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israele.net Rassegna Stampa
10.10.2024 Belle le parole del ministro giordano, ma c’è il trucco
Analisi di Ben-Dror Yemini

Testata: israele.net
Data: 10 ottobre 2024
Pagina: 1
Autore: Ben-Dror Yemini
Titolo: «Belle le parole del ministro giordano, ma c’è il trucco»

Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - l'editoriale di Ben-Dror Yemini, dal titolo "Belle le parole del ministro giordano, ma c’è il trucco".

Ben-Dror Yemini
Ayman Safadi, ministro degli Esteri della Giordania, ha affermato che la Conferenza arabo-musulmana vuole garantire la sicurezza di Israele. Benissimo. Ma... si riferisce all'iniziativa di pace araba che include anche il "diritto al ritorno" dei palestinesi, che di fatto porrebbe fine allo Stato ebraico.

Subito dopo il discorso di Netanyahu all’Onu, il ministro degli esteri giordano Ayman Safadi ha rilasciato una dichiarazione diventata virale: “Noi qui, rappresentanti di 57 paesi della Conferenza arabo-musulmana, dichiariamo con la presente che siamo tutti interessati a garantire la sicurezza dello stato di Israele nel contesto in cui Israele ponga fine all’occupazione e consenta la creazione di uno stato palestinese”.

Riferendosi alla persona di Netanyahu, Safadi ha aggiunto: “È lui che mette in pericolo Israele perché non è interessato alla soluzione a due stati. Tutti noi nel mondo arabo vogliamo una pace in cui Israele viva nella sicurezza e nella normalizzazione delle relazioni con tutti i paesi arabi”.

Sembra fantastico. Sicuramente molto meglio di quello che gridano i manifestanti ad Harvard e alla Columbia.

Ma c’è un problema.

Safadi fa riferimento all’Iniziativa di pace araba del 2002, adottata anche dall’Organizzazione per la Cooperazione Islamica, che comprende appunto 57 paesi.

Il problema è che c’è una differenza enorme tra l’originaria iniziativa saudita, che non venne adottata al vertice di Beirut, e l'”Iniziativa di pace araba” che è stata adottata sotto pressione dei paesi intransigenti.

L’iniziativa saudita non includeva il cosiddetto “diritto al ritorno” dei palestinesi (all’interno di Israele, anziché nel futuro stato palestinese ndr).

L’iniziativa di pace araba, per contro, include non solo la risoluzione 194, che nell’interpretazione araba significa “diritto al ritorno”, ma anche il rifiuto della concessione della cittadinanza ai palestinesi nei paesi arabi.

Non sono solo parole. E’ sulla base di questo concetto che i palestinesi hanno respinto il piano (per la creazione di uno stato palestinese ndr) presentato dal presidente degli Stati Uniti Bill Clinton nel dicembre 2000; hanno avanzato richieste esagerate facendo fallire i colloqui di Taba nel 2001; hanno respinto l’iniziativa (di nuovo, per la creazione di uno stato palestinese ndr) avanzata dal primo ministro israeliano Ehud Olmert nel 2008; hanno respinto le proposte di John Kerry e Barack Obama nel 2014.

Quindi le osservazioni di Safadi si possono accogliere con favore, a patto di porre una precisa domanda: intende due stati o due stati per due popoli?

Perché il significato della prima opzione è essenzialmente il diritto al ritorno, che negherebbe il diritto all’esistenza di uno stato ebraico.

La seconda opzione potrebbe essere invece l’inizio di una meravigliosa amicizia.

Qua e là, bisogna dirlo, ci sono state alcune coraggiose dichiarazioni arabe contro la piena realizzazione del cosiddetto diritto al ritorno (dei profughi palestinesi e tutti i loro discendenti all’interno di Israele anziché del futuro stato palestinese ndr).

Ma ogni volta che i palestinesi sono arrivati al dunque al tavolo delle trattative hanno sempre, ma proprio sempre, rifiutato qualsiasi proposta di pace.

Vogliono uno stato. E va bene. Ma vogliono che milioni di palestinesi, cioè la maggior parte dei palestinesi, si trasferiscano nel paese vicino: Israele. In altre parole, l’eliminazione di Israele.

Non è così che si promuove la pace. Così ci si oppone a una pace che sia basata sul diritto all’autodeterminazione di entrambi i popoli.

(Da: YnetNews, israele.net, 5.10.24)

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