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Libero Rassegna Stampa
17.09.2024 La sinistra silenzia sull’attentato a Trump
Editoriale di Daniele Capezzone

Testata: Libero
Data: 17 settembre 2024
Pagina: 1/13
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: «Sinistre strategie per silenziare i due attentati contro Donald»

Riprendiamo da LIBERO di oggi 17/09/2024, a pag. 1/13, con il titolo "Sinistre strategie per silenziare i due attentati contro Donald", il commento di Daniele Capezzone. 

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

Polizia sul luogo del fallito attentato a Trump, il secondo in due mesi. E' un fatto di una gravità inaudita, ma la stampa non gli dedica l'importanza che gli spetterebbe. Mentre dalla sinistra non una parola di condanna e sdegno. Ormai sono talmente faziosi che hanno sdoganato anche la violenza politica contro il loro nemico numero 1.

Ci avete fatto caso? Dall'altra sera e poi per tutta la giornata di ieri, non un solo esponente della sinistra italiana ha pronunciato una sillaba di condanna o di preoccupazione per la sorte di Donald Trump.
Immaginate cosa sarebbe successo - al contrario - se qualcuno avesse sfiorato Kamala Harris anche solo con il proverbiale fiore: avremmo assistito a ondate di sdegno, a mobilitazioni accorate, a lamentazioni sulla democrazia in pericolo. Ma per Donald Trump no: tutti muti.
E così adesso il nuovo gioco politico e mediatico (sottile, subliminale, fatto di sottintesi sapienti, di piccole allusioni, e naturalmente di lunghi silenzi) è quello di farci credere che sia tutto normale: due spiacevoli fatti di cronaca e non molto di più. Anzi ecco il messaggio che ci viene trasmesso - bisogna voltare pagina e tornare ai temi della campagna elettorale americana.
E invece no, non è affatto normale che, nel giro di due mesi, ci siano stati due tentativi di ammazzare lo stesso candidato alla presidenza degli Stati Uniti. E tantomeno è normale il fatto che Donald Trump, ormai trasformato in bersaglio vivente, debba tenere i suoi comizi all’aperto in un gabbione di vetro, dietro una protezione antiproiettile, in uno stato di “cattività” fisica che è prolungamento e metafora della condizione in cui i suoi avversari politici e mediatici lo hanno infilato da tem po.
Diciamolo: si tratta di una condizione da reietto, da lebbroso nei tempi oscuri in cui a quei poveri malati si applicavano rumorosi campanelli in modo che i sani fossero avvisati per tempo del loro passaggio.
Intendiamoci: Trump non è certo una mammoletta, e negli scontriper così dire - ci sguazza da sempre.
Ma ciò che è stato messo in campo contro di lui in negli ultimi anni fa letteralmente impressione. Prima si è scatenata nei suoi confronti una campagna di mostrificazione mediatica; poi è arrivata l’aggressione giudiziaria; infine, quando né l’una né l’altra sono state sufficienti per azzopparlo, i dem hanno provveduto a cambiare in corsa il loro candidato, travolgendo norme-statuti-tradizioni, rottamando un presidente in carica (nonché un vincitore delle loro primarie), e scegliendo una figura alternativa senza neanche uno straccio di competizione, di gara, di discussione pubblica.
Prima e dopo la scelta di Kamala Harris (nel frattempo trasfigurata sui media, e trasformata in santa laica, in madonna pellegrina), si sono collocati i due attentati contro Trump. Che certo non possono essere messi direttamente sul conto dei dem: ma- inutile girarci intorno - sono la naturale conseguenza di un’autentica caccia all’uomo. Lui stesso, in un’intervista di ieri a Fox News, ha constatato come l’attentatore abbia agito «sull’onda di un linguaggio altamente incen diario da parte dei democratici».
Dopo il primo attentato, tale è stata l’emozione e l’aura di carisma creatasi intorno alla vittima (al quasi martire, salvo per un pelo, come si ricorderà) che sono servite un paio di settimane per far sparire la notizia dai media. Stavolta pare bastare molto meno: incredibilmente, la notizia del secondo attentato è stata infatti data con un tratto di ordinarietà, come se si stesse parlando di un incidente stradale o di un brutto raffreddore.
Cose che possono capitare, insomma.
TAYLOR SWIFT E che possono capitare - si sottintende - a un tipaccio come Trump.
Ieri c’era da rimanere increduli nel leggere, in inglese e in italiano, al di là e al di qua dell’Atlantico, articoli che mettevano nello stesso mazzo le pallottole contro Trump e un suo tweet aggressivo contro Taylor Swift, come se si trattasse di entità omogenee, di colpi che si pareggiano e si annullano vicendevolmente.
Allo stesso tempo, con rivoltante ipocrisia, sono partiti i commenti in fotocopia sul tema della «delegittimazione reciproca» tra destra e sinistra.
Ah sì? Sarà pure reciproca questa delegittimazione: ma non sono reciproche le pistolettate e le fucilate, che vanno regolarmente in una sola direzione. Stesso discorso per i soliti articoli sulle armi negli Usa: come se il problema – in questo caso – fossero le armi in sé e non invece le armi puntate sempre e solo contro la stessa persona.
Non è mancata nemmeno una surreale aggressione da sinistra nei confronti di Elon Musk, “reo” di aver fatto notare come nessuno abbia attentato alla vita di Biden o della Harris: ma di tutta evidenza quello del capo di X non era certo un auspicio, bensì una amara constatazione sull’unidirezionalità della caccia contro Trump. E infine ci si è messo pure il procuratore di Palm Beach, forse vittima di un colpo di sole di fine estate, secondo cui sarebbe più facile incriminare l’attentatore con l’accusa di aver voluto abbattere un agente del Secret Service che non di aver mirato a Trump. Come se il tipo fosse andato lì armato fino ai denti per colpire un oscuro agente e non l’ex presidente in persona. E allora siamo arrivati al cuore della questione, perché ci sono almeno tre problemi giganteschi. Primo: al di là dei dettagli e del profilo dell’aspirante attentatore di domenica, si tratta di capire come mai questo signore sapesse che Trump si sarebbe trovato proprio lì a giocare a golf, visto che la circostanza non era stata annunciata. Secondo: come ha rilevato il Wall Street Journal, si tratta di chiarire se i due attentati abbiano o meno un qualche collegamento anche con una esplicita minaccia internazionale di cui Trump è stato oggetto, quella proveniente dal regime di Teheran. E infine, terzo: si tratta di far sapere agli americani se la protezione garantita dal Secret Service all’ex presidente è davvero adeguata e all’altezza della situazione. Se non fosse così, o se comunque una quota significativa di elettori statunitensi dovesse avere validi motivi per dubitarne, si sarebbe a un passo da un evento deflagrante: non l’affievolimento (quello purtroppo c’è già) ma il crollo della fiducia nei confronti degli apparati pubblici.

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