Cosa succede in Israele e in casa ANP due articoli di corretta informazione
Testata: La Stampa Data: 26 agosto 2003 Pagina: 8 Autore: Fiamma Nirenstein - Aldo Baquis Titolo: «L'arma delle esecuzioni divide Israele - Arafat nomina un controministro per la Sicurezza»
Riportiamo l'analisi di Fiamma Nirenstein pubblicata su La Stampa martedì 26 agosto 2003, dal titolo: "L'arma delle esecuzioni divide Israele" GERUSALEMME. La sequenza è stata molto chiara: prima l'attacco all'autobus di Gerusalemme, uno dei più gravi dell'Intifada dato il numero di bambini uccisi; poi Sharon ha fatto sapere a Abu Mazen che aveva 24 ore di tempo per fare qualcosa per fermare Hamas; intanto anche Arafat veniva coinvolto, anche se non direttamente dagli israeliani, nel tentativo di evitare l'escalation, per dimostrare che l'Autorità palestinese di sentiva responsabilizzata; successivamente, dopo che l'attesa si è rivelata inutile, l'eliminazione di Ismail Abu Shanab; poi, dopo le promesse di vendetta dello sceicco Yassin e di Rantisi, la dichiarazione del capo di Stato Maggiore Moshe Yaalon: «Se il governo palestinese non vuole agire, noi considereremo tutto il nocciolo duro di Hamas come un obiettivo da colpire»; subito dopo il lancio da Gaza del missile Kassam, troppo vicino alla grande centrale elettrica di Ashkelon: un attacco strategico; e poi di nuovo l'esecuzione mirata di due quadri di Hamas insieme ad altri due di altre organizzazioni. La guerra con Hamas non è più un aspetto dell'Intifada, ne è adesso il centro; l'attacco di Gerusalemme ha cambiato la situazione israelo-palestinese: il governo di Sharon considera un fatto definitivo che Abu Mazen non possa e non voglia combattere Hamas, e che quindi essa sia un pericolo presente e micidiale per la popolazione. E' stata la caduta di ogni speranza di vedere l'Autorità palestinese diventare partner nella guerra a Yassin e ai suoi che ha deciso il governo israeliano. Il «missile terrorismo» è troppo lanciato ideologicamente per fermarsi in base a considerazioni pragmatiche, e così è successo anche per Hamas. Secondo Israele anche Abu Shanab aveva seguitato a preparare e a ordinare attacchi suicidi: era una «bomba ticchettante» come gli altri quattro eliminati domenica. Dice il generale Amos Gilad, consigliere militare di Sharon: «Sia chiaro che quelle che voi chiamate eliminazioni punitive non hanno questo carattere: sono gesti di difesa rispetto ad attentati futuri, operazioni indispensabili per cercare di salvare la nostra gente». La politica delle eliminazioni ha creato a Gaza una situazione di grande paura: un tassista si dispera che qualsiasi cosa circoli su quattro ruote può diventare per sbaglio un obiettivo; la gente ha paura ad attraversare la strada se ci sono veicoli in giro, si trattengono i bambini in casa. Lo sceicco Yassin, che è il capo carismatico e dottrinale di Hamas, mentre promette morte e distruzione a Israele, bada bene a proteggersi con coorti di famigli e guardie del corpo; lo stesso per Rantisi, che gli israeliani mancarono tre mesi fa. Tutta Hamas in questo momento, per quanto vasta e diramata e presente in Siria e in Libano, riconverte il suo assetto, passa alla clandestinità. Le eliminazioni sono consigliabili? Per Amram Mitzna, ex generale e ex segretario generale del partito laburista, sono un gravissimo errore: «Fanno diventare estremisti anche i moderati, sottraggono responsabilità ad Abu Mazen, e gli attentati continuano». Ma un altro membro del suo partito, l'ex ministro Matan Vilnai, non è d'accordo: «Sono azioni obbligate, moralmente indispensabili anche se non si compiono certo a cuor leggero: ma un popolo minacciato senza tregua non può che difendersi, prevenire, combattere per la sua vita e quella dei suoi bambini. Tuttavia è molto importante che queste azioni siano accompagnate da una politica chiara, che invece qui non si vede». Dani Rubinstein, esperto del mondo palestinese, pensa che sia molto pericoloso tentare di distruggere Hamas: «Alla lunga si può sperare che la sua disciplina interna e la sua grande presa sociale possano essere utilizzate per per una forma di pace. Se sparisce, le forze del terrore diventano schegge impazzite». Ma in generale invece la politica di Sharon risulta piuttosto consona alle paure e anche alle speranze del pubblico israeliano: l'idea di fondo è che attaccando Hamas ed eliminandone i pilastri, la si disinneschi in parte e si liberi, se c'è, la forza di Abu Mazen. In parole povere, dice uno dei leader storici del Mossad, Rafael Eitan, «non ci deve essere nessun dubbio, sia per semplici motivi preventivi sia per motivi di pura dignità, che Hamas non deve farla franca con i suoi attentati bestiali. L'impunità è una luce verde per continuarli». Dicono in molti, nel gabinetto di Sharon, che l’obiettivo della politica delle eliminazioni è evidente: attaccare solo la parte nemica del governo palestinese per invitarlo a proseguire nella Road Map. e l'articolo di Aldo Baquis, sempre su La Stampa di martedì 26 agosto 2003, intitolato: "Arafat nomina un 'controministro' per la Sicurezza" TEL AVIV. Mentre gli integralisti di Hamas minacciano di scatenare una nuova ondata di attentati in Israele per rappresaglia dopo l’uccisione a Gaza di quattro membri del loro braccio armato, a Ramallah il presidente Yasser Arafat e il premier Abu Mazen sono impegnati in una complessa «partita a scacchi» in cui la posta in gioco è la supervisione dei vari corpi di sicurezza, cioè di circa 40 mila uomini armati. Ieri, con una mossa a sorpresa, Arafat ha annunciato di aver scelto un nuovo consigliere per la Sicurezza nazionale: l'ex comandante della Sicurezza preventiva in Cisgiordania, Jibril Rajub. La definizione dei suoi incarichi è rimasta per il momento vaga: Rajub - che da ieri ostenta i gradi di generale - dovrà riorganizzare la struttura dell'apparato di difesa palestinese, razionalizzarne le forze, coordinarne le attività, e rafforzare le relazioni fra l’Anp e il Quartetto: Usa, Ue, Onu, Russia. Resta inoltre incerta la nomina alla carica di ministro degli Interni del generale Nasser Yussef. Il Comitato centrale di Al Fatah l'ha approvata, ma Yussef non ha ancora capito se potrà dirigere dal proprio ufficio tutte le forze palestinesi, o solo quelle che fanno capo ad Abu Mazen. Arafat - che controlla la Sicurezza generale, l'Intelligence, Forza 17 e altre unità minori - non intende cederne il comando e la questione dovrà dunque essere discussa mercoledì dal governo palestinese. All'indomani dell’immensa sfilata di 100 mila sostenitori di Hamas a Gaza per i funerali di Ismail Abu Shenhab, il dirigente islamico ucciso giovedì dai razzi di due elicotteri israeliani, la questione del potere reale di Abu Mazen è divenuta di importanza prioritaria: certamente ai suoi occhi, ma anche a quelli di Stati Uniti e di Israele, che vorrebbero comprendere se il governo palestinese ha la forza per imporre la propria volontà sulle milizie armate. L'improvviso ritorno in scena di Rajub ha chiarito che Arafat non affiderà ad Abu Mazen le forze che gli servirebbero e ha anche indebolito Mohammad Dahlan, il ministro di Stato per la Sicurezza interna considerato il braccio destro di Abu Mazen. Dahlan non è infatti ancora riuscito a creare un proprio apparato in Cisgiordania: una regione dove l'ascendente di Rajub è sempre stato notevole, anche nei mesi scorsi, malgrado fosse spesso costretto all'estero per cure mediche. I due, per di più, hanno pessimi rapporti personali. Di fronte a questa lotta di potere Israele è più deciso che mai a proseguire in prima persona la lotta contro i gruppi dell’Intifada armata. Da ieri i militanti di Hamas hanno ordine di muoversi singolarmente e possibilmente travestiti. La leadership ha vietato loro di fissare appuntamenti per telefono. Una volta in strada, devono cambiare itinerario ripetutamente. Nonostante la difficoltà del momento, Hamas ha ordinato alle proprie cellule clandestine di colpire al più presto Israele. Nel frattempo un gesto di distensione è avvenuto ieri fra Israele e i guerriglieri libanesi Hezbollah grazie alla mediazione dei servizi di sicurezza tedeschi e al contributo umanitario della Croce rossa internazionale. Sul tavolo vi è la possibilità di uno scambio di prigionieri e di corpi di combattenti caduti in battaglia. Ieri Israele ha restituito al Libano i resti di due guerriglieri: in precedenza - ha rivelato la tv di Stato israeliana - gli Hezbollah hanno consentito per la prima volta a un mediatore tedesco di vedere di persona Elhannan Tenenbaum. Si tratta di un misterioso uomo d’affari israeliano, con la doppia nazionalità, catturato tre anni fa dagli Hezbollah e da allora prigioniero a Beirut. Secondo i dirigenti sciiti, l’ostaggio manterrebbe rapporti con il Mossad. 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