Bambini rapiti Intervista di Claudia De Benedetti a Efrat Bron Harlev
Testata: Shalom Data: 02 dicembre 2024 Pagina: 1 Autore: Claudia De Benedetti Titolo: «I bambini rapiti da Hamas. Il ritorno alla vita delle vittime del terrore»
Riprendiamo da SHALOM online il commento di Claudia De Benedetti dal titolo “I bambini rapiti da Hamas. Il ritorno alla vita delle vittime del terrore".
Claudia De Benedetti
Abigail, Raz, Aviv, Yuval, Emilia, Ofri e gli altri bambini brutalmente sottratti alla loro infanzia dai terroristi di Hamas il 7 ottobre sono tornati a casa da alcuni mesi. Ma come stanno realmente? Quali traumi sono rimasti irreparabilmente nella loro anima? Cosa dicono della loro salute psicofisica i medici che li hanno in cura?
Lo Schneider Children’s Medical Center of Israel ha accolto 19 dei 38 bambini al momento del rilascio. Con sede a Petah Tikva, nel distretto centrale di Israele, Schneider è l’unico ospedale terziario completo del Paese e del Medio Oriente, riunisce l’intera gamma di discipline pediatriche; dalla sua fondazione, nel 1991, ha rivoluzionato la pratica della medicina pediatrica in Israele ed è stato riconosciuto come una delle istituzioni pediatriche più importanti al mondo.
Efrat Bron Harlev, CEO della struttura, ha parlato nelle scorse settimane davanti al UN Security Council. Un discorso di profonda umanità che merita di essere approfondito.
Efrat, come avete reagito il 7 ottobre quando avete ricevuto le prime frammentarie notizie di quanto stava accadendo?
Alle 7 di mattina ero in ospedale, sono pediatra specializzata in cure intensive, ho immediatamente trasferito i 200 pazienti ricoverati nelle strutture protette insieme ai loro genitori. Da 32 anni abbiamo chiara la nostra mission: curare i bambini di qualunque nazionalità, cultura e religione per garantire loro un futuro, siamo preparati ad accogliere ogni singolo ferito. Ma alcune ore più tardi ho capito che non avremmo ricevuto nessun bambino. Ho capito che molti bambini erano stati ricoverati negli ospedali del sud ma ho anche capito che molti bambini di tutte le età, anche neonati, erano stati massacrati nelle loro case. Macellati, soffocati, sgozzati.
Come vi siete preparati per il rilascio dei primi rapiti avvenuto dopo 50 giorni?
Dei 253 rapiti, 38 erano bambini, e penso a Kfir Bibas, che aveva 8 mesi, 8 mesi! Abbiamo trattato feriti in situazioni disperate, ma neppure nei peggiori incubi avremmo immaginato di dover preparare terapisti, assistenti sociali e personale ospedaliero al ritorno di bambini deportati, bambini di 3, 4, 5, 8, o 14 anni che tornavano dalla prigionia. Abbiamo cercato nelle pubblicazioni scientifiche, ma non abbiamo trovato nulla. Abbiamo così creato nuovi protocolli, sapevamo che avremmo dovuto essere molto flessibili, che avremmo dovuto adattare i protocolli ai bambini.
Come avete trovato i bambini all’arrivo?
Per 50 giorni, sì 50 giorni, i bambini non erano neppure autorizzati a stare in piedi, mangiavano poco conservavano ogni briciola, venivano fatti spostare da un luogo all’altro, terrorizzati. Quando chiedevano di andare in bagno dovevano aspettare per ore, quando piangevano venivano minacciati con armi puntate alla testa, veniva loro gridato “stati zitto!”. Avevano lividi e pidocchi, non avevano potuto fare una doccia per più di 50 giorni. Non hanno visto la luce del giorno, perdendo la nozione del tempo, una bambina di 9 anni crede di essere stata via un anno. Hanno bevuto acqua fangosa o salata. Alcuni avevano ferite gravi che sono state curate male o non sono state curate. Venivano terrorizzati dai carcerieri dicendo che i loro genitori li avevano dimenticati, che non li volevano più, che sarebbero rimasti in quei tunnel per sempre, che nessuno sarebbe venuto a riprenderli. Un ragazzino di 12 è stato chiuso al buio, da solo, per 16 giorni prima di essere riunito con alcuni altri ostaggi. Due gemelle di tre anni sono state separate l’una dall’altra e dai loro genitori. Non sembravano bambini, ma ombre di bambini privi di espressione, nessuna espressione sul loro volto, non erano felici, non piangevano, erano molto più silenziosi, molto. Ci chiedevano: possiamo guardare fuori dalla finestra? Possiamo alzarci dal letto?
E ora come stanno?
Alcuni bambini da quando sono tornati riescono solo a sussurrare, altri non parlano mai. Non sono per nulla tornati alla normalità. Come pediatra dico a voce alta che mai più un bambino, un civile, dovrà essere vittima di eventi come quelli accaduti il 7 ottobre, voglio che tutti capiscano, che ci aiutino a riportare a casa i bambini in ostaggio, le atrocità che hanno subito e subiscono non devono accadere mai più.
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