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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
00.06.2002 2002-06-00Plauso a Guido Olimpio
IO, KAMIKAZE MANCATA: HO PENSATO A CHI AVREI UCCISO

Testata: Corriere della Sera
Data: 00 giugno 2002
Pagina: 14
Autore: Guido Olimpio
Titolo: «IO, KAMIKAZE MANCATA: HO PENSATO A CHI AVREI UCCISO»
DAL NOSTRO INVIATO
KISHON (Haifa) - Touraya Hamour poteva farsi saltare vicino al bar dove vai di solito o al Blockbuster che serve la zona centrale di Gerusalemme. Oppure a una fermata del bus. Voleva morire da kamikaze «per trovare pace» ai suoi problemi personali, senza pensare a quelli che avrebbe creato agli altri. Poi ha avuto un ripensamento e si è rifiutata di portare avanti la missione suicida. I soldati israeliani l’hanno catturata in casa dello zio a Tulkarem il 20 maggio, lo stesso giorno dell’attacco. Adesso siede su un divanetto nella prigione di Kishon.
Velata, sandali ai piedi, jeans neri alla moda. Tortura i fazzolettini di carta che nasconde sotto la gamba. Nega di «odiare gli ebrei». Non puoi pensare che questa ragazza di 25 anni, che ne dimostra meno, possa regalarti una morte atroce. Eppure è così. «Pensavo che suicidandomi in mezzo alla folla avrei raggiunto la pace con me stessa come accade a tutti i kamikaze», dice rifiutandosi di aggiungere particolari. Voci sostengono che dovesse «lavare l’onore della famiglia» con un gesto coraggioso. Lei invece insiste sui risvolti personali rivelando che aveva cercato di uccidersi almeno quattro volte.
Racconta di una vita normale. Nel suo villaggio di Jaba faceva la sarta e la fioraia. Si è fidanzata per circa due settimane. «Poi è finito tutto». Una storia chiusasi quattro mesi fa. Ed è proprio in quel periodo che Touraya comincia a pensare all’azione kamikaze. «L’idea mi è venuta dal gesto di Wafa Idriss (la prima palestinese kamikaze, ndr), però questo non significa che sia stata un esempio. L’avrei fatto comunque». La giovane nega di essersi mai interessata di politica - «mio padre ce lo ha sempre impedito» - e afferma di essere solo religiosa, «senza eccessi».
Sapendo che le fazioni islamiche - Hamas e Jihad - non impiegano le donne, si è rivolta alle Brigate Al Aqsa del Fatah. «Attraverso una persona di Jenin ho contattato un gruppo operativo. Ma mi hanno detto che non c’erano soldi e le bombe a disposizione erano finite». Due membri della cellula l’hanno comunque «esaminata» per vedere se era realmente pronta, se fosse malata e per scoprire il vero motivo del suo gesto. «Uno di loro sapeva dei miei guai, tuttavia l’ho convinto».
La giovane era però preoccupata di quello che sarebbe accaduto ai suoi e ha chiesto garanzie. I miliziani l’hanno rassicurata promettendo che la famiglia avrebbe ricevuto 25 mila dollari. «Ma non è stata questa la molla. Anzi, ho chiesto che il denaro fosse dato agli orfani». Il responsabile della cellula insiste per fotografarla e riprenderla in un video. L’aspirante kamikaze si rifiuta sostenendo che il testamento «è tra lei e Dio». Martedì 14 maggio il piano entra nella fase esecutiva. Obiettivo: Gerusalemme. «Parlo di religione e politica con gli arruolatori. Continuano a dirmi di "stare calma", esaltano la missione». Tre giorni dopo raggiunge in taxi Nablus, dove l’aspettano quattro complici per l’addestramento. Semplice e rapido. Qurantacinque minuti venerdì e altrettanti sabato pomeriggio. «Provo una cintura esplosiva composta da 16 tasche contenenti altrettanti tubi. Attorno manciate di chiodi.
L’interruttore è fissato a un piccolo circuito elettrico», spiega Touraya mimando con le mani la vestizione. Poi ride, come se fosse divertita dalla sua descrizione. E aggiunge: «La cintura era troppo grande e così decidono di nascondere l’ordigno in una sacca». Come ti sentivi in quel momento?, chiediamo: «No problem, tranquilla». Altra risatina. Avevi paura del dolore? «Pensavo alla morte, mi chiedevo se avrei sofferto. Temevo che nell’esplosione le mie parti intime sarebbe rimaste esposte».
Con l’avvicinarsi del momento della verità Touraya ha i primi dubbi. Non vuole più farlo. «Per tre motivi. E’ cambiata la mia situazione personale. Penso alla gente che potrò uccidere. E quelli che mi mandano a morire non badano alla mia sorte. A loro interessa solo l’obiettivo». Si stupisce che gli estremisti di Al Aqsa le abbiano dato un ordine: «Se stanno per catturarti, fatti saltare. Anche se attorno a te non c’è nessuno». La ragazza scoppia in un pianto dirotto, si nasconde il volto tra le mani, se la prende con i miliziani. E’ un attimo. Ride di nuovo.


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