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Il Giornale Rassegna Stampa
05.11.2024 Il dilemma degli ebrei americani. L'Iran sceglie la Harris
Commento di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 05 novembre 2024
Pagina: 15
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Il dilemma degli ebrei americani. L'Iran sceglie la Harris»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi 05/11/2024 a pag. 15 il commento di Fiamma Nirenstein con il titolo: "Il dilemma degli ebrei americani. L'Iran sceglie la Harris". 


Fiamma Nirenstein

Gli ebrei americani hanno sempre votato, in maggioranza, a sinistra. Ma nell'ultimo anno si è allargato il solco fra un'amministrazione Biden che chiede il cessate il fuoco e Israele che lotta per la sopravvivenza. Mentre nelle università di sinistra si scatena l'antisemitismo. E l'Iran è esplicitamente schierato con Kamala Harris

Gli ebrei americani, 7 milioni e mezzo, un numero pari quasi a quello di tutti gli ebrei che vivono nello stato d’Israele ( 9 milioni e mezzo che comprendono anche i cittadini arabi), sono sempre stati per la maggioranza, di sinistra. Adesso, il baratro che separa le ragioni di una guerra di sopravvivenza da quella, fino a ieri di Biden, di vincere le elezioni puntando anche a un pubblico pacifista e woke, hanno cambiato un po' le cose, ma non si sa ancora quanto. Di sicuro, Trump offre una spalla un po' più robusta quando dice che Hamas non avrebbe osato attaccare se lui fosse stato al potere, e non si può negare che in questo vanto può esserci qualcosa di vero. E tuttavia anche Biden ha detto qualche “don’t” agli iraniani, ottimo finché non si trasformato in un “don’t” anche a Israele, e soprattutto, alla fine non si è tirato indietro nel fornire di armi il suo unico alleato democratico in Medio Oriente. Certo, non l’ha fatto per beneficenza e ha sempre preteso un prezzo spesso esoso in cambio, e tuttavia Kamala Harris ne avrà i vantaggi che forse una sua gestione non avrebbe meritato.

E così, come il resto del voto anche quello degli ebrei americani è un mistero. La Harris si è molto buttata a sinistra puntando sui giovani e le donne; nei suoi ultimi discorsi in Pennsylvania, stato decisivo, ogni volta che parla promette di fermare la guerra e lamenta la “insopportabile” perdita di civili a Gaza; però, aggiunge che si batterà con tutti i mezzi per riportare a casa i rapiti. La par condicio è la sua linea: aggiunge anche che il 7 di ottobre è stato un crimine imperdonabile, però subito avverte che la pace consiste nel creare uno Stato palestinese, concetto che esprime mitigandolo con la sofferenza palestinese, censurando che si tratterebbe di affidarlo a forze terroriste o amiche dei terroristi. Questo, unito al fatto che non si presentò al Congresso il 24 luglio quando Netanyahu vi prese solennemente la parola, e che ha considerato “real” ben due volte la questione che un elettore ha posto a un suo comizio, ovvero se Israele sia uno Stato genocida, non fa di lei una candidata affidabile per Israele. Non è ideale per chi ci tiene a Israele e per gli ebrei che vedono che la grande ondata di antisemitismo che rende amara la loro vita è causata dai movimenti proPal “from the river to the sea” che propagandano su Israele stupidaggini senza vergogna, cioè che si tratti di un Paese spietato e guerrafondaio. Harris non l’ha mai denunciato. Circa l’80 per cento degli ebrei americani votavano a sinistra, ora la percentuale si è ristretta, ma non è chiaro di quanto.

Trump ha alzato la voce: siete pazzi, è la fine d’Israele, e se perdo la colpa è vostra. Trump ha anche avuto con Netanyahu un momento di rottura quando Bibi ha porto le congratulazioni a Biden nel momento delle elezioni, è ombroso e caratteriale, ha tenuto un discorso ambiguo sulla fine della guerra cercando anche il voto musulmano: pure è il presidente che ha con coraggio portato la sua ambasciata a Gerusalemme, ha riconosciuto la sovranità sul Golan, ha smascherato l’UNRWA, l’ONU, l’Autorità Palestinese, e ha messo al bando gli inutili accordi nucleari con l’Iran, tagliando i fondi a tutti. Ha creato gli accordi Abramo e oggi dunque rassicurerebbe i Paesi sunniti che temono l’Iran sulla possibilità effettiva di una politica americana coraggiosa, di uno spazio libero dalla minaccia iraniana, e quindi di una pace possibile finalmente, resa possibile dall’azione militare che Israele sta portando a termine. L’Iran intanto, mentre minaccia l’attacco a Israele per spaventare gli elettori, informa che tiene apertamente per Kamala. Se questo le faccia piacere, non si sa, ma Abdulaziz Al Sager del Centro di Ricerca del Golfo dice: “Trump imporrà pesanti sanzioni all’Iran o consentirà a Israele di condurre azioni mirate sui siti nucleari”.

 Ecco il punto: Trump ha già detto che Israele ha come vero obiettivo la cessazione della minaccia atomica. Dunque, se l’Iran attaccherà Israele, Netanyahu che fino a ora ha mostrato una sua certa equidistanza dai candidati proprio osservando la regola di Biden durante la risposta all’Iran di non colpirne le strutture atomiche e energetiche, stavolta potrebbe rispondere subito gestendo una doppia possibilità: quella che anche una nuova gestione Harris, per quanto pacifista, accetterebbe e aiuterebbe necessariamente se l’Iran attacca con i missili balistici, e quella che Trump se eletto approverebbe perché prepara il terreno a una gestione solida del futuro mediorientale. Di fatto pulirebbe il terreno per ambedue i candidati, e la Harris, che sull’Iran ha sempre detto che è pericoloso, mentre arrivano dall’ America i nuovi aerei da combattimento, non avrebbe ragione di dispiacersene. Israele guarda al voto mentre i missili piovono e i soldati vengono uccisi sia a nord che a sud, ma ha molto indebolito il nemico e certo Netanyahu, come sempre i leader democratici cerca la strada per concludere una guerra vittoriosa: in realtà Trump fornisce maggiore sicurezza perché, con tutti suoi difetti, è convinto che Israele sia il bastione della civiltà democratica, dell’economia della medicina, dell’agricoltura e degli USA nel mondo arabo;  la Harris ha ereditato nei consiglieri,  nella impostazione ideologica, l’ambizione internazionalista di Obama. Che non ha portato fortuna né ai Paesi Arabi, né a Israele, né agli Stati Uniti, e nemmeno all’Europa.     

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