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La Repubblica Rassegna Stampa
02.12.2024 Il nuovo libro di Maurizio Molinari
Anticipazione da 'Il Grande Gioco che ferisce le democrazie'

Testata: La Repubblica
Data: 02 dicembre 2024
Pagina: 30
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Il Grande Gioco che ferisce le democrazie»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 02/12/2024, a pag. 30, con il titolo "Il Grande Gioco che ferisce le democrazie", l'anticipazione del nuovo libro di Maurizio Molinari.

Molinari: “Le sorti dell'Italia sono decisive per quelle dell'Europa” -  Mosaico
Maurizio Molinari

L'Occidente minacciato dal nuovo asse dei dittatori: Russia, Cina, Iran, Corea del Nord. E' questo al centro del nuovo libro di Maurizio Molinari, di cui qui riportiamo un estratto.

Ciò che accomuna la guerra in Ucraina, il conflitto in Medio Oriente e le fibrillazioni militari lungo gli stretti di Taiwan è il fatto di essere tasselli di un unico mosaico: la grande guerra d’attrito che Russia, Iran e Cina stanno combattendo, in maniera asimmetrica, contro le democrazie, al fine di metterle sulla difensiva, indebolirle e farle implodere per riuscire a ridefinire l’architettura internazionale di sicurezza a loro vantaggio.

La premessa necessaria per comprendere perché ci troviamo immersi in una stagione di conflitti apparentemente senza possibile conclusione è la volontà da parte delle più importanti e meglio armate autocrazie e dittature di stravolgere l’ordine mondiale uscito dalla Guerra fredda. Mosca, Pechino e Teheran – assieme a un gruppo ristretto ma agguerrito di Paesi e milizie alleate – vogliono rovesciare l’equilibrio di sicurezza globale a loro favore, sulla base dei propri, peculiari, interessi nazionali.

Questo non significa che Vladimir Putin, Xi Jinping e Ali Khamenei sono stretti alleati, né tantomeno portatori di una comune visione del mondo, bensì che hanno la coincidente volontà di porre fine alla prevalenza geopolitica dei Paesi democratici. E poiché non hanno ancora gli strumenti economici per riuscirci, sono impegnati in campagne asimmetriche – condotte con le più diverse armi e tattiche nella realtà fisica come in quella digitale – il cui fine è far implodere l’avversario sotto il peso crescente di aggressioni esterne, fratture interne e conflittualità digitali.

Si tratta della più formidabile sfida che le democrazie si trovano ad affrontare dall’inizio del XXI secolo. E la difficoltà nell’elaborare la risposta viene dal fatto che all’interno dei singoli Paesi, in Nord America come in Europa e in Estremo Oriente, non c’è consenso sulla comprensione della grande guerra d’attrito: a prevalere sono spinte nazionaliste, isolazioniste e populiste che preferiscono ignorare o sminuire le minacce per non dover affrontare le conseguenze che comportano.

Sul teatro europeo la protagonista della guerra d’attrito è la Russia di Vladimir Putin. È Mosca che ha attaccato l’Ucraina oltre due anni fa fallendo il blitz per annetterla e trasformando «l’operazione militare speciale» in un conflitto di logoramento il cui fine è gettare sul fronte una quantità di vite umane e risorse belliche tali da nullificare l’impatto delle forniture occidentali a Kiev, per riuscire a prevalere nel lungo termine. È una tipologia di aggressione che Mosca accompagna con «infiltrazioni maligne» – come le definisce la Nato – in Europa e Stati Uniti al fine di moltiplicare tensioni sociali e conflitti di ogni genere, facendo leva in particolare sulle forze politiche antisistema – populiste e sovraniste – per indebolire, in ogni possibile modo, i governi alleati. Quella russa è dunque una guerra asimmetrica perché se sul fronte ucraino ricorre alle armi convenzionali e minaccia l’uso del nucleare, contro i Paesi Nato ricorre in maniera massiccia a infiltrazioni cyber, campagne di disinformazione, sabotaggi e diffusione di fake news.

Ciò che accomuna Hamas, Hezbollah, Houthi e Kata’ib Hezbollah– come anche la Jihad islamica presente a Gaza e nella Cisgiordania – è essere stati creati, addestrati e finanziati dalla Forza al-Quds delle Guardie della rivoluzione iraniana, che rispondono direttamente ad Ali Khamenei, leader supremo di Teheran. In questo caso la guerra d’attrito ha una dimensione militare immediata contro Israele – attaccando su ogni fronte, come non era mai avvenuto dal 1948 – al fine non solo di imporre l’egemonia di Teheran sul Medio Oriente ma di obbligare gli Stati Uniti a impegnare ingenti risorse, militari ed economiche, per proteggere l’alleato di Gerusalemme, distogliendole di conseguenza dal conflitto ucraino.

La visita di Putin a Pyongyangcon il conseguente patto di mutua difesa Russia-Nord Corea fa supporre che Mosca abbia in animo di ripetere in Estremo Oriente quanto gli sta riuscendo assai bene in Medio Oriente: usare un proprio alleato per aprire un nuovo fronte di attrito contro le democrazie.

Xi Jinping è il terzo, e forse più strategico, protagonista della grande guerra d’attrito perché la Cina – a differenza di Russia e Iran – agisce su uno scenario più ambizioso: spingere l’America a perdere il primato della ricchezza planetaria e al tempo stesso allontanarla dall’Estremo Oriente.

Con il ritorno di Trump alla Casa Bianca l’America ha l’opportunità di ridefinire la risposta alla sfidaglobale delle autocrazie. Se nel 2013 fu la scelta di Obama di non intervenire in Siria a innescare la decisione di Putin di mandare le truppe in Medio Oriente e nel 2021 fu la ritirata di Biden dall’Afghanistan a convincere Mosca di poter attaccare Kiev, ora gli Stati Uniti possono ripristinare la loro capacità di deterrenza contro gli avversari strategici: Russia e Cina, ma anche, a livello regionale, Iran e Nord Corea. La ricetta di Trump e J.D. Vance è «ottenere la pace attraverso la forza » per «porre termine ai conflitti» ovvero trasformare la superpotenza economica e militare Usa in uno strumento di pressione tale da obbligare le autocrazie a fermare le aggressioni e scendere a patti. Ed èun approccio che ruota attorno alla capacità personale di Trump di essere credibile con i più aggressivi avversari. Saranno i prossimi mesi a dire se e quanto tale ricetta potrà funzionare, ma possono esserci pochi dubbi sul fatto che la proiezione dell’America nel mondo è destinata a mutare.

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