Putin va in Mongolia e non lo arrestano Cronaca di Mauro Zanon
Testata: Libero Data: 04 settembre 2024 Pagina: 14 Autore: Mauro Zanon Titolo: «Putin va in Mongolia e non lo arrestano, beffata la Corte dell'Aja»
Riprendiamo LIBERO di oggi, 04/09/2024, pag. 14, con il titolo "Putin va in Mongolia e non lo arrestano, beffata la Corte dell'Aja", la cronaca di Mauro Zanon
Mauro Zanon
Fanfara e tappeto rosso, altro che arresto. In occasione della sua prima visita in un Paese membro della Corte penale internazionale (Cpi) da quando nel marzo 2023 è stato emesso un mandato di cattura nei suoi confronti con l’accusa di aver deportato illegalmente bambini ucraini in Russia, il presidente russo, Vladimir Putin, è stato accolto in pompa magna in Mongolia. Il capo del Cremlino è atterrato lunedì sera a Ulan Bator, la capitale, ed è stato ricevuto in un clima di grande festa: non c’erano le manette ad aspettarlo, ma il suo omologo, Ukhnaagiin Khürelsükh, e una guardia d’onore di soldati mongoli.
Il portavoce del ministero degli Esteri ucraino, Heorhii Tykhyi, ha accusato la Mongolia di «permettere al criminale incriminato di sfuggire alla giustizia, condividendo così la responsabilità dei suoi crimini di guerra». Un portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), in una nota sulla visita di Putin in Mongolia, ha espresso l’indignazione dell’Unione Europea verso la Mongolia – Stato firmatario del Trattato di Roma che ha istituito la Cpi – per non aver «rispettato gli obblighi previsti dal trattato».
«Il presidente Putin è oggetto di un mandato di arresto da parte della Cpi per crimini internazionali, in particolare per i presunti reati di deportazione illegale e trasferimento illegale di bambini dai territori ucraini temporaneamente occupati nel contesto della sua guerra illegale di aggressione contro l’Ucraina», si legge nella nota.
Le autorità mongole, secondo lo statuto, avrebbero dovuto arrestarlo appena sceso dall’aereo, ma così non è stato nonostante le forti pressioni di diversi Paesi, a partire dall’Ucraina.
Mosca non ha mai temuto l’ipotesi di un arresto, alla luce dei rapporti strettissimi che legano i due Stati, in particolare dal punto di vista energetico. Organizzata ufficialmente per celebrare gli 85 anni dalla vittoria ottenuta dagli eserciti mongolo e sovietico contro le forze giapponesi a Khalkhin Gol nel 1939, la visita, per Putin, è stata un’occasione per approfondire la cooperazione bilaterale in materia di energia, commercio e sicurezza.
Già alla vigilia, il titolare del Cremlino aveva spiegato al quotidiano mongolo Onoodor che lo sviluppo di un partenariato globale con Ulan Bator è «una delle priorità della politica estera russa verso la regione eurasiatica», come si evince anche dalla preparazione dell’accordo provvisorio sulla zona di libero scambio tra la Mongolia e l’Unione economica eurasiatica (Uee). Putin ha inoltre menzionato una cooperazione triangolare che coinvolga anche la Cina come uno degli obiettivi per il futuro, «a condizione che sia vantaggiosa per tutti e tre i Paesi».
In questo senso, attraverso il territorio mongolo, dovrebbe passare il gasdotto Power of Siberia 2, un megaprogetto che ha lo scopo di convogliare gas russo verso la Cina e che Mosca ritiene essenziale. «Il nostro Paese ha fornito a lungo e in modo affidabile all’economia mongola le fonti fossili di cui ha bisogno.
Così, l’anno scorso, il 90% della benzina e del gasolio diretto al mercato mongolo veniva dalla Russia», ha dichiarato Putin. In aggiunta, Mosca punta alla realizzazione di progetti congiunti nel settore dell’uso pacifico di energia nucleare, ambizione confermata anche dal presidente della società nucleare statale russa Rosatom, secondo cui sono stati già approvati «gli aspetti tecnici relativi al progetto per la costruzione di una centrale nucleare di piccole dimensioni in Mongolia». L’infrastruttura dovrebbe sorgere vicino la città mongola di Harhorin.
Intanto, Israele, secondo fonti del ministero della Giustizia israeliano citate da Haaretz, si aspetta che la Corte penale internazionale (Cpi) annunci entro pochi giorni o settimane se emettere o meno mandati di arresto ai danni del primo ministro Benjamin Netanyahu, il ministro della Difesa Yoav Gallant e il capo di Hamas Yahya Sinwar. Le probabilità che la Cpi li emetta, secondo le stesse fonti, non sarebbero elevate. Ma anche nel caso in cui li emettesse, come dimostra la vicenda Putin-Mongolia, sarebbero difficilmente eseguiti.
Per inviare a Libero la propria opinione, telefonare: 02/99966200, oppure cliccare sulla e-mail sottostante