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Libero Rassegna Stampa
30.11.2024 L’arcivescovo e l’illusione
Commento di Daniele Capezzone

Testata: Libero
Data: 30 novembre 2024
Pagina: 1/12
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: «L'arcivescovo e l'illusione dell'accoglienza a tutti i costi»

Riprendiamo da LIBERO di oggi 30/11/2024, a pag. 1/12, con il titolo "L'arcivescovo e l'illusione dell'accoglienza a tutti i costi", commento di Daniele Capezzone. 

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

Dopo la guerriglia a Corvetto, quartiere di Milano ad alto tasso di immigrazione, l'arcivescovo Mario Delpini non fa che sdrammatizzare e riprendere il mito dell'accoglienza. Grave illusione, non è chiudendo gli occhi e raccontandoci le fiabe sull'integrazione che si risolve il problema della banlieue italiana.

Non siamo (e neppure amiamo) quella tipologia di liberali che vorrebbero spiegare alla Chiesa ciò che essa deve dire o deve fare.
E tuttavia non possono non colpire, dopo i cupi fatti del Corvetto, le parole affidate a Repubblica dall’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, che- sia detto con grande rispetto- sembrano descrivere letteralmente un altro mondo.
Noi abbiamo visto una situazione di assedio contro la polizia, una ribellione esplicita e ormai priva di freni inibitori, un pezzo di città letteralmente messo a ferro e fuoco. Ma per Delpini le cose non stanno così: «La risonanza mediatica finisce per catalizzare il gusto per la catastrofe, piuttosto che l’interpretazione sincera della realtà. Ci vorrebbe una lettura più penetrante e costruttiva».
Quanto ai maranza e ai protagonisti del caos (immigrati di prima o di seconda generazione), Delpini si dedica ad attenuare e attutire: «È un malessere che non classificherei in modo superficiale, accostandolo a quello delle banlieue francesi. Invece che procedere per stereotipi, bisognerebbe andarci a parlare con questi ragazzi e con i loro famigliari, ascoltarli, come fanno la Caritas e i servizi sociali pubblici».
L’arcivescovo sembra chiudere un occhio anche su comportamenti inaccettabili che colpiscono la stessa Chiesa (i vandalismi contro gli oratori, fenomeno che cita ma non drammatizza), e conclude: «Bisogna che le istituzioni tutte coltivino un’idea un pochino più lungimirante di città e delle popolazioni che vi si muovono». E ancora: «La migrazione nella comunicazione pubblica viene ridotta al tema degli sbarchi e dei rifugiati». Abbiamo riportato ampi virgolettati proprio per non dare l’idea di una nostra selezione arbitraria, e meno che mai di una caricatura di tesi che - vale la pena ammetterlo non ci convincono affatto. Si badi: siamo ben consapevoli di quanto la diocesi di Milano faccia meritoriamente in termini di aiuto e sostegno a chiunque si trovi nella marginalità. Ogni rilievo critico deve partire da questo doveroso e onesto riconoscimento.
E tuttavia ci sono almeno tre aspetti che non ci persuadono. Anzi: se l’arcivescovo invita a evitare alcuni “stereotipi”, ci pare che proprio lui cada pari pari nei più classici e scontati luoghi comuni di segno opposto, quelli dell’accoglienza illimitata e del giustificazionismo sistematico.
Primo. Perché dare l’idea di sottovalutare la gravità criminale di ciò che è accaduto? E soprattutto: perché trasmettere la sensazione che uno stato di disagio sociale possa trasformarsi in una “licenza” per giustificare comportamenti violenti? Da che mondo è mondo esistono purtroppo le disuguaglianze e la povertà: ma nessun povero (non immigrato) si è mai visto giustificato per violenze commesse o reati perpetrati.
Secondo. L’elemento quantitativo, quello che potremmo chiamare il “salto di quantità”, determina anche un salto di qualità del fenomeno migratorio, compromettendo ogni materiale possibilità di gestirlo. Lo stesso buon lavoro della Chiesa rischia di essere letteralmente travolto se gli argini saltano.
Perché negarlo?
Terzo. Monsignor Delpini sfiora il tema, ma poi non prende il toro per le corna. Mi riferisco al pervicace rifiuto di alcuni immigrati di integrarsi, alla loro tenace volontà di non adeguarsi a una convivenza pacifica e improntata ai principi di libertà, ma di chiudersi in comunità autoreferenziali intese come un irriducibile punto di contestazione del nostro modello. L’arcivescovo dice pudicamente che «stentano a trovare ragioni per familiarizzare»: ma forse il tema è che quelle ragioni nemmeno le cercano.
Questo approccio di complessiva sottovalutazione e minimizzazione ci pare legato a una visione che tende a giustificare l’immigrazione illegale e incontrollata. E, su un altro piano, abbiamo anche seri dubbi sul fatto che molti cattolici italiani siano contenti di questo tipo di attivismo ecclesiastico pro migranti.
Lo diciamo con il massimo rispetto possibile: ma la sensazione è che da parte delle attuali gerarchie ecclesiastiche le forme e le occasioni di lettura ideologica dei fenomeni sociali stiano via via allargandosi. Il che rappresenta in genere la premessa per acquisire una visione distorta e alterata delle cose. E per subire brutte sorprese, in qualche caso bruttissime.

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