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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
26.06.2002 27/6/02 Dolore palestinese? Cinismo israeliano!
Come sempre, dolore, umiliazione, ingiustizia da parte palestinese, cinismo, vigliaccheria, sadismo da parte israeliana

Testata: Corriere della Sera
Data: 26 giugno 2002
Pagina: 1
Autore: Guido Olimpio
Titolo: «La verità è che la nostra vita conta meno di quella delle pecore»
Come sempre, dolore, umiliazione, ingiustizia da parte palestinese, cinismo, vigliaccheria, sadismo da parte israeliana.

AL POSTO DI BLOCCO

«La verità è che la nostra vita conta meno di quella delle pecore»
di Guido Olimpio

DAL NOSTRO INVIATO
AL KHADER - Se dopo aver ascoltato le ragioni degli israeliani, il presidente Bush volesse rendersi conto di quello che pensano i palestinesi potrebbe farsi un giretto al posto di blocco di Al Khader. Siamo alle spalle di Betlemme ad appena 15 minuti d’auto dal centro di Gerusalemme. Può venire a dare solo un’occhiata. Un cumulo di terra a bloccare la strada, reticolati, una torretta e pattuglie di soldati. Il compito dei militari è di impedire che i palestinesi di Betlemme raggiungano i villaggi circostanti. Parliamo di donne, anziani e tanti bambini.

Certo: e perché mai dovremmo parlare dei terroristi? Sappiamo perfettamente che posti di blocco, perquisizioni, controlli e pattugliamenti riescono a sventare il 90% degli attentati, ma perché mai ne dovremmo parlare?

E’ quasi mezzogiorno, davanti allo sbarramento si affollano un centinaio di persone. C’è un giovane che porta su una cariola la lavatrice acquistata da una donna.

Mai sentito parlare di esplosivi nascosti in oggetti dall'apparenza innocua?

C’è una nonna con i nipotini. C’è una vecchia con una cassetta di verdura. I soldati non sentono ragioni. «Via di qua», urlano.

Urlano?

Il gruppo ripiega e in modo vigliacco un soldato tira delle granate assordanti tra le gambe delle donne, spara qualche colpo di fucile.

Dobbiamo proprio proprio crederci? Come all'immane massacro di Jenin, alle fosse comuni, ai "militanti" asserragliati alla Natività che rischiavano la morte per fame?

Un gesto da leone. «Scrivilo, che è per fermare i kamikaze», spiega il militare. Qualcuno più audace si allontana e taglia attraverso i prati. Li seguiamo. Chiediamo se hanno ascoltato le parole di Bush. Mohammed, disoccupato, allarga le braccia: «Cosa significano le sue promesse, se non posso andare a casa mia». Dietro di lui cammina Saed, insegnante, è sarcastico: «Interessante. Sembrava un discorso in inglese tradotto dall’ebraico». La pensa allo stesso modo Daud Al Mughrabi, 50 anni: «Bush ha preso la tessera del Likud, il partito di Sharon. E non è lui a decidere il nostro leader». Spuntano due donne, con il caratteristico costume palestinese. Un velo sul capo e una veste ricamata. Aisha, 48 anni, fatica a camminare. Non parla inglese ma sa spiegarsi a gesti. Pronuncia «Bush» come fosse una parolaccia e fa una croce con il piede sull’asfalto.

I musulmani fanno la croce?

Poi arranca come può mentre gli altri si mettono a correre. I soldati si sono accorti della loro presenza. Sparano di nuovo.

Ma c'è ancora qualche palestinese vivo, con questi soldati che non fanno altro che sparare dalla mattina alla sera?

Ci spostiamo più avanti, c’è un altro muraglione di terra che taglia una stradina e dall’altra parte decine di taxi in attesa. I militari non hanno voglia di arrivare sino a qui. Khaled, 36 anni, e la moglie Rania, 30, portano delle borse di plastica piene di viveri. Sono andati dal medico, ora cercano di tornare a casa. «Cosa penso? Che noi non rappresentiamo nulla. Una pecora vale più di noi due messi insieme», afferma la ragazza.

Per i loro capi e per i fratelli arabi sicuramente, ma Olimpio si guarda bene dal rilevarlo.

«Vedi questo ostacolo. Gli israeliani sostengono che serve per fermare i kamikaze, ma è una bugia. Uno che decide di farsi saltare a Tel Aviv non si ferma certo davanti allo sbarramento».
Però gli attacchi suicidi provocano vittime innocenti e rappresaglie pesanti, gli ricordiamo. «E cosa deve fare una persona. Ti prendono la terra, ti impediscono di muoverti, ti impediscono di respirare. Quando non hai più nulla da perdere pensi: vado all’altro mondo, ma almeno me ne porto con me un bel po’», replica Rania. Gli americani, suggeriamo, vogliono che Arafat se ne vada. «Che Dio si porti via il raìs. E’ vero, anche lui è un problema. Come lo sono l’Autorità palestinese e i soldati israeliani. Noi, civili, siamo in mezzo a pagare. Guarda che l’80% delle persone la pensa così, solo che hanno paura a dirlo».
Anche Olimpio ha paura a dirlo, e deve aspettare che lo dicano loro per azzardarsi a riferirlo.
Chiediamo a Rania cosa pensa del futuro. «Nulla, perché non esiste futuro. Siamo molto confusi. Oggi i palestinesi hanno due problemi. Il primo sono i regimi arabi che vogliono assecondare l’America. Il secondo è l’ignoranza della nostra gente. Senza una vera educazione saremo sempre sconfitti». Rania e Khaled si incamminano verso il muro di terra. Arriva un minibus. Sulla fiancata c’è scritto «Casa della speranza». Scende una donna minuta, apre il portellone e si carica sulle spalle un bambino con le gambe inerti. E’ un handicappato.
Anche in Israele ci sono bambini handicappati. Tanti. Non nati handicappati ma resi tali dai terroristi palestinesi. Ma Olimpio non ci racconta i loro drammi.
La donna attraversa lo sbarramento e porta il piccolo per quasi 500 metri. Torna indietro di corsa. Si chiama Roda, 53 anni, è un’araba israeliana di Haifa che da vent’anni lavora a Betlemme. «Nel cuore oggi c’è solo vendetta - afferma - Nessuno è disposto a perdonare. Penso che ci vorrebbe una nuova leadership. Determinata, che non pensasse al bene del singolo, ma a quello dello Stato». Chiediamo anche a lei di Bush. Ride in modo disarmante. In realtà vorrebbe piangere.
Olimpio, chissà perché, vede sempre e solo le vittime. Non vede mai i terroristi, non vede mai i burattinai che tirano i fili del terrore e che riducono questa gente alla disperazione. E sembra decisamente convinto che a ridurli così sia stato Israele. Chissà perché.




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