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Cosa farebbe Matt Baldacci? Ritorna la mentalità del collaborazionista Nella foto, una parata del German American Bund a New York, sulla East 86th Street tra la First e la Second Avenue, il 30 ottobre 1937. Oggi, negli Stati Uniti, vengono rimossi gli annunci dei libri che contengono la parola 'Israele' nel titolo Come molti ebrei della mia generazione, nati in un periodo in cui l'antisemitismo era ampiamente rappresentato come un fenomeno storico e qualsiasi manifestazione era vista come una deplorevole aberrazione, ogni tanto mi sono chiesto come i non ebrei presenti nel mio entourage si sarebbero comportati durante la Shoah. Avrebbero resistito ai nazisti, si sarebbero rassegnati, o addirittura avrebbero dato il proprio sostegno? Avrebbero espresso disgusto per la propaganda nazista o annuito diligentemente in segno di assenso? Avrebbero protetto me e la mia famiglia dalla deportazione o ci avrebbero traditi? Quelli erano, riflettevo, sforzi di congetture mentali che, per fortuna, non avrei mai dovuto provare nel mondo reale. Ma nel 2024, un anno dopo il bestiale pogrom scatenato dai terroristi di Hamas nel sud di Israele, quelle stesse domande fanno parte saldamente del mondo reale. E il mio sospetto è che molti, anzi la maggior parte, dei non ebrei non riuscirebbero a superare questi test di coraggio morale e fisico. All'inizio di questo mese, Melanie Notkin, autrice e consulente di comunicazione, ha avuto la lungimiranza di registrare una conversazione che ha avuto con Matt Baldacci, l'editore di Shelf Awareness , un blog specializzato nel settore delle librerie e dell'editoria che raggiunge più di 600.000 lettori alla settimana. Notkin aveva contribuito a promuovere “Israel Alone”, l'ultimo libro del filosofo francese Bernard-Henri Lévy, che ho recentemente recensito per questa rubrica, e ha debitamente acquistato un annuncio nella newsletter di Baldacci per $ 2.300. Ma poi Baldacci le ha inviato un'e-mail informandola che stava annullando l'annuncio, e allora Notkin ha organizzato una telefonata con lui per saperne di più. La loro conversazione è stata infinitamente affascinante e incredibilmente inquietante. Mentre raccontava a Notkin che l'annuncio era stato ritirato perché il libro conteneva la parola “Israele” nel titolo, innescando potenzialmente nel personale della libreria o nei clienti ciò che lui avrebbe definito una reazione “pro-palestinese”, ma che noi chiamiamo propriamente “simpatie pro-Hamas”, Baldacci ha attraversato tutto lo spettro dei toni vocali con disinvoltura, emettendo suoni di volta in volta amichevoli, poi viscidi, poi impazienti, poi irritati. A un certo punto, si è persino concesso un po' di “mansplaining” , dicendo a Notkin “che in realtà non è proprio vero o rilevante” quando lei ha notato che il CEO della sua azienda è ebreo. “Ascolta, Melanie, Melanie, ci sentiamo”, ha interrotto, determinato a porre fine alla conversazione il più rapidamente possibile. “Rispetto tutto ciò che stai dicendo. E come dici tu, penso che sia tutto ciò che c'è da dire.” Non conosco Melanie Notkin, ma ho ammirato la sua dignità nell'ascoltare attentamente Baldacci e nel respingere con eloquenza i suoi argomenti stucchevoli e disonesti. Non conosco neppure Baldacci, almeno non personalmente, ma conosco molto bene i tipi come lui. Probabilmente è vero che la maggior parte di coloro che collaborarono con i nazisti in Germania e occuparono l'Europa non lo fecero principalmente per ragioni ideologiche, ma perché la resistenza avrebbe reso la loro vita quotidiana molto più dura. Mi è sempre stato insegnato a non giudicare queste persone per non aver fatto la cosa giusta, perché loro temevano la prigione o la morte, dopotutto. E nel periodo postbellico, c'era una discreta conferma tra le popolazioni occupate che questo era stato il caso e che la storia era stata più gentile con loro di quanto forse fosse giustificabile; nei Paesi Bassi, ad esempio, la gente scherzava dicendo che “la maggior parte degli olandesi era nella resistenza, solo che vi avevano aderito dopo la guerra.” Questa spiegazione però non funziona per una persona come Baldacci, che mostra i tratti rivelatori di un collaborazionista senza avere lo spettro incombente su di lui, di uno Stato totalitario che gestisce campi di concentramento. Baldacci è un codardo: uno che, quando si trova di fronte a un'ingiustizia o ad un’assoluta ipocrisia, la razionalizza e ne minimizza gli aspetti peggiori. E’ uno a cui non piace crearsi dei problemi. In altre parole, è il candidato perfetto per essere un collaborazionista. E quindi siamo costretti a chiederci: se l'America fosse improvvisamente nella morsa del totalitarismo, se avessimo un governo che radunasse gli ebrei nel tentativo di fermare la cospirazione ebraica, se avessimo un governo che criminalizzasse la parola “Israele”, una parola che è sempre nella coscienza degli ebrei e nelle loro aspirazioni e preghiere, cosa farebbe Baldacci? Io conosco la risposta e mi aspetto che la conoscano anche i lettori. Sono i Matt Baldacci di questo mondo, donne e uomini che sono seguaci e non leader, che acconsentono all'agitazione antisemita senza sostenerla esplicitamente, che restano in silenzio quando dovrebbero parlare, che hanno permesso l'attuale ondata di antisemitismo eliminazionista che attanaglia il nostro Paese e gran parte del mondo occidentale. Il loro penoso silenzio e la paura patetica di far arrabbiare la folla, sono esattamente ciò che dà potere ai teppisti che sparano agli ebrei mentre vanno alla sinagoga di Chicago o in una scuola ebraica di Toronto, che si riuniscono fuori da una conferenza di Londra dove il capo arabo del Partito Comunista antisionista di Israele sta parlando per insultare verbalmente gli ebrei attivisti per la pace presenti, che promuovono petizioni che cercano di bandire gli ebrei dal mondo della letteratura, dell'arte e della musica, campi di attività che diventerebbero indelebilmente più poveri senza il nostro contributo! Sono i Matt Baldacci che hanno costretto gli ebrei, me compreso, a chiedersi se siamo cresciuti in una sorta di illusione, data la routine normale con cui storicamente abbiamo interagito con amici e colleghi non ebrei. Perché se queste persone non riescono a difendere uno scrittore ebreo come Lévy in una democrazia in cui la libertà di parola è parte integrante del nostro ethos nazionale, come dovremmo aspettarci che si comporterebbero se la posta in gioco e i costi fossero molto più gravi? Se la loro paura della disapprovazione dei media pro-Hamas e del coro di strada è così grande ora, quanto sarebbe maggiore se questo coro esercitasse un controllo politico diretto sulla nostra repubblica? Spero che non dovremo mai scoprirlo. Ben Cohen, scrive su Jewish News Syndacate |
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