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La Stampa Rassegna Stampa
01.12.2024 Le incognite di Zelensky
Analisi di Anna Zafesova

Testata: La Stampa
Data: 01 dicembre 2024
Pagina: 25
Autore: Anna Zafesova
Titolo: «Zelensky, la tregua e l'incognita americana»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 1/12/2024, a pag. 25, l'analisi di Anna Zafesova dal titolo "Zelensky, la tregua e l'incognita americana".

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Zelensky cerca di giocare d'anticipo sull'imminente insediamento della nuova amministrazione Trump e apre alla formula che prevede la cessione dei territori perduti nei tre anni di guerra contro la Russia in cambio dell'ingresso nella NATO e la tregua 

L’apertura di Volodymyr Zelensky a una prospettiva di «restituzione dei territori occupati per vie diplomatiche» segna una svolta, in quella partita a poker che si sta giocando tra bluff e scommesse dal 6 novembre scorso. L’equazione teorizzata dal presidente ucraino è apparentemente semplice: perdita del controllo dei territori ucraini occupati dalla Russia in cambio dell’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Una presa d’atto della difficoltà degli ucraini di reggere un altro inverno di bombe, buio e freddo, di fronte alla necessità di mandare un’altra generazione nelle trincee nel Donbas. Il numero degli ucraini favorevoli a un negoziato ha superato, per la prima volta in quasi tre anni di guerra su larga scala, il 50%, e anche se la quota di chi sostiene una perdita dei territori è molto meno cospicua, la riconquista delle regioni invase con strumenti militari in questo momento appare poco realistica. E impossibile nel caso di una interruzione dell’aiuto americano. L’incognita Trump sta rendendo il 20 gennaio 2025 una data attesa con apprensione in tutto il mondo. Intanto che il team del presidente eletto ha preso una pausa mediatica, per passare dalle dichiarazioni elettorali alle proposte realistiche, le parti stanno facendo le loro scommesse. Vladimir Putin sta macinando i suoi soldati al ritmo di quasi due mila al giorno per avanzare di qualche chilometro in più nel Donbass, temendo che a gennaio sarà costretto a fermarsi. Ha anche alzato quasi all’inverosimile la posta sul nucleare, lanciando un missile balistico su Dnipro, per poi specificare però che il suo nuovo giocattolo micidiale non verrà dotato di testata atomica. Non sappiamo se a fargli fare marcia indietro sia stata una telefonata da Pechino, da Washington o dalla borsa di Mosca, dove il rublo è andato in picchiata dopo le minacce apocalittiche di Putin. Le bombe convenzionali hanno proseguito invece a piovere sulle città ucraine, nell'intenzione - che il dittatore russo ormai non nasconde – di distruggere il Paese che gli si ribella. In queste circostanze, la proposta di Zelensky di dare all'Ucraina garanzie di sicurezza dalla Nato è razionale. Quando si parla di “congelare” il conflitto lungo la linea del fronte esistente si dimentica a volte che non si tratta di territori, ma di persone. Accettare di lasciare quattro regioni dell’Ucraina – più la Crimea, da sempre considerata da Zelensky un obiettivo a lunghissimo termine – in mano ai russi almeno fino alla caduta del regime di Putin significa costringere milioni di ucraini a vivere forse per anni sotto la dittatura russa, oppure accogliere un’altra ondata di profughi di dimensioni bibliche. Ma il vero problema dell'Ucraina non è quello di tracciare una linea di demarcazione qualche chilometro più a destra o a sinistra. Il dilemma esistenziale è tutelarsi dai missili: se una ipotetica tregua sul terreno lasciasse Putin libero di proseguire il tiro a segno sulle città ucraine a suo piacimento l'incentivo per Kyiv diventa scarso se non nullo. Zelensky sembra aver scommesso tutto su Trump, anche nella sua retorica di lodi. È una posizione win-win: se il piano di far ottenere all’Ucraina l'ombrello di protezione occidentale funziona, ha assicurato a caro prezzo la sopravvivenza del suo Stato, se – come è molto probabile – Putin non accetta di cedere – avrà mostrato di essere stato lui quello pronto al compromesso. Intanto guadagna tempo, che in queste settimane sembra aver accelerato il suo corso: la caduta del rublo, le difficoltà dell’Iran e l'avanzata dei ribelli in Siria hanno già rimescolato le carte su cui contava il Cremlino, e la partita vera non è ancora nemmeno iniziata. 

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