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israele.net Rassegna Stampa
20.08.2024 Haaretz e altri giornali che mentono
Analisi di Matthew Schultz

Testata: israele.net
Data: 20 agosto 2024
Pagina: 1
Autore: Matthew Schultz
Titolo: «No, la guerra a Gaza non è la più sanguinosa del secolo»

Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni -  l'analisi di Matthew Schultz tradotto da Israel HaYom dal titolo "No, la guerra a Gaza non è la più sanguinosa del secolo".

Matthew Schultz
No, la guerra a Gaza non è la più sanguinosa del secolo - Israele.net -  Israele.net
C’è chi gioca con i numeri e le percentuali pur di sostenere che Israele è un paese assetato di sangue che si comporta molto peggio di qualunque altro. Come sempre il quotidiano di sinistra israeliana Haaretz ha ripreso al 100% la sua posizione disfattista, anche se continua il calo dei suoi lettori. Nella foto incubatrici consegnate da Israele al reparto maternità dell’ospedale “Martiri di Al-Aqsa” a Deir al-Balah (striscia di Gaza)

Secondo un nuovo reportage di Nir Hasson su Haaretz, nel momento in cui il bilancio delle vittime a Gaza raggiunge la cifra di 40.000 (in base ai dati diffusi da Hamas ndr), è tempo di guardare in faccia la realtà: “i numeri dimostrano”, dice Haaretz, che la guerra di Gaza è “una delle più sanguinose del XXI secolo”. Quasi tutti di coloro che sentono questa affermazione ritengono che la sua veridicità sia ovvia. Da quasi un anno, il mondo è logorato da questa guerra e dunque è sicuramente vero che i numeri giustificano i moti di protesta e le accuse del più vile dei crimini contro l’umanità: genocidio. Tuttavia, leggendo il reportage si può constatare quanto le sue stesse cifre smentiscano la tesi. Diamo un’occhiata ai numeri riportati dal giornalista di Haaretz:

guerra in Siria: 405.000 morti

guerra in Iraq: 210.000 morti

guerra nella ex-Jugoslavia: 100.000 morti

guerra in Ucraina: 172.000 morti.

Tutti questi numeri appaiono molto più alti di 40.000. Dunque come fa Haaretz ad affermare che quello a Gaza è uno dei conflitti più sanguinosi del secolo? Semplice: non si basa sui numeri assoluti. Si basa piuttosto sulla tempistica e sulla percentuale rispetto alla popolazione. 40.000 – osserva Haaretz – è il 2% della popolazione di Gaza e questo numero di vittime si è verificato in meno di un anno. Anche la guerra in Siria ha causato la morte del 2% della popolazione, ma è durata 13 anni. La guerra in Iraq ha causato la morte dell’1% della popolazione, ma è durata 20 anni. La guerra in Ucraina ha causato la morte solo dello 0,45% della popolazione in 2 anni e mezzo. Di solito non è così che si valutano le dimensioni di una guerra, ma è così che si vuole valutare questa guerra di Gaza. A dicembre, anche il Washington Post l’ha definita “una delle più distruttive di questo secolo”, citando ancora una volta la tempistica anziché i numeri assoluti. È un po’ come se questi giornalisti partissero dal presupposto che la guerra di Gaza deve essere la peggiore della storia recente, e poi procedano a ritroso per scoprire come sostenere la tesi. Innanzitutto, però, non si capisce bene cosa stanno sostenendo esattamente: che una guerra che dura decenni mietendo centinaia di migliaia di vite è meglio di una che dura un anno? È meno “sanguinosa” o meno “distruttiva”? In fondo, tutti sanno che la guerra a Gaza non durerà due decenni come le guerre americane in Medio Oriente. Israele ha già drasticamente attenuato le operazioni militari a Gaza e, per quanto Netanyahu e il suo ministro della difesa Gallant possano litigare sulla natura esatta della fine, sappiamo tutti che la guerra finirà e che la parte più consistente della missione delle Forze di Difesa israeliane a Gaza è alle spalle. Per quanto riguarda invece la percentuale, da dove deriva quel 2%? Le percentuali delle altre guerre messe a confronto sono calcolate sul totale dell’intera popolazione, anche quella che vive nelle regioni non investite dalla guerra. Invece, nel caso di Gaza si calcola che 40.000 morti è il 2% della popolazione della sola striscia di Gaza, mentre la popolazione totale palestinese è composta anche da milioni di palestinesi che vivono in Cisgiordania. Quindi sì, stando ai numeri di Hamas il 2% dei residenti della regione controllata da Hamas è morto in questa guerra, e in effetti quasi la metà di loro erano combattenti di Hamas (e altri gruppi armati). Ma non è vero che è morto il 2% della popolazione palestinese. Tutt’altro. Tuttavia, se è questo il criterio con cui si vuole analizzare questa guerra, okay, allora cerchiamo di essere equi e applichiamo gli stessi parametri a entrambe le parti. All’alba del 7 ottobre, nella regione di Israele attorno alla striscia di Gaza investita dall’attacco di Hamas vivevano circa 70.000 persone. Al calar della notte, l’1,7% di loro era stato trucidato dai terroristi: l’1,7% della popolazione, non in dieci mesi ma in meno di 24 ore. Tutto questo non significa che 40.000 sia un numero modesto. Infatti, i giornalisti dovrebbero essere curiosi di capire come si spiega questo numero così alto nonostante i ben documentati sforzi che fa Israele per ridurre al minimo possibile le vittime civili. Ci sono diverse ragioni. Una di queste è che, in genere, quando c’è una guerra che investe aree densamente abitate, alle persone viene consentito di trovare rifugio in aree più sicure (è avvenuto, ad esempio, per i siriani). Ai palestinesi no: gli egiziani hanno sigillato il loro confine con poco o nessun controllo o condanna internazionale. Per quanto riguarda le “zone sicure” all’interno di Gaza, Hamas ha l’abitudine di prenderne il controllo e trasformarle in campi di battaglia. Quando Mohammad Deif è stato ucciso da un attacco israeliano, molti si sono indignati perché l’attacco avveniva in una cosiddetta “zona sicura”. Avrebbero dovuto indignarsi innanzitutto perché il secondo in comando di Hamas si trovava in una “zona sicura” sapendo benissimo che la sua sola presenza rendeva l’area un legittimo obiettivo militare. Ci sono poi altri modi con cui Hamas si assicura la morte di molti civili. Ad esempio, combattendo in abiti civili e mescolandosi alla popolazione civile, usando come basi gli ospedali e gli edifici delle Nazioni Unite, nascondendo gli ostaggi israeliani in aree urbane densamente abitate. Ma si preferisce dare la colpa a Israele. Ad esempio, a gennaio, il Washington Post ha definito lo sfollamento degli abitanti di Gaza “il più grande spostamento di popolazione nella regione mediorientale dal 1948”. Ma non è neanche lontanamente vero. Nella striscia di Gaza vivono 1,9 milioni di persone. La guerra civile siriana ha causato lo sfollamento di 13 milioni di persone, 4 milioni di persone la guerra nello Yemen, 9 milioni la guerra in Iraq. Allora perché affermare che questo è lo sfollamento più grande? E perché dire “dal 1948”? Semplice: per far sembrare che l’esistenza stessa di Israele sia il problema. Con questo non si vuole minimizzare le devastanti tragedie causate da questa guerra e la terribile situazione nella striscia di Gaza. Abbiamo visto il video straziante di un palestinese che afferma d’aver avuto la moglie e i gemelli appena nati uccisi in un attacco aereo (la notizia, non verificata da fonti indipendenti, è stata lanciata dai reporter Wafaa Shurafa, nella striscia di Gaza, e Samy Magdy al Cairo ndr). Non c’è modo di quantificare un tale dolore e prego, per lui e per altri come lui, che questa guerra finisca rapidamente con un accordo che riporti a casa gli ostaggi. Ma il mondo insiste a dire che Israele è assetato di sangue, che sta facendo qualcosa di diverso e molto peggio di ciò che farebbe qualsiasi paese dopo aver subito il tipo di invasione che Israele ha subito il 7 ottobre. Non è vero e malgrado ciò che afferma Haaretz, non è “ciò che dimostrano i numeri”. (Da: Israel HaYom, 15.8.24)

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