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Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 30/07/2024, a pag. 1/3, con il titolo "I veri signori dell'escalation" l'analisi di Micol Flammini.
“Siamo qui con il metro a misurare le linee rosse”, dice Tal, che risponde al telefono da Tel Aviv. E’ un agente immobiliare, è di Kiryat Shmona, una delle città del nord di Israele in cui vivevano circa ventimila persone e oggi è un posto di fantasmi, con i segni della guerra di Hezbollah che si vedono per la strada. Tal vive a Tel Aviv da mesi, da quando il gruppo libanese ha deciso di aprire un fronte contro Israele, ogni tanto torna a Kiryat Shmona per prendere abiti o oggetti da casa, “chiedo il permesso di entrare, vado in macchina e durante il viaggio immagino che la mia casa non ci sia più, prima o poi succederà”. Lui e sua moglie erano partiti con i vestiti necessari per un mese, “era autunno”, poi è arrivato l’inverno dolce di Tel Aviv, “ci servivano nuove cose dagli armadi”, l’attesa è diventata lunga, si è estesa e Tal vive ancora lontano da casa sua, in un albergo. “Quanto sono lunghe le nostre linee rosse? Quanto è lungo il limite della nostra sopportazione? Hezbollah l’ha superato già da tempo, già prima che uccidesse dodici bambini drusi sulle alture del Golan”. Sabato il gruppo libanese ha lanciato un razzo Fariq di produzione iraniana contro Majdal Shams, sulle alture del Golan, al confine tra Israele e Siria, e ha colpito un campo da calcio dove giocavano alcuni ragazzini. Il numero delle vittime in un solo giorno è il più alto dal 7 ottobre e il governo israeliano e i vertici militari hanno promesso una reazione “dura”. Ieri il primo ministro Benjamin Netanyahu è andato a Majdal Shams, ed è stato accolto dalla popolazione locale tutta vestita di nero. Lui ha parlato di “cordoglio” e gli abitanti gli hanno dimostrato che la sua presenza non era gradita: lo ritengono responsabile di una strategia fallimentare contro Hezbollah. La popolazione è divisa, alcuni gli imputano una mancanza di decisione contro il gruppo che per conto dell’Iran fa guerra dal Libano, altri gli rimproverano il ritardo nelle trattative con Hamas per il rilascio degli ostaggi e il cessate il fuoco a Gaza. La decisione che il governo di Benjamin Netanyahu deve prendere è drastica, Tal di Kiryat Shmona con il suo metro per “misurare le linee rosse” vuol dire che i mesi trascorsi a commentare che Hezbollah e Israele sono “al limite della tensione” hanno nascosto una verità che per gli israeliani è ovvia: il limite è già superato da molto, la morte di dodici ragazzini è già oltre la linea rosse. Molti invocano un’azione militare forte che blocchi Hezbollah, ma è probabile che Israele eviterà di prendere questa decisione. Sono mesi che il governo dimostra di voler contenere la situazione e di avere un’ampia tolleranza sulla lunghezza delle linee rosse. Dopo l’attacco dell’Iran contro lo stato ebraico, nella notte tra il 13 e il 14 aprile, Israele ha risposto in modo dimostrativo nel giorno del compleanno della Guida suprema Ali Khamenei colpendo nella regione di Isfahan, la stessa in cui si trova l’impianto nucleare di Natanz, più volte oggetto di sabotaggi da parte degli israeliani. Dopo l’attacco del 19 luglio, quando il gruppo yemenita degli houthi, sempre finanziati da Teheran, ha lanciato un drone contro Tel Aviv riuscendo a uccidere un civile che si trovava nel suo appartamento, Israele ha colpito un deposito di petrolio della città portuale di Hodeidah, nello Yemen. Per rispondere a Hezbollah, anche nel giorno in cui il gruppo libanese ha attaccato con più di duecento lanci tra razzi e droni, Israele ha preso di mira postazioni del gruppo, oppure con omicidi mirati contro leader operativi. Rispondere è inevitabile quando uno dei gruppi che circondano lo stato ebraico attacca, ma finora il governo israeliano si sta preparando a combattimenti circoscritti non a una guerra totale, per cui non ha neppure le forze, impegnate ancora a Gaza. Sia il drone houthi contro Tel Aviv sia il razzo contro le alture del Golan sono segni di una stanchezza israeliana preoccupante, delle difese stremate dopo dieci mesi di guerra. Dopo l’attacco di Hezbollah contro Majdal Shams, alcuni funzionari israeliani hanno detto alla stampa che la risposta è inevitabile – Israele ha continuato a colpire obiettivi mirati – ma sarà la reazione del gruppo libanese a determinare quanto aumenterà la tensione. Il ministro degli Esteri libanese, Abdallah Rashid Bouhabib, ha detto che il Libano è pronto a implementare il rispetto della risoluzione 1701 del 2006, secondo la quale l’esistenza di Hezbollah al confine con Israele non è permessa. Beirut non vuole uno scontro con Israele, sa quale sarebbe la strada per fermare la tensione, ma non sa più come fermare il gruppo sciita che ha preso il controllo del paese. Le linee rosse si allungano e Israele rimanda, ha anche crisi interne a cui badare. Ieri l’esercito ha annunciato di aver arrestato nove soldati sospettati di abusi su un detenuto palestinese nel centro di Sde Teiman, una base nel deserto del Negev. Tsahal ha detto che il detenuto è stato portato in ospedale, i sospetti verranno interrogati e altri soldati stanno iniziando a raccontare episodi di violenze e umiliazioni. Dopo l’annuncio dell’arresto e dell’indagine interna, membri dell’estrema destra israeliana hanno fatto irruzione nella base per protestare con violenza contro la decisione di Tsahal. Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/5890901, oppure cliccare sulla e-mail sottostante lettere@ilfoglio.it |
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