Se i magistrati non si possono neanche criticare Commento di Daniele Capezzone
Testata: Libero Data: 21 novembre 2024 Pagina: 1/12 Autore: Daniele Capezzone Titolo: «Parola di Csm: non si possono neanche discutere gli atti delle toghe»
Riprendiamo da LIBERO di oggi 21/11/2024, a pag. 1/12, con il titolo "Parola di Csm: non si possono neanche discutere gli atti delle toghe", il commento di Daniele Capezzone.
Daniele Capezzone
I membri del Csm forse non se ne sono neppure resi conto, ma con la loro levata di scudi di ieri hanno fatto rivivere – traslandola sui magistrati – l’impostazione che lo Statuto Albertino aveva adottato nei confronti del re: «La persona del re è sacra e inviolabile». Ecco, adesso a essere «sacri e inviolabili» dovrebbero essere i magistrati, cioè – è sempre bene ricordarlo – dei funzionari pubblici non eletti da nessuno e meri vincitori di un concorso. Di più: il sogno del Csm è che a questo punto i magistrati siano perfino sottratti alla critica, alla discussione pubblica, pena una presunta «delegittimazione». Indiscussi e indiscutibili nei loro atti.
Quindi, ricapitolando. I magistrati, sia attraverso l’attività giurisdizionale sia attraverso una miriade di iniziative che è difficile non qualificare come politiche (interviste, convegni, conferenze, comparsate tv, proclami individuali o correntizi), possono tranquillamente invadere il terreno che dovrebbe essere proprio di governo e Parlamento. Anzi: si fanno un punto d’onore di dettare a esecutivo e legislativo ciò che quei poteri abbiano o non abbiano diritto di fare. E naturalmente le toghe sbraitano se qualcuno fa osservare che queste invasioni di campo fanno saltare la separazione dei poteri. Dopo di che, se per caso politici e media osano sollevare critiche anche robuste e argomentate nei confronti di magistrati onnipotenti e onnidichiaranti, arriva la stentorea reazione del Csm.
Chiaro? Ormai c’è una casta che può tutto, dentro e fuori il perimetro che la Costituzione le assegna. E con in più – piccolo dettaglio – il potere di privare della libertà altri cittadini. Per sovrammercato, i membri di questa classe eletta, i sacerdoti di questa casta braminica non tollerano nemmeno il fatto che si possa discutere delle loro azioni.
È l’ora di dire che comportamenti simili non sarebbero (e non sono) tollerati nelle maggiori democrazie del mondo. È anomalo che in Italia la magistratura – indisturbata – continui a proporsi come surrogato dell’opposizione politica, come contropotere rispetto a un governo “sgradito”, come soggetto che interviene in modo immediato e diretto nella discussione pubblica. Ed è ancora più anomalo che tutto ciò sia ormai accettato come un’evenienza normale e perfino ineluttabile.
Chi scrive è ormai sufficientemente grande di età per ricordare tempi in cui, anche nei sondaggi e nelle rilevazioni demoscopiche, i magistrati erano idolatrati, oggetto quasi di culto. Se oggi i loro indici di fiducia e popolarità sono crollati, un motivo ci sarà: e sta nel fatto che un numero crescente di italiani non li considera imparziali. Si sbaglieranno i cittadini? Tutto può essere. Ma l’irritazione con cui le toghe reagiscono alle critiche tradisce un nervosismo di fondo e un’insicurezza crescente. A questo punto il governo e la maggioranza – a nostro avviso – non devono partecipare a una logomachia, a una battaglia di parole.
Passino ai fatti. E i fatti che milioni di italiani attendono sono i quattro passaggi parlamentari (li si può realizzare in poco più di un anno) per approvare la riforma costituzionale volta a separare le carriere tra magistrati inquirenti e magistrati giudicanti. È l’ora di farlo, dopo tanta attesa.
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