Il dovere di difendere Gerusalemme Editoriale di Mario Sechi
Testata: Libero Data: 13 agosto 2024 Pagina: 1/10 Autore: Mario Sechi Titolo: «Non si può essere terzi: Gerusalemme va difesa»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 13/08/2024, a pag.1/10 con il titolo "Non si può essere terzi: Gerusalemme va difesa" l'editoriale di Mario Sechi.
Mario Sechi
Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania e Italia hanno lanciato l’ultimo appello all’Iran, la Difesa israeliana è in stato di massima allerta, il Pentagono ha spostato la portaerei USS Abraham Lincoln per affiancarla alla USS Theodore Roosevelt, il ministro degli Esteri Israel Katz ha ricordato che «è il momento per le democrazie di tutto il mondo di schierarsi con Israele e adottare misure decisive contro l’Iran e i suoi alleati, prima che sia troppo tardi».
Sono le mosse diplomatiche e militari che precedono un attacco, quello dell’Iran contro Israele. È un segno del destino che il massimo allarme arrivi nel giorno in cui il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, invoca sanzioni contro esponenti del governo di Israele, la nazione aggredita dai tagliagole di Hamas, minacciata ogni giorno dall’Ayatollah Ali Khamenei che promette che «Gerusalemme sarà nelle mani dei musulmani e il mondo musulmano celebrerà la liberazione della Palestina». Se stiamo scrivendo il nostro destino, sapere che il mondo libero è nelle mani (anche) di un personaggio come Borrell, ci fa venire i brividi.
L’Unione europea è distante dalla realtà, dopo la strage del 7 ottobre ha subito dimenticato qual è la posta in gioco, ha svolto consapevolmente il ruolo dell’utile idiota di Hamas e dell’Iran. Dietro questo carro funebre della libertà, si sono accodati i gazzettieri del sistema dell’informazione ciclostilata, che si sono bevuti i comunicati di Hamas, hanno dipinto come «volto pragmatico» un terrorista sanguinario come Yahya Sinwar, conosciuto a Gaza come «il macellaio di Khan Yunis». Per soprammercato, dopo la morte del boia dell’Iran, il presidente Ebrahim Raisi, hanno spacciato il suo successore, Massoud Pezeshkian, come un «moderato», lo stesso che in queste ore ha detto al cancelliere tedesco Olaf Scholz che l’Iran ha «il diritto di rispondere». La moderazione dell’Iran è forse quella della sua gang in Libano, Hezbollah, che ha bombardato un campo di calcio dove giocavano dei bambini? Tutti sperano nella pace, è giusto fare ogni sforzo, ma bisogna uscire dalla retorica, perché «non si può ragionare con una tigre quando la tua testa è nella sua bocca» (Winston Churchill ne L’ora più buia). Questa è la posizione oggi di Israele, una democrazia minacciata, un popolo di fronte a una sfida esistenziale.
Mentre scrivo, è in corso una gigantesca partita a scacchi: sono in campo massa di manovra, strategia e tattica, linee di comando e controllo, una battaglia psicologica fatta di pazienza e sorpresa. Nella guerra tra Israele e Hamas (leggere Iran) che è in corso da 312 giorni, l’elemento della «sorpresa» in teoria non c’è, la risposta di Khamenei dopo l’eliminazione a Teheran del capo politico di Hamas, Ismail Hanyeh, è ampiamente «telefonata», ma le mosse a disposizione restano tante.
PRIMA IPOTESI
L’operazione via aria con uno sciame combinato di missili e droni per bucare il «barrage» di Israele con un’azione coordinata è la mossa attesa, già sperimentata (senza successo) dall’Iran nell’attacco dello scorso aprile: Hezbollah può colpire a Nord, gli Houthi dello Yemen lanciare droni via Mar Rosso e provare a penetrare la difesa aerea dal Mar Mediterraneo (è già accaduto con il drone che ha viaggiato per 2mila chilometri e ha colpito Tel Aviv), Hamas e altri gruppi possono far decollare razzi dalla Striscia di Gaza e Teheran naturalmente può usare basi di lancio nei suoi confini e in Iraq.
Lo sciame è atteso dal sistema radar di Israele e degli alleati, dalle batteria anti-aeree Iron Dome, dagli intercettori americani, inglesi e francesi.
L’ALTRO SCENARIO
Questo è uno scenario in cui la risposta israeliana è puramente difensiva. Ma esistono le varianti, le abbiamo già viste: l’Ucraina è stata un teatro di sperimentazione proprio per l’Iran che produce i droni per i russi, sempre in quel conflitto abbiamo visto Kiev cogliere di sorpresa la Russia, sfondare i confini a Kursk e penetrare nel territorio di Mosca per una trentina di chilometri; dieci mesi fa, il 7 ottobre del 2023, i terroristi di Hamas entrarono in Israele e scatenarono la caccia all’ebreo. Nessuno può escludere un’operazione condotta da piccole unità all’interno di Israele, né si può scartare l’idea che Netanyahu e i suoi generali decidano di contrattaccare per neutralizzare obiettivi militari e «tagliare» l’arsenale di Teheran.
La superiorità di Israele e degli alleati sul piano della massa d’urto a disposizione e della tecnologia è indiscussa, ma in un conflitto vince chi pensa in fretta e bene. Questa guerra nasce da un calcolo errato di Hamas e dell’Iran, dall’idea che dopo la strage il governo israeliano rispondesse come nelle altre guerre di Gaza, una risposta minore e via di nuovo con gli assassini, gli assalti, i lanci di razzi sulla popolazione inerme, come prima più di prima. Ma la ferocia, la caccia all’ebreo, ha improvvisamente messo gli israeliani di fronte alla realtà di un nuovo Olocausto, così si è decisa la «guerra lunga» a Gaza e l’eliminazione di tutti i comandanti di Hamas e di Hezbollah. La guerra l’hanno innescata loro, con il regime iraniano che dichiarava il 7 ottobre 2023 come «Giornata epica della gioventù palestinese», la celebrazione della carneficina, della violenza sulle donne, della presa degli ostaggi, della minaccia permanente su un popolo. I nemici di Israele hanno dimenticato una lezione di Sun Tzu: «Nell’operazione militare vittoriosa prima ci si assicura la vittoria e poi si dà battaglia». La pace si prepara, si difende, si conquista. La citano tutti, la costruiscono solo i coraggiosi.
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