento israeliano, accusati di incitamento: Asmi Bishara e Abdel Malik Dahamshe come lo sceicco Ra'ed Saleh, che adesso è in carcere sospettato di aver aiutato terroristi palestinesi, sono stati accusati di avere incitato alla violenza e di avere perseguito la delegittimazione dello Stato d'Israele agli occhi dei loro concittadini. La Commissione ha anche rilasciato una lunga riflessione sullo stato dei rapporti fra ebrei e arabi in Israele che Yossi Beilin, la colomba, l’ex ministro, ha definito «un documento storico per come riconosce le nostre responsabilità verso gli arabi»: molti sperano che dalle critiche verso la noncuranza con cui Israele tratta questa minoranza nasca un'era nuova di concordia, un nuovo impegno, prima, come dice il documento, che sia troppo tardi. Ma oggi i giovani arabi israeliani si identificano molto più che nel passato con la loro identità palestinese, e in gran parte approvano il terrorismo, si sentono parte dell'Intifada.
Dalle prime amare reazioni, per esempio quella di Jamila Hasala, la madre di Assil, ucciso a 17 anni negli scontri, è difficile immaginare un'effettiva riconciliazione. Dice Jamila che da quando ha appreso il verdetto considera i giudici e lo Stato responsabile dell'assassinio del figlio.
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