Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
18/6/02 Una corrispondenza interessante (e utile) rubrica di Paolo Mieli
Testata: Corriere della Sera Data: 18 giugno 2002 Pagina: 1 Autore: Paolo Mieli Titolo: «La contestazione ad Agnoletto nel ristorante ebraico»
Questa è la versione on line della rubrica di Paolo Mieli
Martedi' 18 Giugno 2002
La contestazione ad Agnoletto nel ristorante ebraico
Ho seguito sul Corriere della Sera lo scambio epistolare tra Gad Lerner e Fiamma Nirenstein in merito alla contestazione subìta da Agnoletto al ghetto di Roma. Lerner ha detto che tornerà lui stesso con Agnoletto a mangiare in quel ristorante ebraico per protesta contro l’intolleranza di quei suoi, fortunatamente pochi, correligionari. La Nirenstein mi è sembrata più comprensiva nei confronti dei motivi della protesta di quei ragazzi del Portico d’Ottavia. Entrambi comunque si sono augurati che atti del genere non abbiano a ripetersi. E allora mi domando come sia stato possibile che tali atti si siano verificati.
Loredana Pasquini
-------------------------------------------------------------------------------- Cara signora Pasquini, mi unisco a lei, a Fiamma Nirenstein e a Gad Lerner nella deplorazione per l’ostilità manifestata a Vittorio Agnoletto nel quartiere ebraico romano. E mi auguro come lei che atti del genere non abbiano a ripetersi. Per nessun motivo. Ma perché è accaduto? Forse - è la mia ipotesi - perché i rapporti tra sinistra ed ebrei sono giunti a un punto di svolta. Il fatto che la sinistra sia stata alleata agli ebrei nella lotta contro il nazifascismo non è più tale da indurre di per sé una parte delle comunità israelitiche a concedere sconti per quelli che considera atti, pur settoriali, di ostilità antiebraica. È giunto al pettine un nodo (quello intrecciato tra sinistra ed ebrei) che si era aggrovigliato per oltre un secolo. Le citerò, sommariamente, alcuni dei fili che sono finiti in quel nodo. Uno dei più vibranti libri antisemiti dell’Ottocento, «Gli ebrei, re dell’epoca» (1845) fu scritto da Alphonse de Toussenel, discepolo del socialista utopista Charles Fourier. Anch’egli, peraltro, avverso agli israeliti. Un altro padre del socialismo, Pierre-Joseph Proudhon, considerava gli ebrei un popolo da «sterminare». Mostrò incomprensione nei confronti degli ebrei persino l’ebreo Karl Marx: «Appena la società avrà abolito la natura empirica dell’ebreo, cioè l’usura e le sue precondizioni», scrisse, «essere ebreo sarà impossibile». Nella Francia di fine Ottocento, ai tempi del caso Dreyfus, la sinistra parigina, con l’eccezione dell’impegnato Jean Jaurès, non è unanime a fianco di Emile Zola che difende il capitano. Anzi. Trentadue dirigenti del partito socialista firmano un manifesto che sostiene il «dovere della neutralità» tra i «clan di questa guerra civile borghese». Anni dopo, il dirigente comunista tedesco Wilhelm Liebknecht dirà di non aver mai creduto all’innocenza di Dreyfus, intrinsecamente colpevole in quanto «figlio della borghesia sfruttatrice». Karl Kautsky nel 1914 inviterà gli ebrei, «attaccati al denaro per disposizione naturale», ad abbandonare la loro identità prima di aderire alla lotta rivoluzionaria. Nell’universo comunista nato dalla rivoluzione del 1917 le cose non andranno meglio. Tra il ’39 e il ’41, a seguito del patto tra Urss e Germania, i comunisti sovietici consegnano loro prigionieri ebrei ai nazisti tedeschi. Nel 1953, alla vigilia della morte di Stalin, in Unione Sovietica soffia un vento antisemita. Refoli del quale si erano avvertiti già dalla fine degli Anni Quaranta ai processi nelle nascenti democrazie popolari. E che torneranno impetuosi nella Polonia comunista a fine Anni Sessanta. Dopo la guerra dei sei giorni del 1967 l’intero mondo comunista si impegna in una campagna antisionista che spalanca le porte alla riproposizione di stereotipi della tradizione antiebraica. Stereotipi che sopravvivono al 1989, alla caduta del Muro di Berlino. Tant’è che li ritroviamo intatti alla conferenza (Onu) di Durban nel settembre 2001. David Meghnagi ha scritto sull’ Unità : «Mi chiedo come debba essere giudicata la timida reazione della stampa italiana di sinistra di fronte alla trasformazione della conferenza di Durban in un’orgia antisemita». Sì, un’orgia antisemita. Nel 2002 non c’è corteo di solidarietà con i palestinesi in cui non sfilino militanti travestiti da kamikaze; a sinistra, non c’è, quasi, articolo di giornale - o trasmissione televisiva - in cui non ricorra il parallelo tra Auschwitz e Jenin. Quei giovani del ghetto di Roma hanno ricordato tutte queste cose (e molte altre) per tradurle in una contestazione ad Agnoletto. Ripeto: hanno fatto male. Ma la sinistra dovrebbe rifletterci su.
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