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Israele attende con ansia gli esiti delle elezioni presidenziali americane Kamala Harris e Donald Trump. Chi vincerà? Israele attende col fiato sospeso. Trump lo conosciamo bene e abbiamo visto che nei suoi quattro anni di amministrazione è stato un amico di Israele. La Harris è invece... tocchiamo ferro. Il suo partito è comunque filo-palestinese. Netanyahu attende con una certa apprensione gli esiti delle elezioni presidenziali americane. Il fatto che i due candidati, Donald Trump e Kamala Harris, siano testa a testa nei sondaggi non è di buon auspicio per Israele. Le ragioni sono tutte legate alle posizioni di entrambi sui futuri rapporti degli Stati Uniti con lo Stato ebraico. Mentre l’atteggiamento politico di Trump è ormai noto in virtù dei suoi comportamenti verso Israele negli anni del suo mandato presidenziale, per la Harris tutto è in sospeso. Benché quest’ultima abbia talvolta affermato la sua amicizia per Israele, sta di fatto che Barack Obama è sempre più presente nelle manifestazioni elettorali della candidata democratica, che sa bene che il sostegno pubblico di Obama alla sua candidatura è sempre più necessario per la vittoria il 5 di novembre. Durante gli anni delle sue presidenze, Obama ha avuto costantemente atteggiamenti negativi nei confronti di Israele, considerato, di fatto, il soggetto politico che nell’area medio-orientale, costituiva l’elemento squilibrante in un contesto tra i più complessi del sistema politico internazionale. Non così per Donald Trump. Il momento di grande significato politico fu il riconoscimento, da parte di Trump, di Gerusalemme quale capitale unica e indivisibile di Israele. Ma a questo si deve aggiungere il sostegno militare americano mai negato allo Stato ebraico. Trump annullò senza indugi il trattato sugli armamenti nucleari firmato da Obama con Teheran, ben sapendo che si trattava di un trattato fasullo, perché segretamente il regime degli ayatollah avrebbe continuato a sviluppare l’arricchimento dell’uranio, non essendo soggetto ad alcun controllo nucleare veramente efficace. Infatti, come è noto, Teheran faceva entrare i controllori all’interno dei siti nucleari, ma non nei punti nevralgici, dove si elaborava la fase finale dell’arricchimento dell’uranio, avanzando il pretesto che si trattasse di segreti di Stato. Era tutta una farsa e per questo motivo Trump annullò il trattato unilateralmente. È probabile che la Harris si comporterà né più né meno come si comportò Obama nei confronti di Israele, con grande soddisfazione dell’Iran e, alle spalle di Teheran, di Russia e Cina. Tale comportamento, infatti, ebbe una grande importanza per il regime degli ayatollah che, grazie anche al trattato tra Stati Uniti e Iran – un trattato di relativo ammorbidimento delle relazioni tra i due Paesi – ebbe la possibilità di usufruire, in cambio del petrolio venduto a buon prezzo a Russia e Cina, di ricevere dalle due potenze amiche grandi quantità di armi in previsione dello scontro finale con Israele. Insomma, le presidenze di Obama furono una manna dal cielo per il regime iraniano e un motivo di grande preoccupazione per Israele. È per questi motivi, per questi antefatti dei tempi di Obama, che Netanyahu e il suo governo temono che una vittoria di Harris possa essere la riproposizione degli atteggiamenti di Obama nei confronti di Israele. Del resto, l’impegno attuale di Gerusalemme nei confronti di Hamas e di Hezbollah e verso l’Iran, che sostiene politicamente e militarmente i due gruppi terroristici, in una guerra di immenso impegno per cancellare il nemico che lo assedia a nord e a sud potrebbe avere un seguito e un risultato positivo soltanto se Trump riuscisse a spuntarla sulla Harris. In questo caso, l’Iran e i suoi servi si troverebbero in grande difficoltà e le stesse Russia e Cina si guarderebbero dal sostenere apertamente l’Iran terrorista, con gli Stati Uniti di Trump dalla parte di Israele. Il timore di un conflitto generale indurrebbe a non interferire e a lasciare che lo Stato ebraico continui nella sua caccia ai terroristi e a rispondere adeguatamente alle provocazioni del regime degli ayatollah. E, dunque, le prossime elezioni presidenziali americane rivestono un’importanza centrale per Israele. Questi appuntamenti elettorali per la Casa Bianca sono sempre stati un momento politico fondamentale per lo Stato ebraico, ma oggi, forse, ancor più del passato. Israele combatte una guerra non di pura difesa, come negli anni della sua difficile esistenza, ma di offesa. Gerusalemme vuole cancellare definitivamente il pericolo terroristico che lo circonda, ma, nello stesso tempo, vuole pesantemente ridimensionare le velleità di un Paese terrorista che rappresenta un fattore di gravissima instabilità nel Medio Oriente. Con Trump alla Casa Bianca, le cose cambierebbero a favore di Israele.
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