Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
28/6/02 No Comment scorrettezze quotidiane: opinioni personali mescolate ai fatti
Testata: Corriere della Sera Data: 27 giugno 2002 Pagina: 1 Autore: Guido Olimpio Titolo: «Arafat gioca la carta delle elezioni»
Ecco a noi il nostro Olimpio quotidiano, con le solite scorrettezze quotidiane: opinioni personali mescolate ai fatti, interpretazioni soggettive, notizie incomplete, descrizione delle malefatte israeliane senza alcun accenno a ciò che ha causato tali azioni, ripetizione ad nauseam di cose già dette e sempre, a regnare sovrana, la sua personale ostilità - per non dire altro - nei confronti di Ariel Sharon. Non inseriamo commenti all'interno dell'articolo perché, a differenza di Olimpio, noi ogni tanto ci stanchiamo di ripetere sempre le stesse cose. I nostri lettori che invece vorranno inviare un commento al Corriere sono i benvenuti. Arafat gioca la carta delle elezioni Corriere della Sera 27-6-2002
Il raìs promette le riforme «in cento giorni». Ma non esclude di ripresentarsi per la presidenza
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE GERUSALEMME - Bush gli intima di farsi da parte e lui, Arafat, assolutamente impermeabile alla tempesta, rilancia il «piano dei 100 giorni». Riforme ed elezioni in pochi mesi. Non solo. Il raìs non esclude di presentarsi candidato alle presidenziali: per alcuni collaboratori ha già deciso, per altri il passo è ancora in dubbio. Rapido, come ogni volta che vuole esserlo, Arafat affida alla sua «voce» Saeb Erekat il compito di spiegare la rivoluzione. Da Gerico, unica città palestinese ancora libera, il negoziatore indica un calendario preciso. Rivolto agli americani e a una piazza palestinese confusa quanto depressa. A gennaio si terranno le elezioni presidenziali e le politiche. A marzo sarà la volta delle municipali. Un processo democratico sollecitato da Washington che dovrebbe portare a una nuova leadership senza Yasser Arafat. Ma il presidente non sembra dello stesso avviso e potrebbe cercare di restare in gioco candidandosi di nuovo. Confindando nella sua popolarità, accresciuta oggi dal diktat Usa. «Ha già deciso, entrerà in lizza», ha annunciato il ministro Nabil Shaat. «Troppo presto dirlo, tocca al raìs e al Fatah deliberare», ha corretto Erakat. «Non mi risulta alcuna candidatura», ha aggiunto Abed Rabbo. Oltre a preparare le elezioni, i dirigenti palestinesi hanno annunciato una serie di riforme. Entro settembre - è la promessa di Erekat - verranno nominati «giudici competenti», sarà rafforzato il controllo della sicurezza, verrà ristrutturato il ministero degli Interni per ridurre nel numero e nella sostanza i diversi apparati. Un altro settore da rivedere è quello finanziario, per mettere fine a una corruzione rampante. Infine l’Autorità cercherà di contenere i toni dei mass media stringendo il controllo. Nei curriculum sarà inserita la clausola della «rinuncia al fanatismo». Un dettaglio non da poco: l’incitamento all’odio è una nota costante dei giornali palestinesi. Ma sull’intero progetto pesa l’incognita dell’atteggiamento israeliano. Il governo ha subito liquidato come non sufficienti i cambiamenti: aspettiamo i fatti. Ma sarà interessante vedere come potranno svolgersi le consultazioni elettorali mentre i territori sono occupati da Israele. L’intenzione di Sharon è di rimanere nelle zone palestinesi fintanto che continueranno le violenze. Infatti i collaboratori di Arafat hanno avvisato: senza ritiro dei soldati niente voto. Da ieri sono oltre 700 mila le persone sotto coprifuoco. I carri armati hanno continuato nelle incursioni provocando altre perdite tra i civili. A Jenin - ripetendo «l’errore» di pochi giorni fa quando hanno ucciso tre piccoli al mercato - un tank ha aperto il fuoco su dei bimbi che tiravano sassi. Un ragazzino di sei anni è stato falciato dalla raffiche di mitragliatrice. Situazione tesa a Hebron dove le unità israeliane hanno circondato il palazzo del governatore. Ieri si sono arresi 120 poliziotti e 20 ricercati, ma all’interno vi sarebbero altre persone asserragliate. Gli ultimi sviluppi, a cominciare dal discorso di Bush, hanno messo in seria difficoltà i laburisti. Peres sperava in un aiuto americano e invece Bush si è appiattito, almeno sulla questione di Arafat, sulla linea Sharon. Il ministro degli Esteri, incontrando membri del partito, si è chiesto: «Cosa accadrà se Arafat verrà eletto? E se andranno al potere forze più radicali?». Dubbi legittimi che aumentano le azioni dei laburisti favorevoli a un’uscita immediata dalla coalizione. Chi non appare turbato è Sharon. Si gode il successo personale, incurante di chi lo avverte che il problema non è Arafat, ma la questione palestinese. E la stampa rivela un piccolo particolare. Insieme a lui a guardare in tv il discorso di Bush c’era Zeev Hever, un amico di vecchia data ma soprattutto «padre» delle colonie nelle aree palestinesi. Quelle colonie che, insieme ai terroristi, sono l’ostacolo alla pace.
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