“Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera.” Sono milioni in tutto il mondo a scandire questo slogan. Se la maggior parte di loro ha ben compreso che ciò significherebbe la fine dello Stato ebraico, pochissimi si rendono conto che questa Palestina libera sarebbe in realtà un califfato islamico governato dalla legge della Sharia. Siamo sicuri che questo sia ciò a cui aspirano gli arabi israeliani? La domanda merita di essere posta.
La dichiarazione di indipendenza proclamata da Ben-Gurion il 15 maggio 1948 afferma che: “Lo Stato di Israele… assicurerà la più completa uguaglianza sociale e politica a tutti i suoi abitanti, senza distinzione di religione, razza o sesso; chiediamo tuttavia agli abitanti arabi dello Stato di Israele di preservare le vie della pace e di svolgere il proprio ruolo nello sviluppo dello Stato, sulla base di una cittadinanza piena ed egualitaria e di un’equa rappresentanza in tutti gli organismi e istituzioni – provvisori e permanenti dello Stato.” Israele garantisce così il diritto di voto a tutti i cittadini, sia ebrei sia arabi. A tutti i cittadini – ma anche a tutte le cittadine. Le donne arabe ne hanno quindi beneficiato ben prima delle loro sorelle nei Paesi vicini: Libano, Siria, Egitto, Tunisia, Marocco, per non parlare dell’Iran. Di fatto, gli arabi israeliani hanno votato sia per l’assemblea costituente che per le elezioni della prima Knesset e per tutte le elezioni successive. Oggi nel parlamento israeliano siedono dieci deputati arabi. Questa percentuale è inferiore alla loro quota relativa nella popolazione, perché la molteplicità delle liste dovuta al clientelismo fa sì che la maggior parte non raggiunga la soglia di ammissibilità. Alcuni si compiacciono di presentare lo Stato ebraico come soggetto a leggi religiose arcaiche. Tuttavia, le donne hanno gli stessi diritti degli uomini. In effetti, le donne arabe godono di una libertà senza pari. Il matrimonio civile non esiste, come non esiste in tutti i Paesi musulmani. Ma a differenza di questi Paesi, è relativamente facile aggirare questo problema, perché la legge in Israele riconosce validamente le unioni contratte all'estero, anche tra persone che non appartengono alla stessa religione e tra coppie omosessuali. Tali unioni vengono quindi trascritte nei registri di stato civile e conferiscono ai coniugi gli stessi diritti di quelli delle coppie sposate in Israele. Nell’ambito di condizioni ben definite, la procreazione medicalmente assistita è gratuita in Israele e l’accesso alle madri surrogate è aperto a tutti, comprese le coppie omosessuali, sempre all’interno di un quadro ben regolamentato. Per la cronaca, l’omosessualità è punibile con la morte nella maggior parte dei Paesi islamici. Ovviamente non esiste segregazione in Israele, e i cittadini ebrei e arabi si trovano fianco a fianco nei trasporti pubblici, nelle università, nei ministeri, nell’intero sistema giudiziario.
Un musulmano, Khaled Kabub, siede nella Corte Suprema e nel sistema sanitario il 12% del personale medico negli ospedali israeliani è arabo, e questa percentuale sale al 35% per i farmacisti. Nonostante alcune tensioni e le loro naturali aspirazioni, gli arabi israeliani nel loro insieme sarebbero pronti ad abbandonare queste libertà per sottomettersi a una dittatura islamista?