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Europa Rassegna Stampa
27.08.2003 Il pacifismo israeliano contro la guerra
che ne dice Europa di dare un'occhiata anche a cosa succede dall'altra parte?

Testata: Europa
Data: 27 agosto 2003
Pagina: 3
Autore: Dan Rabà
Titolo: «Israele, la guerra di chi rifiuta la guerra»
Dan Rabà scrive sovente da Israele su EUROPA. A volte i suoi servizi sono anche interessanti. Si capisce che, scrivendo, non ha presente che il suo lettore è italiano e di orientamento politico ex-DC di sinistra ma fa lo stesso. EUROPA è il quotidiano della Margherita ma fino a pochi mesi fa si chiamava IL POPOLO. Niente di male, un quotidiano di partito, ma Rabà dovrebbe ogni tanto volgere il suo sguardo anche a quel che capita dalla parte palestinese-araba. Forse, se lo facesse, sarebbe meno intransigente verso la mancata perfezione dello stato ebraico. Perchè è così che lo vorrebbe la sinistra israeliana: una specie di Svizzera meiorientale, solo che succede che i suoi vicini non sono la Francia nè l'Italia nè la Germania. Hanno altri nomi. Li ricorda Rabà?
Gli suggeriamo di fare una bella inchiesta sui movimenti pacifisti arabi. Non può farlo perchè non ci sono? Appunto. Perchè non fa allora un servizio sui militari siriani o libanesi che fanno obiezione di coscienza? Non può farlo perchè in quei paesi chi rifiuta il servizio militare è un uomo finito, eliminato? Appunto. Allora, quando esamina il dissenso in Israele e all'enorme libertà di cui gode chi dissente, sia più onesto nel riferire quanto accade. Israele è una democrazia ed i diritti di tutti sono garantiti. Anche di chi dissente dalla politica del governo. Non vuole fare il servizio militare? Certo va sotto inchiesta, si farà anche qualche mese in cella di rigore, ma decine di organizzazioni si muoveranno subito in difesa, tutti i giornali intervisteranno genitori e amici, partiti e politici prenderanno subito posizione. Insomma. capita quel che capita nelle democrazie.
E se Rabà scrivesse su EUROPA quel che capita dall'altra parte? Sarebbe un giornalista onesto. Vedremo se lo sarà.

Di seguito pubblichiamo il testo integrale dell'articolo. Purtroppo lo facciamo il giorno dopo, ma EUROPA va su Internet solo il giorno successivo all'uscita ed è da Internet che noi riprendiamo l'articolo.

In un paese come Israele, costantemente in guerra o in allarme fin dal giorno della dichiarazione d’indipendenza, l’esercito, l’arte militare, la disciplina, la dedizione allo stato sono valori di base comuni a tutti. Nei primi epici anni della fondazione dello stato, nel drammatico secondo dopoguerra, il rapporto con la questione della difesa era un fatto quasi istintuale, un modo di scrivere la storia, un modo per dimostrare la capacità di sopravvivenza del popolo ebraico nonostante la potenza tedesca si fosse impegnata ad annientarlo, ad annientare questo simbolo di diversità. Era una rapporto che davvero riempiva di energia e orgoglio tutta la popolazione.
Poi le guerre che si sono combattute si sono fatte sempre meno chiare e giuste, e il consenso popolare è andato via via calando. Il crogiolo israeliano, intanto, si arricchiva di nuove nazionalità, di nuove culture e di un diverso rapporto con lo stato.
Se nei primi anni le guerre erano "senza alternativa" (en brerà, in ebraico), la guerra del Libano del 1984 cambiò tutti i parametri di valutazione. Era una guerra che aveva alternative (iesc brerà, c’è alternativa). Sharon, nominato nel 1981 ministro della difesa, decise di invadere il Libano e occupare una fascia di 40 chilometri, cioè fino a Beirut, per creare una zona di difesa al Nord. Per convincere l’allora primo ministro Menahem Begin, Sharon lo portò in visita al confine e nelle postazioni militari e, come raccontò il giornale Ha’aretz, drammatizzò i toni e convinse Begin ad appoggiare il suo piano espansionistico. Ha’aretz in seguito accusò Sharon di falso. Sharon intentò un processo per calunnia che, tra rinvii e ricorsi, si è definitivamente concluso
l’anno scorso, dando ragione al giornalista di Ha’aretz. Sharon aveva esagerato la situazione e confuso Begin (in seguito alla guerra del Libano e al suo strascico di vittime Begin fu preso dalla depressione e abbandonò la politica).
La guerra del Libano, oltre alla tragedia di Sabrah e Shatila si è trascinata in una occupazione del sud del Libano, durata dicotto anni.
Fu una guerra devastante per il Libano, un paese fino ad allora considerato la Svizzera del Medio oriente. Fece saltare i difficili equilibri etnici del sud di questo paese e fu per anni l’incubo dei riservisti israeliani, ma segnò anche l’inizio dell’opposizione alla guerra, la nascita di forti movimenti
pacifisti, il più noto dei quali Pace Adesso (Shalom ahciav, Peace now) portò 400 mila manifestanti in piazza a Tel Aviv per fermare la guerra, ancor oggi la più imponente manifestazione che sia stata organizzata in Israele.
Nacque allora anche il primo movimento di obiezione al servizio militare, Yesh Gvul (http://www.yesh-gvul.org/), "C’è un limite".
Erano soldati che si rifiutavano di entrare nei territori occupati e reprimere i cittadini. L’obiezione di coscienza è la più difficile tra le forme di opposizione in Israele. La maggior parte dei giovani cerca di arrivare alla visita di leva in forma e buona salute per avere una buona valutazione e essere
selezionato tra le formazioni combattenti più specializzate. Diversi altri, invece, cercano di essere esonerati dichiarandosi consumatori di droghe, malati, o deboli psicologicamente. Ci sono ovviamente quelli che sono realmente
"deboli" e quelli che "recitano la parte", ma, in generale, l’esercito preferisce non trascinarsi per tre anni problemi di questo genere ed esonerano con facilità.
Un discorso diverso meritano i religiosi. I più ortodossi, che non riconoscono l’autorità dello stato e preferiscono studiare e pregare, non fanno il servizio militare, mentre ci sono varie altre correnti religiose per le quali l’esercito è un elemento di pressione e di difesa della loro visione dello
stato. In gran parte si tratta di figli dei coloni che s’impegnano molto nell’esercito, spesso arrivando a posizioni di comando. Infine, ci sono i veri e propri obiettori che si proclamano senza mezzi termini contrari all’esercito e alla politica di occupazione. Sono i pacifisti in senso stretto e gli obiettori, contrari alla violenza e all’uso delle armi – per esempio i buddisti – e gli obiettori contrari all’occupazione, quelli che pensano che l’occupazione danneggi moralmente anche l’occupante, distrugga l’etica dei giovani. E’, come si definisce, un "Movimento per la civilizzazione della
civiltà israeliana" (http://www.newprofile.org/). E’ un’opposizione più ideologica, più radicale. E, se i pacifisti ottengono il congedo, gli obiettori vengono arrestati. L’esercito ha cercato un modo di andare loro incontro senza apertamente esonerarli dall’obbligo militare, dirottandoli verso compiti
marginali ed elargendo molte licenze.
Nell’ultimo periodo, però, la politica delle forze armate è cambiata: invece di trovare un modo per far "sparire" in silenzio gli obiettori, ora vengono arrestati, reclusi in una base militare dove possono muoversi ma mai uscire.
Proprio di recente è cominciato il primo processo nei confronti di cinque obiettori, ragazzi di 18 o 19 anni che fanno parte dell’organizzazione degli studenti delle medie superiori contro l’occupazione, in ebraico shministim. Hanno maturato la loro scelta nel periodo precedente il reclutamento.
Il loro manifesto è la lettera che 62 di loro hanno mandato al primo ministro Ariel Sharon lo scorso settembre. «Non prenderemo parte all’oppressione del popolo palestinese – scrivono i ragazzi al premier – ci rifiutiamo di essere soldati di un esercito di conquista. Lo stato di Israele compie atti di distruzione e crimini di guerra. Tutto questo porta odio e sofferenza nella popolazione e genera attentati e atti disperati. Noi ubbidiamo all’imperativo della nostra coscienza e ci rifiutiamo di partecipare all’attacco al popolo palestinese. E’ legittimo opporsi all’arruolamento, è legittimo arruolarsi ma rifiutarsi di entrare nei territori occupati, è legittimo opporsi all’arruolamento in ogni modo (legittimo). Noi invitiamo ogni soldato di leva, di carriera o della riserva a comportarsi come noi».
Attualmente sono agli arresti circa 350 obiettori studenti
medi. Yesc Gvul – "C’è un limite" (in ebraico "limite" è anche "confine") – è il gruppo più vecchio, fondato in Libano nel 1982. I militari maturarono la loro scelta durante il servizio militare, in seguito a fatti di cui erano stati testimoni diretti, e posero un limite (geografico) al loro servizio militare. Un servizio, cioè, da intendersi come difesa, e non come
occupazione.
Infine vi è un movimento di riservisti. Sono i soldati che, finito il servizio di tre anni, vengono richiamati per un periodo che oggi è di 40 giorni all’anno. Anche questo gruppo si rifiuta di entrare nei territori occupati. Si chiama "Il coraggio di opporsi" (http://www.seruv. org.il/)
A seguito di questo movimento complessivo, molti genitori coinvolti si sono organizzati in associazione a tutela dei ragazzi incarcerati. Si occupano delle condizioni di detenzione, dei periodi di riposo a casa, con un’organizzazione di mutuo sostegno economico, legale e morale. Molti genitori, che non si aspettavano la posizione di rifiuto da parte dei figli nei confronti dell’esercito, a poco a poco si sono avvicinati alla tematica e partecipano a vari livelli nel confronto con l’esercito e con il ministero della difesa.
Il gruppo è piccolo ma molto agguerrito ed è un’opposizione crescente alla politica dominante fino a ieri. La lotta per una pace giusta passa attraverso il rifiuto di occupare la terra altrui.
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