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Libero Rassegna Stampa
16.10.2024 Generale Vincenzo Santo: Netanyahu ha fatto ciò che doveva per salvare il suo paese
Intervista di Maurizio Stefanini

Testata: Libero
Data: 16 ottobre 2024
Pagina: 9
Autore: Vincenzo Santo
Titolo: «Lo dico da mesi: i nostri vanno riportati a casa»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 16/10/2024, a pag. 9, con il titolo "Lo dico da mesi: i nostri vanno riportati a casa" l'intervista di Maurizio Stefanini al generale Vincenzo Santo.

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Maurizio Stefanini

Il generale Vincenzo Santo

Generale di Corpo d’Armata della Riserva e ufficiale dei bersaglieri, Vincenzo Santo ha comandato la Divisione Acqui e la Brigata Aosta; oltre ad incarichi Nato, ha avuto esperienza anche del Libano, oltre che di Balcani e Afghanistan. Autore di un libro sulla guerra tra Russia e Ucraina e di uno sulla questione palestinese, come editorialista della rivista on line www.reportdifesa.it ha fatto subito un commento sul caso Unifil che gli abbiamo chiesto di sviluppare.
«Mi sono reso conto che in molti stavano citando la risoluzione 1701 senza averla evidentemente neanche letta, o per lo meno non con attenzione. Ho quindi ritenuto utile riesaminarla. Le risoluzioni delle Nazioni Unite hanno una caratteristica importante, che è quella di cercare di bilanciare parole e intenti. È dunque ad esempio importante fare riferimento al testo in inglese, perché ad esempio, come ho ricordato nel mio libro sulla Palestina, c’è una famosa risoluzione che chiede il ritiro delle truppe israeliane in cui il testo in inglese specifica “da territori occupati” o quello in francese “dai territori occupati”».

Alcuni, o tutti...
«È fondamentale. Sono testi scritti da diplomatici. Per questo dico che non possiamo dare addosso ai militari. Sembra strano il fatto che un osservatore non veda un tunnel, ma il problema è ovviamente di carattere politico, perché il militare fa quello che la politica gli consente di fare. Comunque, leggendo i vari passaggi, mi sembra che il mandato potrebbe postulare non dico una libertà d'azione, ma una possibilità di intervenire abbastanza importante. Nella risoluzione però non si parla mai di Hezbollah ma di Esercito Libanese. L’Esercito Libanese è stato mai messo nelle condizioni di poter fare ciò che avrebbe dovuto fare? Probabilmente non molto. Tra l’altro, parliamo di uno Stato che è di fatto fallito. Dispiace dirlo, ma è così. Ha un esercito che nel 2023 ha ricevuto 30 milioni di dollari dal Fondo del Qatar per lo sviluppo (QFFD) e chissà se oggi ha i soldi per il carburante e a cui i francesi promettono mezzi cingolati.
Accanto invece vediamo la struttura militare di Hezbollah. Irregolare quanto vogliamo, certo non è in grado di sconfiggere un esercito come quello di Israele in campo convenzionale, però in campo non convenzionale è in grado di sostenere uno scontro ibrido, avvantaggiata dal fatto che lavora in un clima di instabilità e soprattutto anche per il sostanziale supporto di parte della popolazione, per la funzione sociale che assolve. Ma che gode dell’attenzione di un amico molto forte che è l'Iran».

Insomma, l’Unifil non può fare niente.
«Fin quando il regime di Teheran persiste ed esiste, scordiamoci di risolvere il problema palestinese e di avere stabilità in quel quadrante. Le due domande fondamentali sono: “i palestinesi hanno il diritto di avere un proprio Stato?” Io dico di sì. L’altra domanda è: “Israele ha il diritto di vivere in sicurezza?” anche questa merita un Sì. Ora, la comunità internazionale deve mettere in sistema questi due “diritti”. E fare i conti con l’Iran. È l’Iran che controlla il Libano. Il Libano è un Paese con una disoccupazione del 30%, e 58% tra i giovani.
E c’è un 20-25% di rifugiati. Tutta gente che vive malissimo, con la povertà che galoppa. Questo per Hezbollah è un bacino di reclutamento naturale. I confini sono poi porosi. Il problema fondamentale è l’Iran dopo Khomeini. Se noi leviamo al regime di Teheran il problema palestinese, che cosa rimane in mano a questi signori per poter sperare di esercitare una forte influenza nel quadrante e guadagnarsi la leadership del mondo musulmano a scapito degli arabi che contano?».

Quindi cosa bisognerebbe fare?
«Aumentiamo le regole d'ingaggio?
E perché non l'abbiamo fatto prima?
Ma soprattutto, adesso, per fare che cosa? Per arrivare a sparare sugli israeliani? Ormai gli israeliani sono là. E poi, se nessuno finora ha garantito la sicurezza a Israele, con Hezbollah che addirittura in passato si è infiltrato anche per rapire ostaggi e uccidere qualche soldato, chi avrebbe dovuto garantirla? Nel mio piccolo circolo di amici io sono già due o tre mesi che sto dicendo che l’Unifil andrebbe ritirata, perché ho ritenuto già tre mesi fa che sarebbe stato inevitabile per Israele entrare. Questa è una guerra! La gente non l’ha probabilmente capito. Non è un'operazione di polizia come fatto in passato. L'8 ottobre del 2023 ha cambiato tutto. Netanyahu può essere simpatico o antipatico, ma qualunque governante io credo farebbe le stesse cose. Lui ha dichiarato lo stato di guerra, e Israele non lo faceva dalla guerra dello Yom Kippur. Siamo in una guerra, e quindi può accadere ovviamente di tutto, e sta accadendo. Il compito principale di un comandante è salvaguardare la vita dei propri soldati. Se viene individuato qualcosa che sta per esempio in prossimità di una base delle Nazioni Unite, di Unifil, e si interviene con un mortaio per vedere di eliminare quella minaccia, è facile che la bomba di mortaio possa andare nel posto sbagliato e cadere, per esempio, nel piazzale di una base dell’Onu. Israele sta combattendo per la propria sopravvivenza, questo lo dobbiamo tenere a mente». Quindi l’Onu è inutile? «No. L'Unifil può fallire, per il discorso che abbiamo fatto prima in termini di limitazioni politiche. Ma ciò non significa che l'Onu come organizzazione abbia fallito. Questa è una narrativa che a mio giudizio parte da un presupposto sbagliato. L'Onu non è il governo del mondo: ne costituisce però la migliore approssimazione possibile. Certo, penso che uno come Guterres, così come molti altri politici, dovrebbe essere più cauto, quando parla e soprattutto quando si allude a possibili “crimini di guerra” in continuazione».

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