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Libero Rassegna Stampa
06.11.2024 La grande isteria dei pro-Kamala in Italia
Commento di Giovanni Sallusti

Testata: Libero
Data: 06 novembre 2024
Pagina: 3
Autore: Giovanni Sallusti
Titolo: «L'isteria contro Trump e la 'malattia americana'. Tutte le colpe ricadono sul solito maschio bianco»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 06/11/2024, a pag. 3 con il titolo "L'isteria contro Trump e la 'malattia americana'. Tutte le colpe ricadono sul solito maschio bianco" il commento di Giovanni Sallusti.

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Giovanni Sallusti

Donald Trump eclissa Kamala Harris. E in Italia si diffonde già in anticipo l'isteria anti-americana e in generale contro la categoria universale del "maschio bianco", reo di tutte le colpe del mondo.

L’avvicinamento alla notte americana alle nostre latitudini ha conosciuto un andamento ossimorico, per cui il rito elettorale nella più grande democrazia del globo, nel caso di vittoria di uno dei contendenti, produrrebbe l’apocalisse della democrazia medesima. È un controsenso che ci è stato tranquillamente spacciato nelle prime serate pettinate, negli editoriali pensosi (e poco pensanti), nelle analisi copia&incollate dai corrispondenti dalla terrazza di Manhattan, con vista sulle proprie ossessioni ben più che sull’America profonda. E l’ossessione dominante era sempre lui, Donald Trump, il Puzzone, il cigno nero, l’eversore, perfino colui che segnerebbe definitivamente «la crisi dell’impero americano», secondo un giornalista statunitense ultimamente più noto come ballerino rivedibile che come analista approssimativo, tal Alan Friedman.
E tutto questo grazie a una collettiva, sistematica, obiettivamente notevole per ostinazione, rinuncia al principio di realtà. L’unico termometro fattuale di cui saremmo infatti in possesso per giudicare il Trump politico sono i suoi quattro anni di governo tra il 2016 e il 2020, segnati da performance economiche quasi reaganiane e da capolavori d’inventiva diplomatica come gli accordi di Abramo, ma è fin noioso ribadirlo.
E, soprattutto, non interessa a lorsignori. Quel che preme ai mazzieri del dibattito nostrano è la narrazione (forse l’unica cosa che rimane loro).
La Trimurti del giornalismo mainstream Corriere-Repubblica-Stampa, ad esempio, ieri ha dato il massimo, conscia di doversi giocare le ultime cartucce pre-voto (inciso ma non troppo: delle cartucce vere, quelle sparate in campagna elettorale contro il candidato repubblicano, non avete quasi mai trovato traccia nei report delle Brigate Kamala). Editoriale a firma di Massimo Gaggi, intitolato Un Paese in affanno (l’America è costantemente in affanno sui nostri giornali, pensate come sono messe tutte le altre economie del pianeta, che le stanno dietro). A un certo punto viene evocato «lo scenario al quale l’Europa guarda con più speranza».
Non siate ingenui, sapete già la risposta: «La vittoria di Kamala Harris, erede dei valori liberaldemocratici e della fedeltà alla Nato di Joe Biden». Verrebbe spontaneo osservare che le classi dirigenti europee (non i popoli o tutte le variegate sensibilità del continente) tifano Harris proprio per continuare a non pagare la propria quota di spettanza della Nato, che Trump richiede con logica difficilmente smentibile, ma passiamo oltre. Repubblica sforna una paginata a modo suo da collezione, firmata da Gianni Riotta: Whisky, ansiolitici e Guardia Nazionale. È la notte più lunga. Ne esce la radiografia di una nazione divorata dall’angoscia pre-voto, perché non è solo una tornata elettorale, ma è l’assalto della barbarie trumpiana alla cittadella democratica (Martha V.D. ad esempio, un “medico” consultato da Riotta, confida: «Mi attacco al telefono, campagna per Kamala finché non crollo»).
C’è poi la ricaduta nello psicodramma nazionale, come ci informa un articolo di Tommaso Ciriaco, intitolato Il fattore Donald inquieta Meloni. La spina leghista in politica estera. Pare in sostanza che la presidente del Consiglio di un governo di centrodestra si sia barricata nei bagni di Palazzo Chigi, terrorizzata all’idea che negli Stati Uniti vinca il candidato repubblicano.
All’analisi hanno abdicato da tempo, non è più nemmeno narrazione generica, è un kolossal apocalittico che va in onda ininterrottamente sui nostri schermi. Per registrarlo, La Stampa spedisce in America (o meglio, a New York, l’abbaglio geografico-antropologico è sempre quello) Annalisa Cuzzocrea, che intervista «nella sua casa di Upper East Side» lo scrittore Colum McCann. Titolazione del dialogo: La malattia dell’America. Come, quale? A questo punto dovreste averlo capito anche voi biechi lettori di Libero: il trumpismo, ovviamente. Anzi, l’esistenza stessa di elettori del Grand Old Party. «Io ho amici repubblicani, non riesco a capirli ma ci provo tutto il tempo». Lui, l’illuminato intellò democratico, ci prova anche a capirli, sono loro che si ostinano a rimanere repubblicani, reiterando questa bizzarra convinzione che “democrazia” implichi pluralismo dei punti di vista.
Nella pagina dei commenti, un’indignatissima Maria Laura Rodotà ci avvisa di uno scandalo inimmaginabile, quello per cui Elon Musk ha fatto un «appello al maschio bianco». Come noto, nell’era kamaliana delle magnifiche sorti e progressive garantite dalla gioia Woke, sono permessi appelli a qualunque segmento di elettorato, dalla comunità afroamericana (l’ha fatto Barack Obama) alla popolazione femminile (l’ha fatto Julia Roberts), ma mai, per nessun motivo, a Lui, il paria della contemporaneità, il volgare e sudaticcio maschio bianco. Perfino Luca Bizzarri, nonostante i precedenti dei comici genovesi che si esercitano con la politica non deponga a favore, si sente di avvertirci che «con Musk dietro il merdone stavolta può essere enorme». Scritto nero su bianco, su un social di proprietà di Musk. Sipario.

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